cattivi scienziati
Migliaia di morti in cambio di una vita normale? Domanda mal posta, caro Abrignani
Un ragionamento importante dell'immunologo ha diverse fallacie. Il suo argomento merita di essere meglio formulato per evitare che sia invece utilizzato da chi è in cattiva fede
In un ragionamento importante, in cui ha pure giustamente affermato che “Omicron non è come il raffreddore, il raffreddore non uccide”, l’immunologo Sergio Abrignani ha posto una domanda: “Siamo pronti in Italia, dopo il picco atteso per fine gennaio (quando la curva dei contagi dovrebbe scendere), a tollerare 3-4 mila decessi per Covid al mese per 4-5 mesi l’anno in cambio di una vita di nuovo ‘normale’?”.
Come ben sa chi fa ricerca, porre le domande giuste è il vero motore del progresso della conoscenza; e per questo motivo, è importante anche riuscire a riconoscere le domande sbagliate. Vorrei qui spiegare al lettore perché, formulata in questo modo, la domanda di Abrignani è a mio parere sbagliata.
Cominciamo dai punti più semplici. Delle due alternative prospettate fra cui si chiede di scegliere, una è definita in maniera piuttosto precisa: tollerare per 4-5 mesi 3-4 mila decessi per Covid-19. Nella loro apparente precisione, questi numeri sono in realtà del tutto arbitrari: innanzitutto, per la durata del periodo in cui bisognerebbe tollerare morti. Per esempio, nel 2021 i morti dovuti al Covid si sono distribuiti su un periodo di mesi ben più ampio, e l’eccesso di mortalità totale è durato oltre otto mesi; sebbene l’effetto della vaccinazione nel 2022 dovrebbe manifestarsi più intensamente che nell’anno precedente, quale sia la durata in mesi in cui sperimenteremo morti per Covid-19 è impossibile saperlo adesso.
Oltre a questo, le migliaia di morti cui dovremmo abituarci sono ancor meno definibili; per esempio, se immaginiamo di essere oggi al culmine di un periodo mensile di mortalità Covid, e proiettiamo simmetricamente nelle prossime due settimane i morti per Covid-19 osservati nelle due precedenti (un’assunzione fortemente riduttiva del numero reale di morti che osserveremo, visto che siamo lontani dal culmine dovuto a questa ondata), allora avremo circa 6.000 morti in un mese. Per non parlare di ulteriori variabili ignote, quali le caratteristiche di possibili nuove varianti.
Potremmo dire che, sebbene i numeri siano sbagliati, essi valgono solo come esempio (anche se c’è da dire che un esempio preso troppo al ribasso spinge verso certe scelte); vi è però un motivo più profondo, per cui la domanda è sbagliata per costruzione. La soglia che si è disposti a tollerare dipende dalle perdite che il Covid-19 ci arreca direttamente. Chi rischia di perdere il lavoro o l’impresa potrebbe voler tollerare anche 30.000 morti in un mese e un rischio diretto per la propria salute; chi ha parenti anziani o una patologia come il diabete (oltre 3 milioni di affetti in Italia), naturalmente, potrebbe avere un’idea molto diversa, visto che a morire preferenzialmente sono alcune ben determinate categorie. Cosa facciamo, comprimiamo i legittimi interessi di certe fasce di popolazione, per tutelare quelli di altre? Il parametro scelto per caratterizzare un’alternativa, evidentemente, è erroneo, perché la sua definizione quantitativa influenza in modo diverso le risposte di persone diverse.
Peraltro, la vita “normale”, cioè senza limitazioni di alcun tipo, con migliaia di morti non esiste, perché non si tiene conto delle centinaia di migliaia di infetti e della pressione sugli ospedali causata dai ricoveri, da una parte, e su tutte le istituzioni pubbliche a causa dei malati sintomatici, dall’altra; se si riempiono gli ospedali e contemporaneamente mancano per malattia sintomatica medici, infermieri, insegnanti eccetera, forse tanto “normale” la vita non può essere.
Vi è, tuttavia, un punto che a mio giudizio è il più importante di tutti: domande come quella di cui stiamo discutendo sono esempio di una fallacia ben nota, quella della falsa dicotomia o della falsa alternativa. Si suggerisce all’interlocutore, magari involontariamente, che vi siano solo le alternative contenute nella domanda, fra cui esercitare la scelta, eliminando dalla mente di chi deve rispondere tutte le altre possibili, e così spingendo verso le sole che interessano. Una vita da vaccinati, senza alcuna restrizione, con migliaia di morti, da una parte; e dall’altra una vita con meno morti (quanti?), con forti limitazioni delle proprie attività e delle proprie libertà.
Oltre al fatto che, come abbiamo visto, per almeno una di queste due condizioni vi è il concreto dubbio che sia irrealizzabile, la cosa importante è che è possibile immaginare una serie infinita di alternative, in cui si adottino strategie più o meno severe di contenimento, e si realizzino numeri diversi di morti; tutte queste potrebbero essere opzioni sia più realistiche che preferibili rispetto alle uniche due suggerite, e scartarle a priori attraverso la formulazione di una domanda dicotomica è un buon artificio retorico, ma anche una fallacia di ragionamento riconosciuta fin dai filosofi dell’antica Grecia.
Sono sicuro che Sergio Abrignani non volesse affatto condizionare alcuno, così come sono certo della sua buona fede e intendo comunque ciò che in realtà è il suo messaggio, ovvero che non possiamo immaginare di impedire qualunque morte per Covid-19, comprimendo all’infinito la libertà delle persone; tuttavia, credo che il suo argomento meriti di essere meglio formulato, per evitare che sia invece utilizzato da chi, davvero in cattiva fede, vuole spingerci ad abbandonare ogni cautela e a rimuovere il virus dalla nostra mente.
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