Cattivi scienziati
Omicron è meno pericolosa, ma abbiamo il dovere di proteggere anziani e fragili
La variante appare molto meno rischiosa per il singolo individuo infetto rispetto alle precedenti. Ma il danno che la circolazione elevata del virus causa si concentra sulle fasce più deboli della popolazione che non dovrebbe essere esposte con disinteresse all'infezione
La variante Omicron appare molto meno pericolosa per il singolo individuo infetto di quanto non sia stato per le varianti precedenti. Anche le sottovarianti BA.4 e BA.5 non appaiono per ora più virulente della BA.1 (la sottovariante Omicron di partenza), come confermano due studi sudafricani indipendenti, che almeno in un paese con età media più bassa della nostra non trovano differenze, una volta che si siano normalizzati i dati per una serie di fattori confondenti fra cui, innanzitutto, l’immunità pregressa di una popolazione conferita da infezioni precedenti e vaccini.
Nonostante i due studi in questione siano stati rilasciati come preprint, ed al netto della dipendenza della virulenza anche da caratteristiche della popolazione infettata, per il momento possiamo dare per assodato che Omicron costituisca per l’individuo che si infetta un rischio minore rispetto ad ogni altra variante divenuta dominante.
Questo rischio più piccolo porta certamente ad una diminuita percezione di pericolo, ragion per cui tutti, dopo due anni e passa di tensione e spesso di comportamento responsabile, spontaneamente cercano il sollievo che consegue dalla sensazione di una minore rilevanza di SARS-CoV-2 per sé stessi e per i propri cari: questo è perfettamente comprensibile. Tuttavia, proprio la diminuita attenzione, la fatica pandemica ed il calo di tensione di fronte ad un virus meno virulento allontanano gli individui dalla percezione del rischio per la società che deriva dall’elevatissima trasmissibilità di Omicron, che unita alle minori precazioni sta provocando un imponente numero di infezioni, peraltro scarsamente monitorate. La discrasia fra il rischio personale diminuito e l’aumento delle ospedalizzazioni, dei ricoveri in terapia intensiva e ancora a bassi livelli delle morti, aumenti in atto dopo essere stati previsti sulla base delle semplici considerazioni di cui sopra, provoca una risposta di negazione della realtà, con la costruzione di argomenti che non tengono conto di come il danno che la circolazione elevata del virus causa esista e sia concentrato sulle fasce più deboli della popolazione.
Il principale tra questi argomenti, riesumato ogni volta che si vuol seppellire la discussione sulle misure da intraprendere per limitare la circolazione del virus, è quello che suona pressappoco così: il pericolo non è più per i giovani e sani, ma per una fetta limitata della società, costituita da soggetti con diverse patologie o più anziani. Ciò che vediamo per quel che riguarda la crescita dei ricoveri di varia gravità che osserviamo, secondo questa autoassolutoria litania, sarebbe dovuto solo o in gran parte all’entrata del virus negli ospedali, fra i pazienti ivi ricoverati, oppure alla scoperta del virus in pazienti che si sarebbero comunque ospedalizzati, per essersi recati in ospedale per altre condizioni, ed aver ivi scoperto di essere infetti. Ora ammettiamo pure che tutte le infezioni si verifichino in soggetti ricoverati in ospedale per altri motivi. Forse che in caso di malattia la vita che resta non ha valore, per cui un'infezione che aggrava lo stato di salute non fa differenza? Il disumano disinteresse per le fasce più deboli della società fa orrore, perchè si giova della ineguale distribuzione dei problemi clinici causati dal virus, così che i forti e sani amano rischiare con il sedere dei deboli, degli anziani e dei malati. Chi va in ospedale o è qui ricoverato, andrebbe maggiormente protetto, non esposto con disinteresse all'infezione, perchè "tanto il virus colpisce gli anziani e i malati".
Anche da un punto di vista puramente utilitaristico, noi non possiamo permetterci alti tassi di infezione negli ospedali: questo, infatti, comporta isolamento di malati e operatori sanitari a protezione di chi infetto non è, ma rischierebbe molto con il virus; e ciò significa riaprire reparti COVID, reinstaurare protocolli per il personale e, in una parola, sottrarre risorse a tutti i malati e gravare su un sistema che di risorse da sprecare non ne ha.
A fronte di quanto sopra riportato, ecco l’amaro sfogo di un mio assiduo lettore, che così mi scrive: “Sono tutte considerazioni giuste, ma non si può neanche vivere la vita pensando sempre che ci sono malati che potrebbero aggravarsi, ospedali che potrebbero andare in collasso ecc ecc. Ognuno di noi ha i suoi problemi personali sul lavoro familiari, e se dovessimo sobbarcarci le pene di tutti, non potremmo vivere. Quindi se mi dite di prendere ulteriori precauzioni come la ffp2 anche d’estate, va bene.” E poi: “Capisco la situazione, ma devo fare i conti con il pieno che mi costa il doppio, la spesa che mi costa il doppio, gli investimenti che tracollano, come apro il giornale sono solo disastri. Sinceramente, mi dispiace per chi sta male, ma essendo in buona salute, vorrei vivere senza troppe angosce la vita che ho.”
Il contrasto fra questi due interessi – quello alla salute delle fasce più deboli, e quello alla libertà personale ed economica degli altri – è tuttavia perfettamente riconciliabile. Nessuno delle due ragioni va cancellata, ma entrambe comprese. Il mio lettore potrebbe vivere ragionevolmente sereno, se invece di invitare a “pensare positivo” il governo pensasse a normare in maniera semplice e aderente alla scienza, senza mille casi particolari, l’uso di mascherine, filtri hepa, vaccini, test, quarantena, e se desse seguito alle chiacchiere su adeguamento degli edifici pubblici a cominciare dalle scuole, monitoraggio, USCA, riorganizzazione sanitaria territoriale. Questo serva, perché i cittadini possano restare umani, invece di essere ridotti a monadi egoiste e negazioniste da una burocrazia disfunzionale.