Manuale aggiornato di convivenza col virus
L'anno scorso non esistevano trade-off, ora è diverso: lo spartiacque è il vaccino. I No vax si ostinano a vivere come se fossimo nel 2020, e dunque accettino i lockdown. Ma la vaccinazione ora consente al resto della società, come spiega Tony Fauci, di funzionare correndo qualche rischio ragionato
Le nuove norme del governo per contenere l’ondata epidemica segnano, ancora di più rispetto a prima, un cambiamento nella gestione della pandemia. Da un lato misure meno restrittive, ad esempio sul fronte delle quarantene, per i vaccinati; dall’altro misure più stringenti per i No vax. Si allarga quindi il fossato tra due pezzi della società, uno largamente maggioritario e uno più piccolo, che vivranno con regole sempre più diverse nella stessa comunità. E questo perché una parte del paese ha deciso deliberatamente di vivere nelle condizioni del 2020, quando non c’erano i vaccini, e pertanto le si applica quel set di misure che si usavano all’epoca dei lockdown per evitare che, riempiendo gli ospedali, trascinino in quel mondo anche il resto della società che ha scelto di vaccinarsi.
Per tutta la prima fase del Covid l’epidemia è stata gestita secondo una giusta convinzione: non ci sono trade-off. Non viene prima l’economia né viene prima la salute, perché stanno dalla stessa parte. Più si diffonde il virus e tanto più grandi saranno il disastro sanitario e quello economico. Ed è stato così: nel 2020 i paesi più colpiti dal coronavirus sono anche quelli che hanno registrato una più profonda contrazione del pil. Le cose, però, sono cambiate con l’arrivo del vaccino. Con un’elevata protezione dal decesso e dal ricovero, il controllo del contagio è diventato un problema relativo. Non conta finché non diventa una minaccia per la tenuta del sistema sanitario. Tanto più che, con la nuova variante Omicron, il virus si è fatto al contempo più contagioso e meno grave. Da un lato è diventato più difficile contenere il contagio e dall’altro venivano applicate misure di isolamento molto dure per un numero crescente di infetti asintomatici o con sintomi molto lievi. Questo meccanismo ha fatto emergere un trade-off che prima non c’era: applicare norme troppo restrittive in questa situazione non rischia di fare più male che bene? Bloccare per troppo tempo milioni di persone sane e vaccinate, tra positivi e contatti stretti, non avrà un costo superiore ai benefici?
L’Italia ha dimezzato la quarantena da 10 a 5 giorni, almeno per i vaccinati, mutuando una decisione che era già stata presa negli Stati Uniti dai Centers for disease control and prevention (Cdc), l’autorità di sanità pubblica che si occupa di malattie infettive. E per la prima volta, almeno in maniera così esplicita, le nuove linee guida sono state giustificate partendo da un razionale scientifico (la trasmissione del virus avviene nell’85-90% dei casi nei primi cinque giorni) ma anche in base a esigenze sociali. “Le persone hanno bisogno di tornare a lavoro”, ha detto la direttrice dei Cdc Rochelle Walensky, e quindi alla base della decisione c’è anche “ciò che pensavamo che le persone sarebbero state in grado di tollerare”.
Ancora più chiaro è stato Anthony Fauci, l’esperto di malattie infettive e consigliere di Joe Biden, solitamente molto cauto sulle aperture. “Data l’enorme ondata di contagi in corso, c’è il pericolo che ci siano così tante persone asintomatiche in isolamento per tutti i dieci giorni, che si potrebbe avere un forte impatto negativo sulla nostra capacità di far funzionare la società”. Fauci ha precisato che questo nuovo protocollo – 5 giorni di quarantena e 5 di mascherina – non è esente da rischi, come non lo è alcuna scelta quando si parla di Covid, ma ha aggiunto che ciò che ha guidato le autorità sanitarie è stata la ricerca di “un equilibrio tra ciò che è sicuro e scientificamente fondato e ciò che può portarci a far funzionare la società”.
Siamo insomma nel territorio del “rischio ragionato”, quello che aveva portato ad aprile il premier Mario Draghi ad aprire tutto, nonostante alcune previsioni catastrofiche. E paradossalmente è stato proprio il vaccino a portarci in questo mondo di incertezza relativa, che è in continua evoluzione perché dipende da come cambia nel tempo la protezione della vaccinazione e come muta il virus nelle sue nuove varianti. E’ un mondo con un equilibrio più precario, dove le regole cambiano spesso alla ricerca di un bilanciamento tra esigenze contrapposte e mutevoli. Ma è un mondo nettamente migliore di quello in cui si viveva con la certezza di dover contenere a tutti i costi il virus (si parlava di “strategia zero Covid”), anche con lockdown prolungati, per evitare una catastrofe. Quello è un modello che per fortuna ora a resiste solo in Cina, dove non a caso i vaccini non sembrano funzionare granché.