Tra vaccini e green pass
"Evitiamo ora il lockdown psicologico", dice Matteo Bassetti
Verso l'uscita dalla fase pandemica
“C’è il rischio che molte persone non riescano a uscire da uno stato di quarantena mentale ed emotiva, specie per quanto riguarda la scuola, dove la Dad è rimasta come incastonata in una cornice non più rispondente alla realtà", dice l'infettivologo del San Martino di Genova
L’uscita dalla pandemia, la normalità desiderata che quando arriva spaventa, l’obbligo vaccinale che si allarga, le restrizioni che man mano scompaiono fino a lambire la tanto odiata Dad. Guardando indietro, a due anni fa, ci si ritrova diversi, se si pensa a “come eravamo” sulla soglia del febbraio che ha sconvolto il mondo. E in questi due anni molte volte si è trovato a un bivio — nella comunicazione e nella professione — Matteo Bassetti, responsabile della clinica Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova (e oggi Bassetti scherza sull’esibizione dolce-amara di Checco Zalone a Sanremo, sul tema “comunicazione di virologi e infettivologi”).
Nel momento in cui il governo sottolinea la volontà di proseguire lungo la strada del ritorno alla vita pre-Covid, Bassetti invita a riflettere sugli effetti di quello che chiama “lockdown psicologico”: “Anche se in questi ultimi mesi non abbiamo avuto una situazione di vero e proprio lockdown, vista anche la presenza dei vaccini che rende il quadro molto diverso da quello di un anno fa, c’è però il rischio che molte persone non riescano a uscire da uno stato di quarantena mentale ed emotiva, specie per quanto riguarda la scuola, dove la Dad è rimasta come incastonata in una cornice non più rispondente alla realtà. E non è l’unico campo: l’impressione è che si arrivi sempre un attimo dopo – nonostante il ruolo della politica sanitaria sia quello di anticipare”.
E oggi, dice Bassetti, bisognerebbe cercare di spingere lo sguardo oltre le prossime due-quattro settimane, quando i dati miglioreranno ancora, con contagi in ulteriore calo, come le ospedalizzazioni: “Due settimane sono tantissimo tempo, a livello di percezione. E in Italia le prossime settimane saranno significative: se le regole restano troppo rigide rispetto all’andamento del virus, se ogni sera si scandisce un bollettino dei decessi in cui non si capisce chi è morto ‘con’ il Covid e chi ‘per il Covid, si rischia di deprimere profondamente il corpo sociale. Dovremmo cominciare a distinguere chi entra in ospedale con polmonite da Covid da chi è asintomatico positivo e entra per altro, se si vuole far risalire la fiducia nel futuro. Non si tratta ovviamente di essere negazionisti: un anno fa non c’erano i vaccini, ma ora che per fortuna la campagna vaccinale ha raggiunto, nonostante la comunicazione a volte controproducente, il tetto straordinario del 90 per cento, anche l’atteggiamento può cambiare”.
C’è però il miraggio del rischio zero da raggiungere. “Io direi che dobbiamo puntare a quello che il premier Mario Draghi ha chiamato ‘rischio calcolato’. La fase pandemica è vicina alla fine, vista la presenza dei vaccini e di una variante che si diffonde così velocemente. Si va verso una fase endemica. Per questo, ripeto, deve cambiare anche la disposizione mentale, visto che entro la primavera avremo il 95 per cento di italiani protetti, tra vaccinati e guariti”.
E sarà a quel punto che si porrà il problema del “che fare” con il green pass: “Il green pass è stato ed è uno strumento importantissimo per portare gli scettici a vaccinarsi”, dice Bassetti, “e in quanto tale l’ho sostenuto. Se a luglio 2021 avevamo una percentuale di vaccinati alta ma non sufficiente a garantire la messa in sicurezza dei fragili, oggi, per effetto del combinato disposto di obbligo over 50 e green pass, si sta come si è detto superando il 90 per cento. Il green pass, allora, a mio avviso, può essere utile per un altro paio di mesi, poi, con l’avanzare della primavera, non avrà più senso chiederlo per bere un caffè”.
Intanto anche il direttore dell’Inmi dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, analizza i numeri in senso tranquillizzante: “Sono settimane che il numero delle terapie intensive e dei ricoveri diminuisce. Ma non quello dei decessi. Pur considerando che potrebbe esserci una coda della Delta e che la nostra popolazione è anziana, comunque i numeri sono eccessivi. Probabilmente chi di dovere dovrà fare un’analisi approfondita del numero dei morti analizzando ogni dettaglio”.
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