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l'inchiesta

Lo #Pfizergate agita i no vax, ma l'efficacia del vaccino non c'entra

Francesco Stati

Un articolo del British medical Journal accusa l'azienda farmaceutica di inadempienze burocratiche e superficialità durante il test su un campione di circa mille persone. Sui social parte il bombardamento a colpi di hashtag

Sui social network è andato in tendenza l’hashtag #Pfizergate. Usato principalmente dagli scettici del vaccino, il tag fa riferimento a un articolo del British Medical Journal in cui un’informatrice denuncia irregolarità nella fase III dei test del farmaco Pfizer-BionTech, che sarebbe stato approvato “troppo velocemente” e attraverso una fase di ricerca caotica e piena di irregolarità. Brook Jackson, questo il nome della “whistleblower”, è un’ex dipendente di Ventavia Research Group, un gruppo di studi clinici del Texas che svolgeva per conto della casa farmaceutica americana dei test di efficacia per il suo vaccino.

 

Nell’autunno 2020, secondo l’accusa mossa per mezzo del Bmj, i tre gruppi di ricerca presso cui la ricercatrice ha lavorato come direttore regionale per due settimane avrebbero risposto in ritardo agli eventi avversi dei pazienti e non preparato adeguatamente il personale incaricato di testare il farmaco, al punto che sarebbe stato svelato ai partecipanti se era stato somministrato loro il vaccino o il placebo. Jackson avrebbe avvertito degli errori prima Ventavia, poi la US Food and drugs administration (Fda) per poi essere licenziata il giorno stesso delle sue segnalazioni. Stando a Paul D. Thacker, giornalista investigativo e autore dell’articolo sul Bmj, l’informatrice avrebbe allegato documenti interni di Ventavia alla sua accusa, oltre a materiale audiovisivo e mail interne.

Le irregolarità denunciate dalla ricercatrice nelle sue rivelazioni, dunque, non riguardano l’efficacia del vaccino, ma superficialità e inadempienze burocratiche: si tratta di errori relativi alle provette (con nomi e numeri dei pazienti lasciati in chiaro), procedure incaute nello smaltimento del materiale clinico (aghi buttati in buste generiche per il materiale contaminato invece che nella scatola per gli oggetti taglienti) e ritardi nell’invio sui dati degli eventi avversi (inviati 2 giorni dopo invece che dopo le 24 ore previste dal protocollo). Conseguentemente, l'inchiesta accusa Ventavia di aver "manipolato i dati", un'eventualità che, se accertata, potrà avere conseguenze legali per l'azienda.

 

Inoltre, nel valutare le accuse (tutte da dimostrare) dell’autorevole giornale inglese, va considerato che l’impatto di Ventavia sul totale dei test clinici del vaccino Pfizer è molto basso: parliamo di un gruppo di partecipanti di circa mille persone a fronte di 44mila soggetti su cui è stato sviluppato il farmaco americano nelle sue varie fasi di test. L’autorizzazione, nondimeno, è stata concessa proprio grazie all’enorme mole di dati accumulati “alla velocità della scienza”, per citare le dichiarazioni dell’amministratore delegato dell’azienda, Albert Bourla, riportate anche dal Bmj.

 

Non solo: i dati dell’ultimo rapporto dell’Aifa sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19, che arrivano fino al 26 settembre scorso, registrano 120 segnalazioni di sospetti eventi avversi ogni centomila dosi somministrate su tutti i vaccini; l’85 per cento circa sono eventi non gravi, a fronte del 14,4 per cento di eventi più seri (quasi tutti risolti positivamente). In riferimento al solo Pfizer, parliamo di 4 eventi avversi gravi ogni centomila somministrazioni. Molto rumore no vax per nulla.

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