I motivi per cui lo stato dovrebbe imporre l'obbligo vaccinale
In pandemia, lo stato ha il privilegio del monopolio sulla coercizione legittima: lo usi. È una scelta necessaria di deontologia liberale
Basta con questo tira e molla. L’obbligo vaccinale universale è condizione urgente e necessaria, per quanto non sufficiente, per uscire dall’emergenza pandemica. La politica ha imposto ogni tipo di vincolo, talvolta arbitrario e troppo spesso inutile, alla vita dei cittadini, limitandone la libertà e danneggiandone gravemente i diritti di proprietà, con uno stillicidio di decreti la cui efficacia si colloca tra le gride manzoniane e le sindrome da control freak. Le istituzioni hanno invocato tutti gli obblighi pensabili, eccetto l’unico che ha efficacia certa e verificabile: il semplice, tradizionale, storico principio di sanità pubblica adottato nelle precedenti pandemie, da oltre un secolo, ovvero la vaccinazione obbligatoria per tutti i suscettibili.
Lo stato ha approfittato dell’emergenza Covid per estendere e moltiplicare i propri poteri tentacolari di interferenza, introducendo a flusso continuo, solitamente tardivo e notturno, disposizioni di micromanagement sanitario e prescrizioni comportamentali tanto minuziose quanto inapplicabili, tanto più in quanto prive di adeguati processi di raccolta e analisi dei dati empirici che ne sostenessero – almeno ex post – la razionalità e l’accountability.
Al contrario, l’obbligo vaccinale è espressione razionale ed efficace di una scelta di minimizzazione dell’intervento coercitivo dello stato, combinata alla massimizzazione della sua efficacia; esso è inoltre formulato in prospettiva generale e universale, invece di essere frammentato in mille fattispecie diverse, come del resto dovrebbe essere una legge e come invece non saranno mai le nuove e fumose “fonti del diritto” di epoca contiana, quali le faq dei dpcm.
L'obbligo vaccinale a livello pratico e teorico
La discussione sull’obbligo vaccinale va affrontata su due livelli, diversi ma complementari: il piano del pragmatismo – ovvero dell’analisi costi/benefici – e quella della deontologia liberale – ovvero dei princìpi e dei diritti.
Sul piano del pragmatismo, i benefici sanitari, sociali ed economici dell’obbligo vaccinale – in Italia ci sono oltre una decina di vaccini obbligatori tuttora vigenti – sono così clamorosamente evidenti e comprovati da oltre un secolo che viene il sospetto che nel governo manchi qualcuno con le adeguate competenze in materia di sanità pubblica.
Un primo argomento pragmatico è relativo agli impatti sul sistema sanitario. Un ciclo di cura per un caso grave di Covid può costare decine di migliaia di euro, a fronte di poche decine di euro per un vaccino. Un ricovero comporta l’impegno per giorni, spesso per settimane, di numeroso personale sanitario specializzato. Una vaccinazione richiede pochi minuti. Omettendo di applicare l’obbligo vaccinale, stiamo imponendo un peso inaccettabile e ingiustificato, per il terzo anno consecutivo, a chi opera nel servizio sanitario nazionale. I No vax, sui quali l’infezione genera pesanti conseguenze con probabilità che sono un ordine di grandezza superiori a quelle dei vaccinati, causano enormi costi sanitari addizionali sotto forma di reparti speciali per i pazienti Covid e di personale da dedicare alle terapie intensive. Già oggi, a causa della quota di non vaccinati, il sistema sanitario sopporta un peso quattro-cinque volte superiore a quello che affronterebbe in una situazione di copertura vaccinale generalizzata. In pratica i No vax determinano un’ingiustificabile tassa di molti miliardi a carico di tutti i contribuenti, che pure già pagano i costi della prevenzione con vaccini gratuiti e facilmente fruibili. Inoltre, a causa della saturazione delle risorse, i pazienti di altre patologie si vedono negati o ritardati esami, cure e attenzioni. Siamo di fronte a un clamoroso paradosso del welfare sanitario universale: l’azzardo morale di chi, per opportunismo, rifiuta di vaccinarsi è indotto e de facto giustificato dalle istituzioni, incapaci di fare la scelta più semplice e razionale in pandemia: l’obbligo vaccinale. Insieme ai contribuenti e ai pazienti di altre patologie, è il personale sanitario a sostenere il peso maggiore di questo paradosso: condizioni di lavoro pesantissime, rischi sulla propria salute, probabilità di finire in quarantena sospendendo il servizio ai pazienti.
Un ulteriore argomento pragmatico è relativo alle esternalità negative sociali ed economiche determinate dai No vax. La necessità di garantire i servizi sanitari essenziali, che vengono saturati più che proporzionalmente dai No vax contagiati, induce le autorità a imporre restrizioni alla libertà e ai diritti di proprietà dei cittadini penalizzando l’economia se non addirittura impedendo l’attività di interi settori quali il turismo, gli spettacoli, lo sport, l’educazione e i servizi alla persona. Le stringenti norme sulla quarantena imposta ai contatti stretti, anche se non sintomatici e negativi al test, costituiscono un ulteriore problema. Con una diffusione fuori controllo e un indice di trasmissibilità come quello della variante Omicron, il rischio è di bloccare il funzionamento dei servizi essenziali. Su questo punto, il governo è finito in un dilemma. Se allenta i criteri sulla quarantena in un periodo di grande espansione del contagio, mette deliberatamente ancora più a repentaglio i meno protetti, ovvero i No vax, generando quindi un aumento più che proporzionale del carico sul sistema sanitario e quindi superando le soglie oltre le quali scatta il lockdown de iure. Se li mantiene, rischia di mandare il paese in lockdown de facto, per carenza di personale disponibile in molti processi di servizio, o più semplicemente di affidare il rispetto della quarantena all’interpretazione soggettiva di famiglie e imprese, certificando così la propria incapacità a far applicare le norme a causa del collasso logistico dei processi di testing e tracing.
Purtroppo l’efficacia della decisione sull’obbligo vaccinale ha un ritardo significativo prima di poter produrre i suoi effetti e quindi consentire la rimozione dei vincoli emergenziali. Ne deriva una ancora maggiore responsabilità delle istituzioni nel non avere introdotto l’obbligo vaccinale fin dall’inizio. L’errore delle autorità è stato duplice: dapprima hanno preferito illudersi che per il Covid ci fosse una soglia predefinita di immunità di gregge e che tale soglia fosse inferiore alla percentuale attesa di spontanea adesione vaccinale. Nonostante la scienza ripetesse che non era possibile, per un virus poco conosciuto e in continua evoluzione, conoscere ex ante la soglia della presunta immunità di gregge, il governo ha continuato a pianificare la campagna vaccinale su base volontaria, dandosi inizialmente come presunto target salvifico l’80 per cento degli adulti (pari a poco più di due terzi della popolazione residente), salvo poi scoprire che tale scelta, oltre a contraddire sfacciatamente le raccomandazioni degli scienziati, era wishful thinking a fronte delle nuove varianti del virus.
Il secondo grave errore è stato considerare la grande maggioranza dei No vax come soggetti suscettibili a un’opera di convincimento razionale o comunque influenzabili con qualche vago appello morale. Così facendo, è stato loro riconosciuto un implicito potere di negoziazione, se non di vero e proprio ricatto, verso la maggioranza di cittadini leali. Ciò ha trasformato una ingiustificata – e comunque irresponsabile – scelta individuale in un collante perfetto per favorire la costituzione di un movimento collettivo, anzi in un tacabanda per la carovana mediatica che di quella danza macabra si è fatta becera grancassa. Tuttavia non ha senso oggi prendersela con i No vax. Sono solo liberi cittadini che esercitano il proprio diritto alla stupidità, intesa alla Carlo Maria Cipolla, ovvero scelta che fa del male contemporaneamente agli altri e a se stessi. E’ un diritto che viene loro riconosciuto da una classe politica inadeguata, che si conferma ancora una volta – salvo poche, lodevoli eccezioni – la più improbabile ciurma di incapaci mai imbarcata sul già fragile vascello del nostro parlamento repubblicano.
Lo stato ha il monopolio sulla coercizione legittima: lo usi
Poiché non sussistono giustificazioni possibili per questo clamoroso fallimento della politica sul piano del pragmatismo, si potrebbe quindi pensare che la mancata decisione sull’obbligo vaccinale sia dipesa da una forma, per quanto distorta, di rispetto per la deontologia liberale. Si danno infatti casi, nella riflessione sull’etica pubblica, in cui vadano privilegiati i principi anche a fronte di un elevatissimo prezzo in termini di vite umane. Come scrive magistralmente Walter Block sul Journal of Libertarian Studies (24, 2020), “la quintessenza della questione libertaria non è come salvare il maggior numero di vite; che è secondario ed emana, in ogni caso, dall’applicazione della corretta deontologia. I diritti, non il pragmatismo/utilitarismo, sono il vantaggio comparato dei libertari”. Per chi fin dall’inizio della pandemia ha seguito il dibattito internazionale degli studiosi liberali sul tema, dovrebbe essere chiaro che, per l’epidemia di Covid, il principio di non aggressione (Nap, Non Aggression Principle) va applicato in maniera prioritaria non al pur legittimo ma subordinato diritto di habeas corpus del singolo individuo, bensì ai processi di trasmissione di un virus potenzialmente letale in via diretta e comunque devastante in via indiretta per la vita, la libertà e i diritti di proprietà di tutta la popolazione mondiale. La prevenzione della pandemia e dei suoi innegabili ed enormi danni non può essere quindi affidata a libere decisioni decentralizzate e individuali, secondo il principio hayekiano, semplicemente perché la trasmissione del virus non è questione di preferenze personali, ma di fenomeni biologici deterministici, dovuti alla volontà e capacità di un parassita di svilupparsi e riprodursi a scapito del proprio ospite. “Se la diffusione, sebbene involontaria, di un virus potenzialmente mortale non è una violazione di diritti altrui, allora nulla lo è”, scrive sempre l’ultra-libertario Block, che conclude la sua valutazione deontologica con una posizione esplicita: “Obbligherei qualcuno a farsi vaccinare per motivi libertari? Certo. Non tanto per salvarlo. Sarebbe paternalismo. Ma, piuttosto, per salvare la vita di chi è vulnerabile. Se qualcuno rifiutasse la vaccinazione, lo condannerei in quanto minaccia di omicidio di massa”.
Come già discusso mesi orsono qui, va quindi ribadito che l’obbligo vaccinale in una pandemia devastante non è da considerarsi tema di opinioni soggettive, bensì scelta necessaria di deontologia liberale. Che cosa poi succede a quei pochissimi che, storicamente, non si sottomettono all’obbligo vaccinale per legge è semmai un problema di ordine pubblico, non di politica sanitaria né di deontologia liberale. Le percentuali di adesione all’obbligo vaccinale rilevate tra le categorie interessate, anche nel caso del Covid, sono altissime, e si collocano nell’intervallo tra il 96 per cento e il 99 per cento e oltre dei soggetti target. Una percentuale del tutto residuale di soggetti reticenti non sarebbe ragionevolmente in grado di costituire una minaccia sanitaria, ma semmai costituirebbe un problema di rispetto della legalità. Se oltre a non saper gestire una pandemia, lo stato non riesce nemmeno a far rispettare le proprie leggi, allora siamo di fronte a un caso di infezione non solo biologica, ma anche democratica. Le sanzioni all’obbligo vaccinale sono già oggi in vigore per molte categorie di cittadini e di lavoratori e vanno comunque commisurate alla gravità della violazione. Ma poiché lo status vaccinale di ogni cittadino è noto alle autorità pubbliche tramite il fascicolo sanitario, l’eventuale mancato rispetto dell’obbligo sarebbe evidente e facilmente perseguibile con immediate sanzioni economiche e/o di restrizione della libertà personale. In pandemia, lo Stato ha il privilegio del monopolio weberiano sulla coercizione legittima: lo usi con saggezza e fermezza.