cattivi scienziati
Le teorie del complotto ai tempi del colera
Due secoli fa a Roma e Viterbo arrivava il colera, le autorità correvano ai ripari ma c'era chi gridava già alla menzogna e accusava i medici di danneggiare l'economia. Una storia di famiglia
“Quando la smetterete di frodare? Quando ci lascerete liberi, voi virostar servi del potere? Arriverà il giorno in cui ci direte che quel virus non esiste, ops ci siamo sbagliati, ma era per il vostro bene! Ma la nuova Norimberga è vicina, e pagherete tutti, per tutte le bugie, tutti i negozi chiusi, tutti i teatri spenti, tutte le scuole vuote!!!”. Questo è un messaggio che ho ricevuto tre giorni fa.
Non è l’unico di questo tenore: negli ultimi due anni (ma anche prima, per un’altra epidemia, quella di Xylella), come credo moltissimi altri, di tanto in tanto si è bersaglio di insulti, qualche volte di minacce, Antonella Viola pure di un proiettile, da parte quasi sempre di anonimi individui che usano i canali più vari per dar sfogo alla propria frustrazione. Ora spesso si è tentati di ascrivere il fenomeno alla diffusione dei social forum, alla liberazione cioè di quelle legioni di imbecilli cui si riferiva Umberto Eco; ma, in realtà, sappiamo tutti molto bene che il fenomeno è lo stesso da sempre.
A ricordarlo direttamente a me, e per mio tramite al lettore, giunge come un messaggio in bottiglia, lanciato quasi due secoli fa, un libricino scritto dal nonno della mia trisavola, il medico chirurgo Giovanni Selli di Viterbo. Nel 1837 Roma era colpita da una terribile epidemia di colera, arrivato in Europa e in Italia qualche anno prima dall’India per tramite probabilmente degli Inglesi; lo Stato Vaticano, come molti altri della penisola, aveva adottato delle strette misure di quarantena e di disinfezione (con i mezzi allora ritenuti efficaci) alle sue frontiere.
Nonostante tutto, il colera arrivò infine anche a Roma, probabilmente per tramite di un forestiero; e da qui a Viterbo, ove colpì un monastero di suore, probabilmente a causa del contagio da parte di un pellegrino che si era ivi recato. Il monastero fu isolato, e i medici che vi si erano recati adottarono ogni misura possibile per non portare il contagio in città; ma queste misure vennero ritenute da molti una farsa, perché, a sentir loro, il colera era un’invenzione dannosa.
Scrive dunque il Selli: “Ma siffatte cautele non furono bastanti a tranquillizzare il popolo di Viterbo, che anzi in un momento sollevò i più villani e minacciosi clamori, mostrando la più straordinaria fierezza, deridendo ed insultando i medici per le pubbliche vie, e me specialmente segnando a scopo di popolar vendetta, come inventore di altissima menzogna, dannosa alla città sotto tutti i rapporti d’industria, di commercio, e di finanza”.
Allora come oggi, il timore di veder danneggiata l’economia dei cittadini, ed anzi la certezza che si trattasse di una malevola manovra per colpirla, spingeva le persone ad accusare i medici e le autorità sanitarie di menzogna. Di fronte a ciò, i medici cercavano di opporre i fatti, mostrando i morti e qualche numero per convincere gli increduli; ma i loro sforzi, allora come oggi, erano resi meno efficaci quando non inutili da persone che, nonostante avessero la formazione necessaria ed in qualche caso persino esercitassero la professione di medico, continuavano a negare l’evidenza, e ad insultare ed assalire chi cercava di mostrare l’epidemia per quello che era. Il Selli, infatti, riporta:
“Chi avrebbe dubitato, alla considerazione di tali fenomeni morbosi, e di tali cadaveriche alterazioni, chi dubitato avrebbe in pronunciare l'esistenza del cholera asiatico? Una crassa ignoranza, o una sfacciata malignità potevano solamente sparger dubbj, seminar zizanie, e persuadere il popolo alla contraria sentenza. Eppure chi ' l crederebbe? a fronte di cinque periti unanimi, a fronte di una mortalità, che in pochi giorni rapì a quel sacro chiostro 7 individui fra 43, cioè più del quindici per cento, si udì declamar la plebe, e ciocchè è più vergognoso s’intesero persone così dette di senno, e di qualità, e perfin qualche medico predicare ad alta voce nei trivj e nelle congreghe , che il morbo cholerico di Viterbo era una chimera, improvide le misure sanitarie dettate soltanto dagli interessi di pochi speculatori”.
Questo è il vivido quadro che la storia delle epidemie nel nostro paese, e per me la storia di famiglia, restituisce; ed è ben triste constatare come, quasi due secoli dopo, i seguaci di quei negazionisti, i continuatori di quei medici indegni e i prosecutori di quelle persone “cosiddette di senno” continuino a costituire comitati, ad insolentire, a nascondere a sé stessi e agli altri i fatti, nonostante ogni progresso dalla primitiva ed inefficace medicina del tempo, che ancora si dibatteva nella definizione delle epidemie come miasmatiche o infettive e proponeva tisane per il colera. Del resto, che il progresso della nostra scienza e della nostra tecnologia non sia accompagnato dall’abbandono delle stesse fuorvianti euristiche cognitive dei nostri antichi antenati, è cosa ormai assodata.
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