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Covid e non solo

Storia della sperimentazione dei vaccini, prima e dopo Norimberga

Gilberto Corbellini

Per oltre 150 anni erano usati senza che fosse provata la sicurezza, mentre l’efficacia si testava sul campo. Oggi, con la pandemia, si è aperta nuova fase, caratterizzata da nuove scoperte tecnologiche e nuove procedure, che permetteranno quantomeno di abbattere tempi e costi di realizzazione e approvazione dei farmaci

Se la percezione del rischio relativa al vaccino anti-Covid è distorta nella mente di qualche milione di persone, non è solo perché molti coltivano il compiaciuto cinismo dei complottisti, ma anche perché circolano idee confuse e sbagliate su come viene controllato un vaccino venduto. Meglio: non sanno che per oltre 150 anni i vaccini erano usati senza che fosse provata la sicurezza, mentre l’efficacia si testava sul campo. 


Fino al secondo dopoguerra i vaccini erano prodotti empiricamente, da Pasteur in poi testati su animali, ma erano come il budino: la prova consisteva nel somministrarli a uno o due individui, spesso gli stessi ricercatori (autosperimentazione), vedere gli effetti e quindi allargare il raggio dei vaccinati. Vaccini sporchi, cioè contaminati, a cominciare da quello antivaioloso fino al 1896, o non controllati per l’attenuazione, come quelli contro la rabbia o la tubercolosi, causavano malattie collaterali e morti. Come conseguenza del costante uso di bambini, che spesso morivano nella sperimentazione di vaccini e trattamenti contro malattie infettive, e del decesso di 70 bambini a Lubecca (1929-30) per l’uso di vaccini con un ceppo virulento di bacillo antitubercolare bovino, lo stato prussiano emanava un’ordinanza, nel 1931, che vietava ogni sperimentazione sull’uomo senza consenso informato e l’uso di bambini nella sperimentazione medica. Quell’ordinanza rimase in vigore durante il regime nazista, ma non impedì gli omicidi, spacciati per sperimentazioni, nei lager.

Il Codice di Norimberga del 1947 stabiliva, a valle del dibattimento processuale che condannò i medici nazisti, le coordinate operative da rispettare per condurre esperimenti eticamente leciti: consenso volontario (non “informato”) obbligatorio e solo esperimenti non rischiosi ammessi. Le prescrizioni erano talmente rigide che, se fossero state applicate, la ricerca clinica si sarebbe paralizzata. Nel 1948 veniva dimostrata l’efficacia di una cura contro la tubercolosi attraverso un trial clinico randomizzato e in doppio cieco, ovvero una sperimentazione dove un gruppo riceveva il placebo, per scopo comparativo, e quindi col rischio di fare danni su quei malati: il Codice di Norimberga andava reso più pragmatico e nel 1964 l’etica della sperimentazione clinica planava sulla più ragionevole Dichiarazione di Helsinki. Da quel momento l’industria del farmaco e i medici con inclinazione per la ricerca e l’innovazione accendevano una collaborazione che da molti viene vista a vantaggio esclusivo di Big Pharma, ma che in realtà ha prodotto ben più benefici per la salute delle persone, che vanno largamente al di là di alcuni crimini che purtroppo sono stati commessi. 

 

Nel frattempo, nel 1954, negli Stati Uniti si effettuava un gigantesco esperimento sul campo con il vaccino antipolio Salk che coinvolgeva 1,8 milioni di bambini e che registrava anche un grave incidente. Quella sperimentazione, secondo i nostri standard etici ma anche secondo quelli di Norimberga, non doveva essere approvata anche solo per le incertezze sotto il profilo della sicurezza. Ma per fortuna celebriamo il coraggio di Jonas Salk. Albert Sabin, per parte sua, sperimentò il suo vaccino orale vivo negli Usa su prigionieri e nulla si sa sugli esperimenti condotti oltrecortina. Ma per fortuna celebriamo il successo e la filantropia di Sabin.

Alla fine degli anni Cinquanta si consumò la tragedia della talidomide. Il farmaco, indicato per le nausee in gravidanza, era stato commercializzato nel mondo senza adeguata sperimentazione e che causò la nascita di oltre 10 mila bambini focomelici, non entrò negli Stati Uniti perché una funzionaria dell’Fda chiese ulteriori indagini. Per evitare altri rischi il Senato Usa approvò nel 1962 un emendamento alla legge sul controllo dei farmaci per cui l’approvazione di qualunque farmaco servono prove di sicurezza ed efficacia. Da allora iniziava un complesso processo internazionale per cui tutte le agenzie regolatorie occidentali che via via nascevano, si allineavano nel richiedere all’industria i dati relativi alla sperimentazione preclinica, in laboratorio e su animali, e quindi quattro fasi di sperimentazioni clinica volte a stabilire sicurezza, posologia, efficacia e conseguenze varie dopo l’approvazione. Un effetto del sistema è stato la sua incontrollata crescita sul piano burocratico, per cui nei decenni i costi e i tempi portare sul mercato i famaci sono lievitati a circa 12-15 anni e a oltre 2miliardi di dollari. Per i vaccini i problemi, sul fronte dell’interesse commerciale, erano anche più complicati dato che non sono molto remunerativi, visto che si assumono pochissime volte, e quelli pediatrici hanno la difficoltà di arruolare bambini per la sperimentazione.

 

Come mai, si chiedono i sospettosi, se prima ci volevano almeno 10 anni, sono bastati nove mesi? Innanzitutto, perché le tecnologie erano ben conosciute e rodate – anche le piattaforme  a Rna – e non meno automatizzati erano i protocolli per condurre le sperimentazioni nelle diverse fasi, che sono state fatte in parallelo e non consecutivamente. Le agenzie regolatorie, a loro volta, hanno progressivamente ricevuto i report, e il controllo dei dati è stato condotto via via e questi erano prodotti. Non come si faceva di norma, alla fine e tutti insieme. Le approvazioni iniziali, a valle quella del controllo delle prove di efficacia e sicurezza, sono inoltre date, a nostra garanzia, in modo da avere costantemente accesso da parte delle agenzie al flusso di dati raccolti dall’industria. La Fda, in primo luogo, ha semplificato le sue procedure (dimostrando la fondatezza di critiche avanzate nel corso degli anni da parte degli economisti, non solo liberisti) ma non è certo venuta meno agli standard di sicurezza.

Quando l’emergenza sarà finita, l’insieme di invenzioni, piani di sviluppo industriale, procedure di controllo, strategie di commercializzazione e logistica produttiva e distributiva dei vaccini anticovid costituiranno un patrimonio formidabile di tecniche innovative per l’industria farmaceutica e la sanità, che quantomeno abbatteranno tempi e costi di realizzazione e approvazione dei farmaci. 

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