Il paradosso
La trattativa Salute-regioni può far saltare il sistema “a colori”
I governatori chiedono di modificare le modalità di conteggio del tasso di occupazione degli ospedali, in modo che non siano contati gli asintomatici. In questo modo però aumenterebbe la discrezionalità degli enti locali nel fornire i dati che determinano le restrizioni. Il caso Piemonte e i vantaggi che una scelta del genere porterebbe ai No vax
Potrebbe essere sempre più difficile in futuro vedere un passaggio in zona arancione delle regioni. Una bozza di circolare predisposta dal direttore generale della prevenzione del ministero della Salute, ancora non protocollata né inviata alle regioni, accoglie in parte le richieste avanzate in questi ultimi giorni dai governatori. Qui infatti si spiega che, qualora il paziente risultato positivo al momento di accedere in ospedale venga ricoverato in isolamento nel reparto di afferenza della patologia per la quale si rende necessario il ricovero, pur restando tracciato come “caso”, non verrà conteggiato tra i ricoveri di area medica Covid. A ogni modo nella bozza si sottolinea che dovrà essere sempre garantito il principio di separazione di percorsi e sicurezza dei pazienti. Inoltre, il flusso giornaliero aggregato sarà quindi aggiornato con un nuovo campo “n. pazienti Covid ricoverati per cause diverse”. Fino ad allora i dati afferenti a questi casi andranno inseriti nel campo “Note generali”. Si tratta, insomma, di un tentativo di distinguere i ricoveri per Covid dai ricoveri per altri motivi di persone positive ma magari asintomatiche.
Questo cambiamento permetterebbe nelle prossime settimane alle regioni di poter modificare non solo il numero di posti letto disponibili per i ricoveri Covid in area medica e terapia intensiva, ma anche il numero di pazienti Covid ricoverati. Potendo far leva su entrambi i fattori chiamati in causa per verificare il livello di pressione cui sono sottoposte le strutture sanitarie, le regioni avrebbero una ulteriore e più ampia discrezionalità sui numeri da inviare settimanalmente a Roma, potendo così evitare con maggiore facilità il passaggio a zone di rischio superiori. Emblematico in tal senso è quanto avvenuto nei giorni scorsi in Piemonte. La regione, per evitare il passaggio in zona arancione, il 13 gennaio ha aggiunto in un solo giorno ben 970 posti letto di area medica dedicati al Covid. Facile immaginare cosa potrebbe accadere se alla facoltà di aggiungere improvvisamente posti letto si dovesse aggiungere anche una maggiore libertà nel conteggio dei pazienti.
Una modifica in tal senso rischia di rendere vano l’intero sistema di monitoraggio “a colori”, il cui fine ultimo dovrebbe essere quello di avere il polso della situazione ospedaliera. Eppure, già oggi, abbiamo regioni classificate in zona gialla che si sono viste costrette a interrompere tutte le attività chirurgiche non urgenti. L’ulteriore paradosso è che tutto ciò non ha altro effetto se non quello di rendere più agevole la vita di quella esigua minoranza contraria a vaccini e green pass, che potrebbe andare incontro a ulteriori restrizioni in caso di passaggio in zona arancione. Visto che, è forse il caso di ricordarlo, per i vaccinati non cambia assolutamente nulla tra zona bianca, gialla o arancione. Si tratterebbe, in sostanza, di dare margini di discrezionalità per allentare le possibili restrizioni sui non vaccinati proprio mentre il governo, con l’ultimo decreto, ha deciso di andare nella direzione opposta.
Tornando alla bozza di circolare del ministero della Salute, è confermato il netto “no” alla richiesta sempre delle regioni di modifica della definizione di caso Covid. Sul punto, nella sera di giovedì 13 gennaio era arrivato anche il chiarimento dell’Istituto superiore di sanità con il quale era stata ribadita l’importanza di continuare a considerare come “casi di sorveglianza” tutti i positivi e non solo quelli con sintomatologia. “Non sorvegliare questi casi – spiega l'Iss – limiterebbe la nostra capacità di identificare le varianti emergenti, le loro caratteristiche e non potremmo conoscere lo stato clinico che consegue all’infezione nelle diverse popolazioni (es. per età, stato vaccinale, comorbidità). Inoltre, non renderebbe possibile monitorare l’andamento della circolazione del virus nel tempo e, di conseguenza, i rischi di un impatto peggiorativo sulla capacità di mantenere adeguati livelli di assistenza sanitaria anche per patologie diverse da Covid”.
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