Il Foglio salute
L'Italia, l'Europa e l'emergenza Covid. Le priorità del nostro sistema sanitario
I ritardi negli screening oncologici, gli investimenti necessari. Intervista a Francesco Cognetti, oncologo e presidente del “Forum permanente sul Sistema sanitario nazionale nel post Covid”
Un evento inatteso come la pandemia ha evidenziato tutte le esigenze di un sistema sanitario che, affrontate le emergenze, dovrà dotarsi di linee programmatiche di sviluppo. Il prof. Francesco Cognetti, oncologo e presidente del “Forum permanente sul Sistema sanitario nazionale nel post Covid”, richiama l’attenzione proprio sulle priorità del Sistema sanitario nazionale: “Carenza di posti letto di terapia intensiva e di degenza ordinaria, numero complessivo di specialisti applicati agli ospedali italiani, finanziamenti complessivi al Sistema sanitario nazionale, parametri tutti inferiori rispetto ai valori medi europei ed enormemente più bassi rispetto ai paesi di maggiore rilevanza (Francia, Germania, Inghilterra): parametri che ci parlano di una sanità italiana falcidiata dai tagli degli ultimi decenni. Di fatto il nostro paese ha registrato finora circa 134.000 morti per Covid pari al 2,82 per cento rispetto ai contagi e 0,22 per cento rispetto alla popolazione, dati che ci collocano al secondo posto in entrambe le classifiche ed ai primissimi posti in campo mondiale. Senza considerare l’aumento della mortalità per malattie tempo-dipendenti (prevalentemente cardiovascolari) e che a breve potrà registrarsi l’inizio dell’aumento della mortalità per tumori sulla cui entità non è possibile fare previsioni”.
Professore rimanendo nell’ambito di sua stretta competenza qual è la situazione dei pazienti oncologici?
Gli screening oncologici per la prevenzione dei tumori hanno subito numerose cancellazioni e ritardi. Dal punto di vista clinico già da mesi si osservano con una certa frequenza neoplasie più avanzate alla prima diagnosi rispetto al passato. L’ultimo rapporto sui ritardi accumulati dai programmi di screening risale al 31 dicembre 2020, stilato dall’Osservatorio nazionale screening. Per quanto riguarda lo screening per i tumori della cervice sono state 1.279.608 le donne in meno contattate nel 2020 rispetto al precedente anno, per una contrazione del 33 per cento; gli screening cervicali effettivamente realizzati sono stati 669.742 in meno (-43,4 per cento); le lesioni pre-neoplastiche diagnosticate sono state quindi 2.782 in meno. Inoltre sono stati cancellati o ritardati un numerosi interventi chirurgici di elezione, molti per patologie oncologiche: ulteriore motivo dell’osservazione alla diagnosi di tumori molto più avanzati che in passato, con la previsione purtroppo di un aumento della mortalità per tumori.
Faceva cenno alla situazione a livello europeo: come si colloca il nostro paese?
Il numero complessivo di posti letto ordinari per 100 mila abitanti è molto più basso rispetto alla media europea (314 vs 500) e ci colloca al 22esimo posto tra tutti i paesi europei. Anche per i posti letto in terapia intensiva il nostro paese non brilla: se in era pre-Covid avevamo 8.6 posti ogni 100 mila abitanti, con l’emergenza sanitaria sono stati aumentati a 14, sebbene solo una piccola parte risulterebbe poi stata effettivamente attivata, e comunque parliamo di numeri inferiori rispetto ad esempio alla Germania (33 posti letto ogni 100mila abitanti). Gli operatori sanitari inoltre sono inadeguati per la popolazione in Italia: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130 mila, 60 mila unità in meno della Germania e 43 mila in meno della Francia; gli infermieri sono nettamente inferiori a quelli di altri Paesi: 7 ogni 1000 abitanti contro 11 della Francia e 13 della Germania. Anche per le spese sanitarie correnti l’Italia è tra i fanalini di coda in Europa. Secondo i dati Eurostat l’Italia spende solo l’8,8 per cento del suo pil per la sanità, di cui circa 1,5/2 punti sono rappresentati dai contributi alla spesa dei privati cittadini, mentre paesi come Francia e Germania superano l’11 per cento. Inoltre la spesa sanitaria corrente per abitante è stata stimata in Italia intorno a 2.500 euro, contro i 5.100 euro della Svizzera, i 4.100 della Germania e i 3.800 di Francia e Regno Unito. Il Recovery Plan prevede di riservare solo l’8.3 per cento dei fondi alla sanità (18,5 miliardi su 222): 7 miliardi sono per il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale, 8,6 miliardi (3,9 per cento) per l’aggiornamento tecnologico degli ospedali e la ricerca scientifica. Dovranno essere destinate ulteriori risorse al potenziamento degli ospedali.
Arriveranno le risorse del Pnrr, al solito ciò che preoccupa rispetto al nostro Paese è la possibilità di spendere e impiegare le risorse in modo efficiente. Quale il suo parere rispetto al sostegno del sistema sanitario?
Il tema dell’impiego delle risorse è centrale anche nel nostro settore: circa il 67 per cento delle risorse stanziate nel 2020 per il recupero delle prestazioni non sono state spese dalle Regioni. L’accantonamento delle risorse è stato pari al 96 per cento nelle Regioni meridionali e insulari, circa il 54 per cento al Nord e il 45 per cento al Centro.
Tra i suoi ricorrenti richiami c’è quello sulla questione delle professioni, dei nuovi medici. Il nostro sistema non può più attendere per la ricerca di soluzioni…
Intanto c’è la necessità urgente di rimuovere il numero chiuso all’accesso delle facoltà di medicina verso un numero programmato a seconda delle esigenze. Dovremmo poi partire dall’introduzione di un numero maggiore di borse di studio per nuovi specializzandi previsti anche per il prossimo anno, soprattutto nelle specialità in particolare sofferenza di medici specialisti. Destano perplessità le assunzioni di medici specializzandi – a maggior ragione nel caso di contratti di lavoro di tipo “libero professionale” – anche prima del termine del terzo anno di formazione nel caso di durata della scuola di specializzazione di 5 anni, come purtroppo già avvenuto nei mesi scorsi a causa delle gravi carenze di specialisti in alcuni settori. Qualsiasi assunzione prima del conseguimento del titolo di specializzazione avrà inevitabili interferenze con l’iter formativo e ricadute negative sui livelli qualitativi delle prestazioni professionali rese da questi specializzandi non ancora pienamente formati. In particolare per la carenza di medici specialisti nei pronto soccorso occorre adottare soluzioni urgenti che ne evitino l’imminente collasso e che affrontino seriamente il tema della formazione specialistica di medici per l’emergenza e l’urgenza.
Come possiamo dunque sintetizzare le sue e vostre proposte programmatiche?
Possiamo incentrarle in sei punti: la realizzazione di linee guida per le regioni da parte del ministero della Salute per il recupero delle prestazioni perse e per garantire il doppio registro del Ssn (Covid e non Covid) qualora nel corso di questo inverno dovesse continuare o aumentare ulteriormente il contagio; modernizzazione strutturale degli ospedali italiani; ammodernamento con nuove tecnologie, in parte previste nel piano di finanziamento del Pnrr, da destinarsi non solo alle Irccs ma al complesso dei grandi ospedali italiani; investimento sulle discipline mediche e sul mondo delle professioni, valutando l’introduzione negli ospedali di nuove figure professionali quali per esempio i case manager, i data manager e gli infermieri di ricerca, attualmente non previste nel Ssn, nonché la rifondazione negli ospedali delle infrastrutture dell’informazione e comunicazione (Ict), oggi obsolete; ripensare l’attuale gestione monocratica delle aziende ospedaliere adottandone una partecipata, aperta alle ragioni della domanda ed a quelle della professione: rivedere il concetto di Ospedale minimo “di prossimità” (definito nel Pnrr “ospedale di comunità”, termine inappropriato, per un totale di 381 strutture) e la gestione delegata a infermieri, inadeguata a far fronte alle tante complessità delle domande di salute della medicina moderna.
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