rapporti scomodi
Lo Spallanzani diventa uno strumento di propaganda di Putin
L'uso strumentale da parte della Russia del prestigioso istituto romano rischia di squalificare la credibilità dell'Italia agli occhi dell'alleato atlantico in un momento delicato come quello della crisi ucraina
“Il confronto congiunto tra Russia e Italia sui vaccini effettuato allo Spallanzani ha mostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nella neutralizzazione di Omicron”. Dalla Russia con amore. Verrebbe da commentare così il contenuto di questo tweet pubblicato ieri sera dall’account ufficiale dell’ambasciata russa nel Regno Unito. Il riferimento è a quel lavoro pubblicato nei giorni scorsi in pre-print da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Spallanzani di Roma, insieme ai colleghi dell’Istituto Gamaleya in Russia, nel quale si tentava di dimostrare che con il vaccino russo si riuscisse ad ottenere una risposta anticorpale più duratura rispetto al vaccino di Pfizer.
Degli evidenti limiti di questo studio ne abbiamo già parlato su questo giornale: dal sottodimensionamento del campione analizzato (solo 17 individui), fino alla scorrettezza di confrontare vaccinati con Sputnik da tre-sei mesi e vaccinati con Pfizer da sei mesi. Questo messaggio di Putin veicolato attraverso l’ambasciata è solo l’ultimo capitolo di una campagna social aggressiva portata avanti dai russi negli ultimi due anni a colpi di tweet con i quali non ci si è mai limitati a mettere in luce i pregi di Sputnik ma si è sempre forzato il paragone con gli altri vaccini approvati dall’Agenzia europea del farmaco per mostrarne la presunta minore efficacia nel contrastare il Covid.
Resta il mistero sul perché un’eccellenza italiana con l’Istituto Spallanzani si presti a queste operazioni diventando – forse anche suo malgrado – uno strumento di propaganda di Putin. Questo tra Sputnik e lo Spallanzani è tra l’altro un amore di vecchia data. Già ad aprile 2021 l’istituto romano aveva firmato un memorandum di collaborazione scientifica con il centro di ricerca russo Gamaleya e con il fondo russo degli investimenti diretti, per una doppia sperimentazione sul vaccino che viene dal freddo. In quel caso si studiava sia l’efficacia di Sputnik nei confronti delle varianti brasiliana, sudafricana e inglese, che l’uso del vaccino come richiamo per quelle persone che hanno ricevuto una prima dose di Astrazeneca, Pfizer o Moderna. Facendo poi un’ulteriore passo indietro nel tempo e risalendo a marzo 2021, ricordiamo come in un’intervista al quotidiano Libero il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia, dichiarava la disponibilità dell'istituto a “facilitare la produzione” del vaccino russo in Italia. “Dobbiamo attendere il nulla osta delle agenzie di controllo, ma ci sarebbero tutti gli elementi per cominciare subito”, spiegava. Non è mai stato chiaro il motivo di tutto questo interesse per un vaccino mai approvato in Europa, con evidenti problemi di produzione rispetto agli altri vaccino adenovirali già autorizzati dall’Ema e con una poco chiara documentazione scientifica.
C’è infine da aggiungere un’ultima nota riguardante il contesto internazionale all’interno del quale è stato divulgato questo messaggio. In giorni di altissima tensione internazionale per la crisi Ucraina, con il partner atlantico che ha già richiamato i leader europei a tenere il punto nei rapporti con la Russia in previsioni di possibili (pensanti) nuove sanzioni e, soprattutto, all’indomani di un ‘chiacchierato’ incontro tra le aziende italiane e il presidente russo Vladimir Putin organizzato dalla camera di commercio italo-russa. Al vertice hanno preso parte i Ceo di 16 grandi aziende italiane. Assenti, anche se invitati, i manager di Eni, Snam e Saipem. Il governo avrebbe chiesto alle società partecipate di dare forfait, ma solo l’Eni ha ammesso di aver declinato l'invito. Tutto ciò mentre parlamento e governo sono ormai da giorni impegnati nella difficile elezione del nuovo presidente della Repubblica.
L'uso strumentale dello Spallanzani rischia così di squalificare per la seconda volta in pochi giorni la credibilità dell'Italia agli occhi dell'alleato atlantico in un momento molto delicato sia per la politica interna che per quella estera. Insomma più che una semplice gaffe che si sarebbe potuta – o forse dovuta – evitare.
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