i nuovi dati
Contro Omicron i vaccini sono efficaci otto mesi
Dopo l'iniziale incertezza arrivano i risultati delle prime ricerche che dimostrano come la vaccinazione rappresenti ancora la miglior forma di protezione, anche rispetto alla nuova variante
Un vaccino contro un virus stimola tanto la produzione di anticorpi che la differenziazione dei giusti linfociti T; gli anticorpi impediscono l’azione del virus, rendendolo inattivo, mentre le cellule T da una parte coordinano in maniera appropriata il resto del sistema immune (sia i linfociti B, che producono anticorpi, sia altre cellule come per esempio i macrofagi), agendo come una sorta di “direttori d’orchestra” della reazione immunologica, e dall’altra attaccano le cellule infette e le distruggono, impedendo a quelle stesse cellule di funzionare da “fabbrica di virus”. Ora, nel caso di tutti i vaccini contro il coronavirus noi sappiamo già che gli anticorpi calano rapidamente, così che non vi è più immunità “sterilizzante” e il virus riesce a infettarci.
Tuttavia, la risposta mediata dalle cellule T era stata già dimostrata in seguito alla vaccinazione, ed era stato anche dimostrato che la severità della malattia Covid-19 indotta dal virus era inversamente proporzionale a questo tipo di reazione immune, tanto più efficace quanto più specifica. L’estate scorsa, inoltre, abbiamo saputo che la risposta cellulare di tipo T durava a lungo, vale a dire si sviluppava una memoria immune di tipo T che arrivava almeno a dieci mesi, il che faceva ben sperare sul fatto che almeno la protezione clinica conferita dai vaccini, come abbiamo appena detto legata anche alla risposta di tipo T, potesse durare per un tempo non brevissimo.
Con l’arrivo di Omicron, vista la capacità elevata di questa variante di evadere la risposta anticorpale, era cruciale stabilire se la memoria T indotta dai vaccini fosse rimasta in piedi, quale fosse il suo livello e quale la sua durata.
A partire dal 28 dicembre, abbiamo ottenuto risposte da diversi studi, tutti ancora come preprint, ma tutti coerenti e di buona qualità. In quella data, uno studio di ricercatori sudafricani e uno di californiani hanno mostrato come la risposta T indotta dai diversi vaccini, e in particolare quella dovuta a distanza di tempo alle cellule di memoria di tipo T, fosse attiva contro Omicron.
Uno studio olandese, pubblicato il giorno dopo, era andato in un dettaglio maggiore, mostrando come i “direttori d’orchestra”, cioè il linfociti T di tipo CD4+ differenziati a seguito di un qualunque vaccino, rispondessero allo stesso modo al ceppo originale e alle varianti Beta, Delta e Omicron, e come questa risposta fosse intatta fino a sei mesi dal completamento della vaccinazione.
Quindi, il 30 dicembre, i ricercatori dell’Irc Santa Lucia di Roma avevano aggiunto un ulteriore, importante tassello: la risposta T contro la proteina Spike di Omicron era ridotta anche di molto nei confronti delle sue parti mutate, ma era globalmente comunque efficace nel 100 per cento di 61 soggetti esaminati, perché largamente diretta contro regioni non toccate dalle mutazioni di Omicron; questo tanto per i “direttori d’orchestra”, i linfociti T CD4+, quanto per i “killer” delle cellule infette, i linfociti T CD8+, e allo stesso modo sia in conseguenza di precedenti infezioni che di vaccinazione.
L’ultimo, importante tassello è arrivato il 3 gennaio: ricercatori israeliani e di Harvard hanno non solo confermato tutti i dati precedenti, ma hanno anche mostrato che la risposta di memoria T, sia di tipo CD4+ che CD8+, è mantenuta integra anche per Omicron fino ad almeno otto mesi di distanza dalla vaccinazione, per qualunque vaccino, e ha la stessa intensità della risposta contro Delta e contro il ceppo originale.
A questo punto, il contributo del nostro sistema immune alla difesa contro Omicron, se opportunamente addestrato con i vaccini, appare chiaro; e considerato che ottenere l’immunità mediante vaccino non costa i morti di quella ottenibile per circolazione di un virus, il vantaggio della vaccinazione, nonostante Omicron, è ancora largamente dimostrabile.
Trattamenti farmacologici
Anche l'Italia si sveglia e frena sull'uso dei bloccanti della pubertà
Rapporti alla mano /22