Cattivi Scienziati
I vaccini universali contro il Covid sono l'unico modo per non inseguire le varianti
Non serve rincorrere l'evoluzione del virus ma sviluppare vaccini pan-coronavirus: una dose di richiamo contro Omicron BA.1 non avrebbe senso ora che circola la BA.5. Eppure le aziende continuano a lavorare sui prodotti già in commercio
Siamo arrivati ad un punto in cui vi è una domanda fondamentale a cui rispondere: serve una dose di richiamo della vaccinazione contro Sars-CoV2, basata sul somministrare a proteina Spike del ceppo Omicron BA.1?
In altre parole, ora che quella variante non è più con noi, un vaccino diretto contro BA.1 è utile? BA.5 ha ormai conquistato molti paesi, e in poche settimane rappresenterà il 100 per cento o comunque una percentuale molto alta degli isolati anche da noi. Inoltre, senza in autunno potremmo avere ulteriori varianti problematiche, derivanti da Omicron o da un lignaggio diverso.
Omicron BA.5 è molto diverso da BA.1 dal punto di vista del riconoscimento da parte del nostro sistema anticorpale, e questo si riflette nella minore protezione dei vaccini e soprattutto nelle reinfezioni a poco tempo di distanza dall’infezione da parte di BA.1; alla differenza antigenica, inoltre, si accompagnano numerose altre differenze funzionali, dovute a mutazioni in proteine diverse dalla Spike, che rendono il virus BA.5 diverso dai suoi predecessori, incluso Omicron BA.1.
Non a caso, sia Moderna che Pfizer/Biontech hanno sì presentato dati che mostrano come un richiamo con il vaccino contro BA.1 (ancestrale + BA.1, nel caso di Moderna; solo BA.1, nel caso di Pfizer) aumenti gli anticorpi contro BA.5 rispetto alla terza dose fatta con i vaccini oggi disponibili; ma gli anticorpi contro BA.5 sono comunque risultati pari ad un terzo di quelli indotti contro BA.1, a dimostrazione che la differenza antigenica fra BA.1 e BA.5 rende molto meno efficace la quarta dose basata contro BA.1 contro la sottovariante BA.5.
Proprio questi punti saranno affrontati da un comitato consultivo della Fda che si riunirà questa settimana, per valutare se dare il via libera ad un’autorizzazione di emergenza per un richiamo basato su BA.1, ora che il virus è passato a una variante sostanzialmente diversa.
Sebbene BA.1 sia antigenicamente molto più vicino a BA.5 rispetto al ceppo ancestrale di Wuhan, presenta molte sostanziali differenze. Però, le differenze rispetto al virus di Wuhan sono ancora maggiori; una dose aggiuntiva di un vaccino che incorpori gran parte delle 37 mutazioni proteiche della proteina spike che separano BA.5 dal ceppo Wuhan potrebbe probabilmente aiutare in una certa misura ad ampliare l'immunità e fornire un certo grado di protezione rafforzata rispetto alle infezioni sintomatiche e alle malattie gravi.
Ma quanto sarà efficace questa protezione? Non abbiamo dati clinici, solo risultati che riguardano la sicurezza dei nuovi vaccini e il tipo e la quantità di anticorpi neutralizzanti indotti da una quarta dose costituita da questi prodotti.
Ci si potrebbe quindi giustamente chiedere se, alla luce delle considerazioni svolte, non sia meglio aspettare lo sviluppo di una dose di richiamo basata sulla sottovariante Omicron BA.5, invece che BA.1. Per questo, tuttavia, ci vorrebbero alcuni mesi (ci sono voluti più di sette mesi per testare il booster Omicron BA.1), un tempo che peraltro, se viene paragonato ai 10 mesi che ci sono voluti per partire da zero e somministrare i primi vaccini, appare inaccettabilmente lungo.
Il dilemma in cui ci stiamo dibattendo – se fare una dose di richiamo basata su un prodotto contro BA.1, varietà che non esiste più – è figlio dell’errore strategico che consiste nell’inseguire le varianti, sperando di vendere quanti più prodotti diversi possibile. Se anche riuscissimo in qualche mese ad ottenere un vaccino contro BA.5, chi ci dice che per allora questa sottovariante sarà ancora quella di rilievo?
Tutto ciò riconduce alla necessità cruciale, tante volte sostenuta su queste pagine, di una nuova generazione di vaccini universali, a prova di varianti, contro tutti i sarbecovirus o contro tutti i β-coronavirus, insieme allo sviluppo dei vaccini nasali, meglio in grado di bloccare la trasmissione.
Eppure, nonostante si tratti di obiettivi chiari a tutti e perfettamente raggiungibili, lo sviluppo di vaccini pan-coronavirus, insieme a quello di un maggior numero di antivirali e prodotti terapeutici, non ha ricevuto il supporto ottenuto nelle prime fasi della pandemia dai primi prodotti, lasciando che le aziende – già abbondantemente finanziate con denaro pubblico – continuassero a pascolare nel ristretto praticello dei proprio prodotti già sul mercato.
Questo stato di cose, a maggior ragione, fa risaltare la mancata realizzazione del già abbondantemente finanziato hub vaccinale nella regione Lazio: si potrebbero benissimo perseguire gli approcci più promettenti per lo sviluppo di vaccini pan-coronavirus, a patto che, naturalmente, esista una struttura deputata ed in grado di farlo per conto del cittadino italiano e non dell’investitore. Quando sapremo perché una struttura finanziata da oltre un anno esiste solo sulla carta, e tende a sbiadire anche su quella? Di chi è la responsabilità del blocco di questo progetto, a fronte di fondi già disponibili?
Per una volta, la strada identificata era quella giusta: non vorrei che interessi individuali precisi fossero dietro la scelta di rallentare, diluire, ostacolare, in attesa di potersi impadronire di un simile progetto.