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Cattivi Scienziati

Perché eliminare l'obbligo di isolamento domiciliare per i positivi al Covid è un rischio

Enrico Bucci

Le dichiarazioni del sottosegretario alla salute Andrea Costa non si basano sulla realtà, che vede i contagi in aumento. Le epidemie non seguono i nostri desideri

Così il sottosegretario alla salute, Andrea Costa, riguardo l’eliminazione dell’obbligo di isolamento domiciliare per i positivi al virus Sars-CoV-2: “Credo siamo molto vicini al traguardo” e poi “del resto l’obiettivo, come abbiamo sempre detto, è quello della convivenza con il virus e se parliamo di convivenza non possiamo non rimuovere” anche questa misura. “Nelle prossime settimane confido si arrivi a questa scelta che sarebbe un ulteriore passo verso la normalità. Credo che ci siano i giorni contati anche per questo provvedimento”. Queste dichiarazioni arrivano mentre, come ampiamente preannunciato, i nuovi casi identificati hanno iniziato a salire, spinti dalle varianti Omicron Ba.4 e Ba.5, e successivamente, a partire circa dal 10 giugno, ha cominciato a risalire anche il numero di pazienti ospedalizzati e di quelli in terapia intensiva. Intendiamoci bene: tutti questi aumenti, incluso quello dei contagi, potrebbero essere di breve durata, e per quanto riguarda ospedalizzazioni e terapie intensive anche di modesta entità; tuttavia, la situazione attualmente tende al peggioramento, non al miglioramento, e non si capisce su quali basi oggi dovrebbe essere maggiormente possibile una “convivenza” con il virus, per usare la terminologia del sottosegretario alla salute.

E’ appena il caso di ricordare che le epidemie non seguono i nostri desiderata, e che la variante Omicron, incluse le sue sottovarianti, pur presentando un rischio minore per gli individui rispetto alla precedente variante dominante – la delta – è pur sempre in grado di far crescere il numero di cittadini in ospedale a livelli notevoli, come accaduto in Portogallo, ove la mortalità in eccesso osservata durante l’ondata di Omicron Ba.5 ha raggiunto lo stesso picco della precedente ondata invernale (il 20 per cento rispetto alla media del quinquennio fino al 2019), allo stesso modo in cui ha fatto la mortalità attribuita al Covid-19, pur in presenza di un numero minore di casi.

 

Ricordare questi dati non è né catastrofismo, né negazione della realtà, né altro: è semplicemente il compito di ogni studioso della pandemia che abbia bene a mente qual è il compito di un ricercatore – quello di presentare innanzitutto i fatti, per vedere poi se questi possano essere utili a prendere delle decisioni ad essi aderenti. Poiché dubito che il sottosegretario Costa ignori questi dati, è evidente che le considerazioni sue e di quella parte politica e di governo per cui conto egli parla devono contrapporre ai fatti epidemiologici altri fatti, che devono pure assurgere ad un peso tale, da fargli annunciare persino la fine della quarantena per coloro che siano positivi, nonostante l’altissima infettività e i prevedibili effetti in termini di ospedalizzazioni e decessi che avrà l’aumentare dei casi. Prima di lui, qualcuno dichiarò di avere “solo bisogno di qualche migliaio di morti, per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori”; in nome di cosa si è deciso di rischiare le migliaia di morti per Covid-19 che prevedibilmente si aggiungeranno a quelle che non saremmo comunque riusciti ad evitare, se consentiremo al virus di circolare a piacimento? Vi sono varie ipotesi che si possono fare.


La prima è quella di compiacere gli elettori: i cittadini sono esausti, e, come mi scrivono alcuni di loro, sono piuttosto disposti ad attendere con fatalismo persino gli effetti clinici più severi di un’infezione, anziché rinunciare all’idea che il virus non sia più un problema, e che ci si possa comportare di conseguenza. La seconda è quella della forza maggiore: non ci si sente più in grado di arginare il patogeno, soprattutto in presenza di moltissimi altri contemporanei accadimenti che sono considerati di gran lunga più preoccupanti, vedi guerra e crisi economica, oltre che possibile crisi alimentare dovuta alla siccità e alla stessa guerra. La terza è una ragione pseudoscientifica, che però è buona per rassicurarci sul fatto di fare la scelta giusta: ci si è convinti che le misure di contenimento non servano più a nulla, cadendo preda della facile trappola logica del “tutto o nulla” – cioè nell’idea che o qualcosa funziona o non funziona, non accettando il fatto che mascherine, isolamento dei contagiati e qualunque altra misura (farmacologica o meno) permette di diminuire infezioni, ospedalizzazioni e morti, non di azzerarle.

 

Potrei elencare moltissime altre ragioni, alcune più valide di altre, per cui ci si potrebbe essere decisi a dichiarare più o meno implicitamente che la pandemia è terminata; sarebbe però essenziale che queste ragioni fossero presentate con trasparenza, onestà e responsabilità. Si dovrebbe discutere cioè apertamente della scelta fatta, del rischiare la salute e la vita di alcuni, e della ragione di tale scelta, perché i cittadini possano giudicare. Invece ci si attacca a proditori rabbonimenti di virus, a teorie pseudoscientifiche sulla sua pericolosità nulla, a racconti utili al pubblico che quello vuol sentire, buoni a giustificare non solo l’abbandono delle misure attuali, ma soprattutto l’inane attesa dell’autunno. Come scrive Roberto Burioni: “Potete dire che il virus è sparito, che contagia di meno, che è diventato buono come Garrone del Libro Cuore: in realtà Sars-CoV-2 se ne frega dei vostri desideri e delle vostre bojate e cambia come diavolo gli pare. Non necessariamente in meglio, anche se è presto per dirlo.”

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