In Slovenia la pandemia si riaccende. E al confine con l'Italia si teme per i contagi
A Lubiana è record di nuovi casi e gestire la quarta ondata diventa un rebus per tutti. Soprattutto alla dogana, dove ogni giorno passano poco meno di 3.000 lavoratori sloveni diretti a Trieste e Gorizia. Al momento basta un antigenico
A chi avesse ancora dubbi sull'importanza di quel 90 per cento tanto agognato dal generale Figliuolo: nella vicina Slovenia, dove i completamente vaccinati sono meno del 54 per cento, oggi c'è più di un nuovo positivo ogni 100 persone. Due volte nell'ultima settimana si è superata la soglia dei 4.000 contagi al giorno. Calibrati sulla popolazione totale (2,1 milioni), è come se noi ne dovessimo contare 120.000. Effetto variante Delta, numeri che Lubiana non aveva mai visto. E che rischiano di diventare un problema anche oltre la dogana, dove già da qualche settimana Gorizia e Trieste sono le province italiane più colpite dalla nuova ondata (rispettivamente, 0,48 e 0,37 nuovi casi ogni 100 abitanti). Non solo, dunque, i cortei no green pass, contro cui il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga ha già fatto un perentorio appello. L'altro problema potrebbe essere proprio il flusso di transfrontalieri e virus. Non a caso la terza provincia più colpita in Italia è Bolzano, che attraverso il Brennero comunica con l'Austria, a sua volta alle prese con una significativa impennata di contagi.
In questo momento la Slovenia è il paese con il più alto tasso d'incidenza al mondo. Eppure rientra ancora nell'elenco C della classificazione del ministero della Salute, quello che comprende gran parte degli stati membri dell'Unione europea e a cui si richiede il minimo delle restrizioni per l'ingresso in Italia: passenger form e green pass, anche sottoforma di qualunque test negativo. Se l'incidenza di tamponi positivi in Slovenia è schizzata al 42 per cento e se il 30 per cento dei test antigenici è un falso negativo, come ha dichiarato Walter Ricciardi, il cluster oltre confine è presto fatto. Ogni giorno passano per Trieste e Gorizia poco meno di 3.000 lavoratori sloveni, secondo i dati della regione del 2020, alimentando una delle più importanti arterie commerciali dell'areale geografico. E lo stesso vale per chi fa il percorso opposto, perché Lubiana non richiede ulteriori certificazioni.
La situazione critica in cui si trova oggi la Slovenia è frutto di ritardi accumulati nella lotta al virus. In estate il numero di casi era crollato a un livello talmente trascurabile che il governo dichiarò "la fine dello stato di pandemia" con eccessiva sicumera. Le restrizioni si erano ridotte al minimo - locali al chiuso a capienza ridotta - e per un paio di mesi la situazione è rimasta stabile. Poi, da agosto, il graduale aumento dei contagi fino al boom esponenziale a partire dalla seconda metà di ottobre. Gli esperti si aspettano che il picco della quarta ondata verrà toccato soltanto tra fine novembre e inizio dicembre. E intanto Lubiana deve fare i conti con le ospedalizzazioni perché, più dei posti letto, in terapia intensiva manca il personale sanitario. Al punto che fra le nuove contromisure volute dal ministro della Salute Janez Poklukar c'è l'autotest nelle scuole: a partire dal 15 novembre, ogni due giorni, famiglie e corpo docenti dovranno assicurare agli alunni un tampone per garantirne la didattica in presenza, altrimenti sarà Dad. Poi è stato introdotto l'obbligo di mascherine Ffp2 nei luoghi pubblici, la chiusura serale di bar e ristoranti e un progressivo passaggio al green pass all'italiana. E per fortuna si sente comunque l'effetto vaccini: pur con un basso tasso di immunizzazione, il paese conta un quarto dei decessi rispetto a un anno fa, nonostante il doppio dei casi. "Ma se non spingeremo sulla campagna vaccinale", ha spiegato Matjaž Jereb dall'Ospedale policlinico universitario di Lubiana, "con un numero tale di contagi dovremo ricorrere all'aiuto dall'estero per rafforzare l'assistenza sanitaria".
Nonostante tutto questo, il diktat sui controlli sanitari alla dogana italo-slovena finora resta il seguente: niente di nuovo sul fronte orientale. Da Capodistria a Muggia, e ritorno.
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