Dopo l'ok di Aifa
“Vaccinare i figli è un regalo di Natale. I no vax? Non serve l'obbligo. Si convincono ragionando”. Parla Richeldi
Il direttore di pneumologia del Gemelli di Roma rassicura sulle vaccinazioni under 12: "L’iter di approvazione è stato quello regolare, ma ottimizzato, rispettando tutti i passaggi di sicurezza. Le strutture sono pronte per le somministrazioni. I politici facciano politica. Io non vado a fare il loro mestiere"
I genitori italiani stiano tranquilli, la scienza ha fatto la scienza e, come annunciato dal generale Francesco Paolo Figliuolo, dal 16 dicembre si parte. I vaccini sono sicuri, anche per i più piccoli. “L’iter di approvazione è stato quello regolare, rispettando tutti i passaggi di sicurezza, ma con modalità correlate alla situazione pandemica in corso. Tempi più rapidi ovviamente, ottimizzati: sono stati portati a zero tutti quei passaggi burocratici normalmente connaturati al processo autorizzativo di un farmaco”. All’indomani dell’approvazione da parte di Aifa del vaccino per gli under 12, Luca Richeldi, direttore di Pneumologia al policlinico Gemelli di Roma, professore ordinario di malattie respiratorie all’università Cattolica ed ex componente del Comitato tecnico scientifico, rassicura e spiega al Foglio come quella dell’Agenzia italiana del farmaco sia stata una decisione opportuna e necessaria, tanto più in un momento in cui si assiste alla crescita dell’incidenza del virus proprio nella fascia di popolazione in età pediatrica.
“Un incremento dovuto alle condizioni ambientali, alla ripresa di asili e scuola e al fatto che quella dei più piccoli è oggi la fetta di popolazione completamente scoperta dal vaccino”, dice Richeldi. Insomma, chi parla di sottovalutazione di rischi da parte degli enti regolatori, lo fa in maniera pretestuosa o non del tutto disinteressata? “Penso proprio di sì”, risponde il professore: “Bisogna ricordare che questa autorizzazione è stata data anche dalla Food and Drug administration, l’ente regolatore americano, ancora prima di quanto fatto dall’Ema in Europa, attraverso un percorso molto controllato e garantista rispetto ai pazienti”. Adesso la palla passa alle Asl e ai territori, a cui arriveranno 1,5 milioni di dosi Pfizer, destinate a più di tre milioni di giovanissimi. Uno sforzo ulteriore che dovrà essere sostenuto dalle strutture vaccinali e dal personale. La macchina italiana è pronta? “Siamo assolutamente ben attrezzati: fortunatamente abbiamo un servizio sanitario pubblico che anche sulla parte pediatrica è molto ben strutturato, con una rete capillare sul territorio. E poi i percorsi per le somministrazioni sono già attivi e funzionano, mentre altri hub verranno riattivati in questi giorni: saranno certamente in grado di far fronte alle necessità”.
L’altro grande tema riguarda il consenso dei genitori, che andranno informati, e talvolta convinti, cercando in ogni caso di evitare le incertezze comunicative che hanno caratterizzato la prima parte della campagna vaccinale. “Saranno i pediatri, prima di tutto, a dare un consiglio esperto e basato sulla fiducia”, sottolinea il direttore, ma anche le istituzioni faranno la loro parte: “So che il ministero della Salute sta già studiando una campagna di sensibilizzazione. È molto importante entrare nella mentalità dei genitori, sarà fondamentale comunicare che il vaccino in un bambino è fatto, come nell’adulto e nell’anziano, con lo scopo primario, principale e direi quasi unico, di proteggere quel bambino. Come il casco in bici. Penso che la maggioranza dei padri e delle madri prenderanno come un regalo di Natale la possibilità di vaccinare i propri figli”. E però, nel frattempo, una certa politica, per lo più nella destra sovranista, ha già sollevato le prime polemiche. Meloni per esempio invoca, con un emendamento alla legge di Bilancio, un fondo risarcimenti da un miliardo.
Posizioni che non aiutano a distendere un clima già teso. “Trattandosi di una questione medico-sanitaria credo sia giusto, e abbastanza logico, che a discuterne siano gli esperti, i medici e gli epidemiologi. I politici sono importanti e fondamentali nelle scelte di politica, anche sanitaria. Ma il politico sa fare il politico, ha gli strumenti e la formazione specifici per quel ruolo. Io non vado a fare il loro mestiere. E sarebbe raccomandabile tenere i due campi di competenza più separati”, è la posizione, netta, di Richeldi.
Eppure anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è entrata nel dibattito parlando di obbligo vaccinale. “Penso che le parole di von der Leyen riflettano una profonda preoccupazione, quasi un’angoscia, per la situazione di alcuni paesi come Germania e Austria, o i paesi dell’est europeo. Ma non credo che quella sia la strada più efficace. In Italia, senza obblighi, siamo riusciti a vaccinare quasi il 90 per cento della popolazione vaccinabile. Un paese democratico, in cui ci sono state anche proteste e pareri diversi”.
Come a dire, meglio il green pass, nelle sue varie gradazioni, che la decisione più drastica? “Penso proprio di sì”. E basterà anche per raggiungere quell’ultimo 10 per cento più restio? Come si fa con loro? “Col tempo e con il ragionamento, non considerandoli stupidi o invasati, perché quasi mai lo sono. E facendo questo lavoro persona per persona, porta a porta, si portano a casa risultati importanti e altri ne raggiungeremo”. Come del resto sta accadendo in questi giorni, con le somministrazioni in crescita. Per saperne di più rivolgersi all’ormai ex No vax Pasquale Bacco, un dottore pentito.
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