l'intervista
Abrignani (Cts): “Lo stato deve imporre l'obbligo vaccinale”
Omicron, pillole, vaccini. Si può essere ottimisti? Parla l'immunologo componente del Comitato tecnico scientifico. "Una minoranza non può condizionare la vita di una collettività"
In Italia è in forte crescita la variante Omicron. Da una stima basata sulle analisi preliminari dei tamponi raccolti per l’indagine rapida condotta lo scorso 20 dicembre dall’Istituto superiore di sanità potrebbe essere intorno al 28 per cento a livello nazionale. Nonostante ciò, grazie alle nuove “armi” messe a disposizione dalla scienza, possiamo guardare al 2022 con cauto ottimismo. Ne è convinto Sergio Abrignani, immunologo e componente del Comitato tecnico scientifico.
Sicuramente restano alcune incognite e elementi di rischio, a cominciare da quei circa 6 milioni di italiani che avrebbero potuto vaccinarsi ma hanno deciso di non farlo. “Di questi sono 3 milioni quelli con più di 50 anni e 1,4 milioni quelli con più di 60 anni. E purtroppo sono soprattutto queste le persone che più rischiano il ricovero in terapia intensiva ed il decesso. La carne per il mostro è proprio quella”, spiega Abrignani. E di fronte alla maggiore trasmissibilità di Omicron anche l’ipotesi che questa possa comportare una malattia più lieve rispetto alla variante Delta passa in secondo piano. “Secondo le prime stime dell’Imperial College, Omicron potrebbe comportare un 30-40 per cento in meno circa di severità per le polmoniti causate dal Covid. Un dato viziato dal fatto che oggi, a differenza dello scorso anno, abbiamo oltre l’80 per cento della popolazione protetta dai vaccini – spiega Abrignani –. Ora, anche se questi dati trovassero conferma, dovremmo comunque fare i conti con un virus circa quattro volte più infettivo rispetto alla variante precedente e con tempi di raddoppio di appena 2,5 giorni ben diversi dai 10-12 giorni di Delta. Questo comporterebbe un carico enorme sulle nostre strutture ospedaliere. Avendo infatti meno malattie in percentuale sugli infettati, ma registrando molti più infettati a causa dell’alta trasmissibilità, avremo un sovraccarico sul Servizio sanitario nazionale. Cosa che invece non rischieremo di avere senza questi milioni di non vaccinati”, sottolinea l’esperto del Cts.
E per rafforzare questa tesi, Abrignani cita il dato attuale riguardo l’occupazione dei posti letto nelle terapie intensive. Sono 1010 le persone ricoverate in questi reparti a livello nazionale, “ma più dell’80 per cento di questi sono non vaccinati. Se fossimo tutti vaccinati – aggiunge – avremo circa 200 persone ricoverate nelle terapia intensive, rappresentati per lo più da over 70 con diverse patologie pregresse, dal momento che sappiamo che il vaccino è efficace circa tra l’83 e l’85 per cento nella prevenzione della malattia grave. Sarebbero dunque numeri facilmente gestibili. Quanto ai decessi, non avremo 120 morti ma intorno ai 20 decessi giornalieri. Numeri paragonabili a quelli che registriamo durante il periodo estivo”.
Tutto questo ha però ricadute sull’intera collettività. Sappiamo infatti che per il passaggio di “colore” tra le diverse zone di rischio si tiene conto, ormai da mesi, non più della sola incidenza dei contagi ma soprattutto dei tassi di occupazione di area medica e terapia intensiva. Un aumento repentino dei ricoveri potrebbe quindi portare diverse regioni a passare in zona arancione, se non addirittura rossa nelle prossime settimane. “Una esigua minoranza della popolazione sta di fatto condizionando la vita di tutti – ha sottolineato Abrignani –. I numeri che vediamo nel Regno Unito con oltre 100 mila casi di Covid al giorno presto potremmo registrarli anche noi. Rispetto a loro, siamo indietro di circa 10 giorni, non di mesi. E sappiamo con quanta velocità cresca Omicron. Già a capodanno potremmo raggiungere i dati britannici con tutte le conseguenze del caso in termini di aumento di ricoveri e passaggio di colore per alcune regioni. Quando una minoranza condiziona in questo modo la vita della collettività, lo Stato deve imporre l’obbligo vaccinale”.
Nonostante questo, però, possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno visto che affronteremo la nuova sfida rappresentata da Omicron con i tre quarti della popolazione vaccinata, una campagna vaccinale per la somministrazione delle terze dosi che sta procedendo speditamente e con l’arrivo di due nuovi armi contro il Covid rappresentate dal nuovo vaccino di Novavax, il quinto approvato in Europa, e dall’imminente arrivo a gennaio delle pillole anti virali di Merck e Pfizer. “In particolare – prosegue Abrignani – l’anti virale di Pfizer sembrerebbe limitare la progressione della malattia nel 80 per cento dei casi riducendo così i ricoveri in terapia intensiva per le persone più a rischio. Se questi dati dello studio di Fase 3 trovassero conferma sarebbe una grande novità. Anche perché è somministrabile con molta più facilità a domicilio rispetto agli anticorpi monoclonali che al momento restano invece un farmaco ospedaliero. Dobbiamo poi aggiungere che contro Omicron al momento vi è solo un anticorpo monoclonale efficace. Quindi l’arrivo di questi nuovi prodotti potrebbe essere determinante. Anche se, è sempre bene ricordarlo, prevenire è meglio che curare e nulla sostituisce i vaccini”.