Altro che resilienza, per parlare del futuro bisogna saper cambiare. Filosofia del dopo-Covid
La nostra testa non torna al punto di partenza come un metallo. Elogio del buon senso e del web che trasforma il letame in fiori. Una chiacchierata con Maurizio Ferraris
Natura, politica, tecnica e web. Sono gli argomenti del collegamento Zoom con Maurizio Ferraris. In libreria con Post-Coronial Studies (Einaudi, 136 pp., 12 euro), il filosofo torinese spera che dopo il virus si potrà parlare del futuro, non accontentandosi di compatire il mondo ma cercando di trasformarlo. Per farlo bisogna saper cambiare, dice, e allora partiamo dalla critica alla parola preferita di chi non cambia: sua maestà “resilienza”.
“È una parola magica” spiega Ferraris. “È divenuta una quarta virtù teologale. Se non sbaglio indica la proprietà di un metallo di tornare al punto di partenza. Ma è sbagliata: per fortuna la nostra testa non è come il metallo, non ritorna al punto di partenza e si spera che impari qualcosa col tempo”.
Musica per le nostre orecchie. Viene poi il tema del complotto: l’uomo è complottista per natura? “Quando accade qualcosa alla natura, noi moderni immaginiamo un mandante umano. Cherchez l’homme: all’inizio si diceva che erano gli americani contro i cinesi, poi il contrario. Nessuno ha detto che è una vendetta di Dio contro gli umani, però tutti, compreso il Papa, hanno detto che Madre Natura – la nuova divinità – si vendica dell’uomo”.
Pensa che abbiamo divinizzato la natura? “Beh, spesso si dice: i cinesi hanno mangiato i pipistrelli e la natura, per vendicarsi, ci ha inflitto il virus. È assurdo, e per capirlo basta pensare il contrario, immaginandosi i pipistrelli che mangiano i cinesi e una natura che si vendica. Siamo natura anche noi: se un leone mangia un italiano o un cinese, non si pensa che qualcosa stia contrastando l’ordine naturale, mentre si pensa che a mangiare i pipistrelli Madre Natura si arrabbi”.
Ma allora come si recupera un rapporto sano con la natura? “Attraverso il buon senso che ci porta tanto a considerare spregevole chi picchia un cane quanto a farci reputare stupido chi lascia i propri averi al gatto, visto che al gatto i miliardi o i milioni non cambiano la vita. Spesso l’accentuare questa propensione per gli animali e per la natura è un’eccellente maniera per manifestare la propria indifferenza nei confronti degli umani”.
Soffermiamoci adesso sulla natura umana e veniamo alla politica: come giudica chi, pur non negando i problemi legati al virus, protesta contro le misure adottate dal governo? “Non vedo niente di buono in quel tipo di protesta, ma bisogna capirne i motivi. Penso che gli stessi che protestano come no vax e no green pass avrebbero protestato se i vaccini non si fossero trovati. E questo è indicativo: c’è un grande processo di devalorizzazione degli umani, che non riescono a esprimersi politicamente, a sentirsi riconosciuti lavorativamente. Perciò trovano sfogo in queste manifestazioni. Ho l’impressione che i no vax a Trieste siano un po’ come gli arditi che finivano a Fiume nel ’19”.
Spiccano poi gli intellettuali: il virus ha alimentato la discussione filosofica sulla tecnica, della quale saremmo sempre più schiavi. “Il filosofo che per primo ha parlato di dominio della tecnica è stato Martin Heidegger nel 1949. Ma tre anni prima Albert Speer, a Norimberga, pur dichiarandosi colpevole, si giustificava tirando in ballo l’apparato tecnico tedesco, talmente sofisticato per cui tutti diventavano meri esecutori. Di colpo questa sua dichiarazione si è trasformata nella giustificazione universale rispetto all’umana incapacità di decidere e di sentirsi responsabili. Noi non siamo affatto schiavi della tecnica. Semmai, siamo schiavi di altri esseri umani che si servono della tecnica. È ben diverso”.
Venendo al tema del lavoro futuro, lei sostiene che dovremmo riconoscerci come produttori di valore su internet. “Non ci pensiamo, ma con un servizio offerto gratuitamente la piattaforma riesce a ottenere tantissime informazioni che servono per incrementare gli utili pubblicitari e per profilare, cioè per sapere i comportamenti di certi gruppi di individui. Qualcuno direbbe che gli esseri umani, creando valore sul web, producono la propria sottooccupazione, accrescono l’automazione e si scavano la fossa. Ora, i lavori che possono venire automatizzati non meritano di essere rimpianti, ma bisogna inventarne di nuovi”. Parla poi di un welfare del web… “Tassando le piattaforme si avrebbero risorse per creare i lavoratori del futuro, persone capaci di reagire al mondo che verrà, con un pensiero e una cultura che permettano di reinventare il futuro. Si tratterebbe di un enorme investimento, perché è stato facile per un contadino trasformarsi in operaio ma non è facile per un operaio trasformarsi in creativo. I pittori dell’Ottocento si sono visti portare via il lavoro dalla fotografia ma erano persone colte e ingegnose, e si sono inventate dell’altro. E adesso – scomparsa la fotografia – restano i pittori”.
Certo, il web produce valore informativo ma non produce sempre valore morale. Penso per esempio ai video virali su TikTok… “In realtà quello che dobbiamo perseguire è quello che io chiamo webfare. È una specie di riciclaggio, per trasformare il letame in fiori. Chi su TikTok mangia il brodo con la forchetta può diventare un interessante esperimento per acquisire dati sulle possibilità corporee degli umani. Qualche scemo che cercava di mangiare la minestra con la forchetta ci sarà stato anche nell’Ottocento. Non ce ne resta traccia. Mentre adesso puoi capitalizzare l’assurdità del suo comportamento, e questo capitale si può trasformare in soldi da investire affinché ci sia un’umanità senza più nessuno che mangia la minestra con la forchetta”.
Vasto programma, avrebbe detto qualcuno. “Certo. Ma bisogna pur avere degli ideali nella vita, e soprattutto una vita senza ricerca e senza speranza non ha valore”.
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