Il foglio salute
È ora di investire sul personale della sanità. Parla Rosy Bindi
"Mancano all’appello circa diecimila medici e almeno il doppio degli infermieri, e siamo ancor più carenti di altre professionalità che sono poi quelle che dovrebbero garantire i servizi previsti dal Pnrr", dice l'ex ministro della Salute ed ex presidente della commissione Antimafia
La lunga storia politica di Rosy Bindi, che ricordiamo aver ricoperto prima la carica di ministro della Sanità e poi quello di ministro per le Politiche per la famiglia, nonché di vicepresidente della Camera dei deputati, di presidente del Partito democratico e presidente della commissione parlamentare Antimafia, è da sempre segnata da una visione lucida e articolata. Di recente si è parlato anche di una sua salita al Quirinale, ipotesi che ha scartato ma che le ha dato modo di esporsi sul desiderio di vedere una donna come presidente della Repubblica. Interlocutrice autorevole con la quale confrontarsi, ci ha detto come la pensa su temi di stringente attualità.
Onorevole Bindi, ai fondi destinati al comparto sanitario si aggiungeranno quelli del Pnrr, rispetto ai quali serve però un invito alla cautela per non rischiare errori di valutazione visto che questi fondi andranno ripagati come debiti. Qual è il suo punto di vista?
"Si parla moltissimo di come e se sapremo spendere questi soldi, ed è corretto. Sono fondi per investimenti ma se non verranno spesi bene e con lungimiranza non produrranno crescita nel paese, e con questo non mi riferisco naturalmente solo al prodotto interno lordo ma a un benessere inteso in senso più ampio, che deve coinvolgere la qualità della vita delle persone sotto tutti i profili, compreso quello sanitario. L’attenzione deve essere rivolta al fatto che le future generazioni si troverebbero, in caso di una cattiva spesa, a dover far fronte al peso di un debito che non ha generato i benefici attesi".
Come dovrebbero essere impiegati questi fondi?
Trattandosi di investimenti saranno destinati, soprattutto in sanità, prevalentemente alla costruzione di mura e all’acquisto di tecnologie per la telemedicina, ma bisognerebbe sempre ricordare che queste mura, questi contenitori, andranno riempiti di servizi e in maniera particolare di personale, e perché ciò avvenga sarà necessario un adeguato finanziamento anche della spesa corrente, quindi del fondo sanitario nazionale.
Ha parlato di personale, che rimane un tema sensibile soprattutto in epica pandemica.
"Certo, è uno dei temi più importanti e sul quale occorre riflettere con cura. Mancano all’appello circa diecimila medici e almeno il doppio degli infermieri, e siamo ancor più carenti di altre professionalità che sono poi quelle che dovrebbero garantire i servizi previsti dal Pnrr. Ricordiamoci che costruire le case della comunità va benissimo, ma significa poi dover e poter realizzare servizi di prossimità, servizi domiciliari e più in generale servizi sul territorio in modo da garantire continuità assistenziale e tutte le cure primarie. Abbiamo visto che è questo il sistema su cui ragionare per il futuro, e occorre che il futuro sia ora. Le professionalità cui facevo riferimento mancano nel nostro Servizio sanitario nazionale, e a fronte della necessità del loro impiego bisognerebbe abolire il tetto di spesa per le assunzioni, che invece persiste nella legge di Bilancio di quest’anno."
Qual è il rischio?
"Che se non ci sarà sufficiente personale produrremo mura e tecnologia per la telemedicina, ma chi riempirà gli spazi e chi utilizzerà quella tecnologia? Il rischio è che non avvenga il passaggio della trasformazione in servizi, al quale aggiungo quello per cui diventa facile prevedere che se il personale sarà carente le linee private della sanità italiana organizzeranno anche l’assistenza territoriale, indebolendo così il servizio pubblico. Ci troveremo inoltre a dover fare i conti con una difformità che non sarà più solo quella tra nord e sud, ma che riguarderà le regioni stesse visti i diversi modelli organizzativi e la quasi totale assenza, in alcuni luoghi, dell’assistenza territoriale".
Si è spesso spesa in tema di vaccini, sottolineando come l’accesso alle dosi sia un bene comune dal quale non si possa prescindere. A che punto siamo?
"Il momento è complesso e bisogna tornare a ragionare in termini di diritto alla salute. Sono convinta sia necessaria una sospensione temporanea dei brevetti, questo non per andare contro la ricerca o il mondo del pharma, ma in un’ottica di collaborazione e di accordo perché con gli attuali prezzi dei vaccini non sarà certamente possibile vaccinare tutto il mondo, ma a guardare bene nemmeno tutta la parte ricca del mondo. Non ci possiamo permettere questa spesa, per questo occorre una politica più autorevole e una focalizzazione sul superamento di questo stato che ci sta prostrando. L’Italia è un paese che cura tutti, e il concetto del bene, inteso anche come salute, non può essere individuale ma va inteso in senso collettivo: i vaccini in questo momento sono uno strumento di difesa, dobbiamo poterlo garantire a tutti guardando anche fuori dai nostri confini, e facendo il modo che il sistema universalistico che abbiamo adottato e che ci rende un faro nel panorama mondiale, possa essere esportato, almeno in questa occasione, anche oltre la nostra nazione".