Il Covid e la scienza che s'inchina (un po' troppo) alla politica
Al mondo della politica il conforto della scienza ormai pare essere quasi superfluo per cui si prendono decisioni sulla base di considerazioni di opportunità ed equilibri tra fazioni. Chapeau a Draghi che ha fissato dei paletti. Il punto sulla scuola
La scienza si inchina alla politica. Le decisioni del governo Draghi prese mercoledì scorso in Consiglio dei ministri sono a mio parere condivisibili; tecnicamente sono decisioni che avrebbero dovuto e potuto essere prese qualche tempo fa e male non avrebbero fatto al sistema sanitario se adottate tempo addietro. Infatti se queste indicazioni fossero state date qualche settimana fa, probabilmente avrebbero aiutato a non aumentare i ricoveri e le terapie intensive come invece avviene oggi, avvicinando le percentuali di occupazione dei letti ai livelli di guardia, preludio per il cambio di colore delle regioni. Personalmente il limite dei 50 anni lo avrei esteso anche ai 40, come premessa per l’adozione dell’obbligo generale.
Altro punto di relativa criticità nelle decisioni di mercoledì è il rinvio a febbraio di un obbligo che avrebbe potuto perfettamente essere dato a pochi giorni da oggi, massimo due settimane. A metà febbraio saremo probabilmente fuori da questa nuova ondata e potremo essere nelle condizioni di doverci preparare agli effetti di una eventuale nuova variante! Dico che la scienza si inchina solo perché negli ultimi giorni non si è visto il dibattito scientifico propedeutico al Cdm. Solo qualche rara immagine del presidente dell’Istituto superiore di Sanità che presumibilmente riferiva, con la consueta precisione, i dati dei sette giorni precedenti, come regolarmente avviene da due anni, tutte le settimane.
Il mitico Comitato tecnico-scientifico (Cts) che ha puntualmente accompagnato dal 7 febbraio 2020 le decisioni della politica, risulta oggi quasi assente, sembra infatti che l’ultima riunione che hanno fatto i suoi membri risalga al 29 dicembre. All’epoca in cui ho coordinato il Cts era buona abitudine riunirci anche tutti i giorni in situazioni di emergenza, e a dir la verità quella di questi giorni mi pare davvero una nuova situazione di emergenza.
E’ evidente che al mondo della politica il conforto della scienza ormai pare essere quasi superfluo per cui si prendono decisioni sulla base di considerazioni di opportunità, equilibri tra fazioni politiche diverse, tra chi vuole il 100 per cento e chi offre la disponibilità del 20 per cento. Devo ammettere che in certi momenti la regole della politica che governano in questo periodo la pandemia nel paese mi sembrano quelle di un grande suk, dove l’esercizio della trattativa è parte integrante dell’acquisto. Peraltro, non deve essere stato facile per il presidente Draghi trovare il giusto equilibrio e mediare queste differenti posizioni. Comunque “chapeau” al premier che alla fine ha tenuto il punto e fissato dei paletti in qualche modo coerenti con una pur rigorosa gestione della pandemia, come è avvenuto, piaccia o meno a molti, nei due anni precedenti. Noi usciremo da questo disastro solo se manterremo la barra del timone diritta e con rigore non ci lasceremo influenzare da frange minoritarie, che nulla hanno a che vedere con valutazioni scientifiche di lotta a un nemico ben armato e che solo con l’intelligenza verrà sconfitto.
Due parole sulla scuola; qualche giorno fa scrivevo su questo giornale della “cronaca di un disastro annunciato”; purtroppo devo confermare oggi quello che ho scritto tre giorni fa. Tutto fa prevedere che la scuola sarà ancora la vittima sacrificale del sistema. A poco serviranno i molti milioni di euro annunciati dal ministro Bianchi se il sistema non è, oggi e non domani, operativo. Quei soldi arriveranno a destinazione, forse, fra settimane o mesi ma la scuola apre lunedì 10, e tutto fa prevedere che già a metà della prossima settimana avremo una buona riduzione delle aperture. Delta e Omicron sanno bene come operare in assenza di chiare difese da parte nostra. Insisto sulla necessità di una task force dedicata alla scuola, dell’urgenza di ricreare quel sistema costruito per servire esclusivamente e puntualmente le necessità sanitarie del mondo scolastico. Appoggiarsi alle aziende sanitarie del territorio per le esigenze emergenziali della scuola è senza speranza, oltretutto in un momento come quello attuale di grave stress del sistema sanitario già carente di organico e ora sofferente per la falcidia di casi che colpisce anche il personale sanitario.
Ripeto affermazioni più volte urlate nel deserto della politica: che senso ha mantenere centri commerciali, palestre, piscine, musei, negozi, bar e ristoranti aperti e le scuole chiuse? Per molti politici nostrani evidentemente sono più pericolose alcune ore di frequenza scolastica con obbligo di mascherina e attenta osservazione dei docenti che la piena libertà in altrettante ore intorno al tavolino di un bar dietro a uno o più spritz! Non dico altro sulla comunicazione scientifica istituzionale, solo che mi pare una battaglia ormai persa, e purtroppo l’esperienza mi ricorda che in emergenza la comunicazione è parte essenziale per il successo dell’intervento.
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