Meno quarantena, ma più tamponi. Lezioni dal Regno Unito
Il governo di Boris Johson ridurrà da sette a cinque giorni la durata dell’isolamento per i casi di Covid. Ma per seguire la strategia inglese bisogna rafforzare la nostra capacità di testing
Nel Regno Unito cambia di nuovo la policy sull’isolamento per i casi di Covid. Meno di un mese fa, il 22 dicembre, la quarantena per i positivi era stata ridotta da dieci a sette giorni, a condizione di due tamponi negativi nel sesto e settimo giorno. A partire dalla prossima settimana, la durata dell’isolamento sarà ridotta da sette a cinque giorni. Ad annunciarlo è stato il ministro alla Salute, Sajid Javid. Per poter tornare in piena libertà le persone dovranno comunque sottoporsi a due tamponi rapidi negli, uno al quinto e l’altro al sesto giorno, che dovranno dare un esito negativo. A far cambiare parere sono i dati emersi da uno studio scientifico della Health security agency del Regno Unito, secondo cui “circa due terzi dei casi positivi non sono più infettivi entro la fine del quinto giorno”. Ma, attraverso il testing, si può abbattere il periodo di isolamento garantendo al contempo un alto grado di sicurezza peer la comunità.
La Health security agency ha stimato che, dopo dieci giorni di isolamento, il 5 per cento delle persone risultate positive al Sars-Cov-2 sono ancora infettive. Con la riduzione del periodo di isolamento a sette giorni, e con due risultati negativi consecutivi ai tamponi rapidi dopo cinque giorni, si stima che il 6 per cento delle persone sia ancora infetto al termine dell'isolamento. In pratica cinque giorni e due test danno le stesse garanzie di dieci giorni di isolamento. Di contro, con un solo test negativo al settimo giorno, così come attualmente previsto in Italia, il 9 per cento delle persone risulterebbe ancora contagioso. Una quota più elevata. Il senso è che si può ridurre notevolmente la durata della quarantena, ma aumentando i test. “Nel corso di un’infezione da Sars-Cov-2 – spiega l’agenzia britannica – la carica virale aumenta da uno a due giorni prima dell’inizio dei sintomi, quindi raggiunge il picco all’inizio dei sintomi e nei primi cinque giorni. In questo periodo ha il più alto potenziale di infettività. Gli individui che non sviluppano sintomi hanno la stessa traiettoria virale ma senza una chiara sequenza temporale”. Gli esperti inglesi fanno poi notare come i falsi negativi ai test rapidi si siano verificati principalmente da uno a due giorni prima del picco di carica virale. Dopo il picco di carica virale, i test avevano “una probabilità significativamente maggiore di predire un positivo”, supportandone quindi l’utilizzo per porre fine all’isolamento.
I dati e la policy d’oltremanica vanno osservati con molta attenzione. In Italia, infatti, il ministero della Salute ha usato proprio il Regno Unito come modello per ridurre da dieci a sette giorni – con tampone dopo dopo il settimo giorno – il periodo di isolamento per i casi di vaccinati positivi Covid, come previsto dalla circolare dello scorso 30 dicembre. Tra l’altro, proprio in questi giorni ministero della Salute e governo sono sotto pressione per le richieste da parte delle regioni che puntano a mantenere a sette giorni il periodo di isolamento per i vaccinati con tre dosi positivi al Covid, eliminando però la necessità di un tampone finale. Una scelta che, stando ai dati presentati dal Health security agency britannica, potrebbe rivelarsi azzardata. Senza test finale, dopo sette giorni di isolamento, circa il 16 per cento delle persone risulterebbe ancora infettivo. Un dato quasi triplo rispetto al 6 per cento che si otterrebbe con il modello che a partire da lunedì adotterà il Regno Unito, dove si riducono i giorni di isolamento ma facendo due tamponi.
Con la variante Omicron così contagiosa, ridurre la durata della quarantena mantenendo un’elevata sicurezza sarebbe fondamentale per l’economia, la vita sociale e il funzionamento dei servizi essenziali. Ma per seguire la strategia inglese bisogna rafforzare la nostra capacità di testing che già oggi è messa duramente alla prova. Di certo la bocciatura in Parlamento dell’emendamento che puntava a estendere la rete di testing alle parafarmacie non va in questa direzione. La strategia alternativa, alla base della proposta delle regioni, di ridurre il numero di tamponi (meglio non sapere) comporta, per dirla con le parole di Draghi, l’assunzione di un rischio non molto ragionato.