Cattivi Scienziati
Perché Paxlovid, l'antivirale Pfizer contro il Covid, viene utilizzato poco
È il più promettente tra i farmaci di questa categoria e può essere prescritto dal medico famiglia. Ma i limiti temporali di somministrazione, l'indice terapeutico insieme ad altre condizioni specifiche legate allo stato di salute di paziente ne limitano l'uso
La recente pubblicazione del report Aifa sull’uso degli antivirali contro Sars-CoV-2 consente di fare alcune considerazioni circa il farmaco di questa categoria che al momento si è rivelato più promettente, ovvero il Paxlovid di Pfizer.
In particolare, consideriamo il suo utilizzo: su 600.000 dosi a suo tempo acquistate, al 7 giugno ne risultavano utilizzate 17.839, ovvero meno del 3 per cento di quelle disponibili. A fronte di 123.186 nuovi casi di infezione identificati nella settimana dal 2 all’8 giugno, il report ci informa che sono state somministrate 437 dosi di Paxlovid, ovvero meno di 4 nuovi pazienti su mille sono stati trattati con l’antivirale. Questo utilizzo è leggermente inferiore a quello registrato nella stessa settimana per un antivirale meno efficace, ovvero il Molnupiravir, nonostante Paxlovid sia in grado di incidere in maniera rilevante sull’aggravamento della malattia, e quindi sulle ospedalizzazioni, particolarmente per quel che riguarda i soggetti più fragili, e nonostante si siano avuti dal primo gennaio 2022 oltre 30.000 morti per Covid-19, in larghissima parte fra persone che appartengono appunto alle categorie più fragili.
Eppure, il Paxlovid è prescrivibile dal medico di famiglia, e va somministrato entro 5 giorni dalla manifestazione dei sintomi per evitare successivi aggravamenti; è lecito, quindi, domandarsi perché una delle poche armi farmacologiche che abbiamo fra le mani non trovi l’utilizzo che ci si possa attendere.
I medici di famiglia, in realtà, hanno denunciato da tempo una serie di motivi per cui si trovano in difficoltà. Ecco, per esempio, cosa ha scritto il mio amico Diego Pavesio, medico di medicina generale della ASL TO5 di Moncalieri e presidente della commissione solidarietà OMCeo di Torino.
Cominciamo dal primo punto, ovvero la restrizione d’uso a determinate categorie di pazienti. Aifa scrive: "Paxlovid è indicato per il trattamento di pazienti adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono ad elevato rischio di progressione a Covid-19 severa, come ad esempio i pazienti affetti da patologie oncologiche, malattie cardiovascolari, diabete mellito non compensato, broncopneumopatia cronica e obesità grave." Dunque, innanzitutto Paxlovid in Italia non è indicato per i pazienti anziani privi delle patologie indicate; questo nonostante tale fascia di popolazione sia di gran lunga quella più affetta dalle conseguenze severe e dalla mortalità causata da SARS-CoV-2.
Inoltre, il medico di famiglia può "prescrivere il farmaco su ricetta elettronica previa compilazione del Piano Terapeutico Aifa ". Ma il piano terapeutico Aifa richiede per la somministrazione una valutazione del filtrato glomerulare allo scopo di determinare la funzionalità renale del paziente. Per ottenerla, è necessario determinare la creatinina nel sangue del paziente: il valore di creatinina, infatti, determinerà la dose di Paxlovid che quel paziente può assumere. Ora, è veramente difficile che un paziente il quale, da positivo e magari sintomatico, chiama il proprio medico di famiglia, possa eseguire un’analisi di laboratorio che preveda il prelievo di sangue da un paziente infetto; e tuttavia, il Paxlovid deve essere somministrato “entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi", come da indicazioni Aifa.
In sostanza, non solo la fascia di popolazione per cui è indicato il farmaco è ristretta a categorie con morbidità varie, ma soprattutto la finestra terapeutica dura solo 5 giorni dai primi sintomi e prevede oltretutto che entro tale periodo si determini anche la creatinina mediante prelievo e determinazione (quanto rapida?) del suo valore in un paziente infetto che sarebbe in isolamento, ovvero mediante l’erogazione del servizio di prelievo a domicilio.
Infine, vi è un ulteriore aspetto che può evidentemente scoraggiare la prescrizione dal medico, massime da chi lavora fuori dagli ospedali: la lunga lista di effetti collaterali dimostrati o presunti, per di più dichiaratamente non esaustiva, che è proprio uno degli elementi principali alla base della determinazione della funzionalità renale di cui sopra.
Ecco perché l’amico Diego Pavesio, e con lui presumibilmente moltissimi altri medici di famiglia, alla fine sono non solo oggi, ma peggio saranno in autunno, ben lontani dal poter serenamente utilizzare il farmaco in questione e fare uso di questa nuova arma: di fatto, la sua prescrivibilità ed il suo indice terapeutico rendono difficile e riservata a pochi casi molto chiari, o a pochi operatori molto determinati e coraggiosi, la somministrazione ai propri pazienti del Paxlovid secondo le norme attuali.