Cattivi Scienziati
Il Coronavirus manipola il sistema immunitario. Ecco perché conviene vaccinarsi
Si può pensare che trascorrere una malattia poco sintomatica, invece che immunizzarsi, non sia poi così diverso. Invece molti studi negli anni hanno dimostrato gli effetti dannosi di contrarre l'infezione, che riguardano le interferenze sui nostri anticorpi
Molti si domandano perché dovrebbe essere meglio, da un punto di vista immunologico, sottoporsi ad una vaccinazione con i prodotti attuali contro sars-cov-2 invece che aspettare un’infezione naturale e la sua risoluzione. Posto che il rischio derivante dall’infezione sia nullo (e non lo è), potrebbe avere senso farsi anche una settimana a casa, con una fastidiosa sintomatologia, considerato che l’esposizione ad un virus comporta lo sviluppo contro molti più antigeni diversi, e quindi forse una copertura più ampia, rispetto all’esposizione ad un singolo antigene contenuto nei vaccini attualmente disponibili?
Sebbene la domanda sia sensata, non tiene conto nella sua formulazione di un aspetto fondamentale: molti virus, infatti, manipolano il nostro sistema immunitario per evitare la propria distruzione prima che un ciclo di infezione-replicazione-trasmissione sia completato. I virus cioè non sono delle inerti prede impegnate semplicemente a fuggire da anticorpi, linfociti T e altre difese che il nostro organismo schiera: essi sono spesso in grado invece di manipolare diverse componenti, per rendere la risposta immunitaria meno efficiente.
L’ultimo esempio ci viene da un lavoro su sars-cov-2 appena pubblicato su Nature Communications.
Per illustrare con qualche dettaglio i risultati ottenuti, occorre che io faccia un passo indietro. Durante il mio dottorato di ricerca, qualche decennio fa in Germania, mi sono occupato di caratterizzare una proteina di un virus a rna, chiamato coxsackievirus B3. Questa proteina è nota come 3Cpro, e ha una funzione speciale: è un enzima capace di tagliare in modo specifico i prodotti del genoma virale, cioè lunghe sequenze proteiche, e dare i prodotti finiti che compongono il virus, cioè le proteine finali. Una sorta, cioè, di forbice molecolare che taglia i primi prodotti della replicazione virale lungo appositi “trattini”, cioè in punti specifici, per generare i mattoncini costitutivi di altre copie del virus.
Ora, si dà il caso che anche nei coronavirus, e quindi in sars-cov-2, esiste una “forbice molecolare” come la proteina 3Cpro che ho studiato, talmente simile a quella da essere chiamata proteasi 3C-like, oppure, in forma abbreviata, 3CL-pro.
Questa “forbice molecolare” di sars-cov-2 però fa un lavoro aggiuntivo. Non solo, come quella che io ho studiato, processa i primi prodotti della replicazione virale tagliandoli in punti specifici; secondo il lavoro appena pubblicato, ha un ruolo anche nel disturbare la nostra risposta immunitaria. Per la precisione, la proteasi 3CLpro, cioè la “forbice molecolare” di sars-cov-2, è in grado di tagliare specificamente un’importante proteina che regola tutta la nostra risposta immunitaria, chiamata nemo.
La distruzione di nemo è infatti ben nota per avere importanti effetti: pazienti con nemo difettosa hanno bassi livelli di IgM e IgG, riduzione dei linfociti B di memoria, alterazione nei tipi prevalenti di linfociti T, ridotta proliferazione di questi ultimi e diminuita produzione di citochine. Già alla fine del 2021, un gruppo di ricerca che comprende Rolf Hilgenfeld, guarda caso il direttore dell’istituto tedesco dove ho svolto il mio dottorato, ha dimostrato che nemo è distrutta dalla “forbice molecolare” di sars-cov-2; il nuovo lavoro, appena pubblicato, spiega nei dettagli più fini come questo avviene, e mostra quindi con chiarezza qual è e come è fatto il “bersaglio molecolare” da colpire sulla superficie di 3CLpro se si vuole bloccare il processo, e con esso il funzionamento del virus.
Ora, quello illustrato è solo uno dei modi con cui il virus deforma la nostra risposta immunitaria; ben noto era già il fatto che, attraverso diverse sue proteine denominate Nsp, sars-cov-2 è in grado di rendere molto meno efficiente anche un altro braccio della nostra risposta antivirale, quello governato dagli interferoni.
L’insieme di tutti questi dati dovrebbe quindi essere sufficiente a convincerci di una cosa: è ormai provato che il virus, come ci si può attendere ragionando in termini semplicemente darwiniani, ha dei meccanismi che deviano a proprio vantaggio verso percorsi sterili le nostre difese, neutralizzandole il più possibile almeno per il tempo necessario a trasmettersi ad un altro individuo.
Forse per questo i vaccini generano più anticorpi rispetto a quanto risultava dall’infezione con i ceppi di sars-cov-2 circolanti nel 2021, mentre l’infezione con gli stessi ceppi nello stesso periodo non generava anticorpi in oltre un terzo dei soggetti arruolati in uno studio pubblicato. Forse per questo l’infezione con varianti come omicron BA.1 è meno protettiva nei confronti di una reinfezione rispetto alla vaccinazione.
Forse per questo, quando si è infettati, essere vaccinati (non importa se prima o dopo) garantisce anticorpi molto più potenti.
Naturalmente, con l’evolvere delle varianti potremmo perdere ogni beneficio degli attuali vaccini; però, visto il modo in cui è in grado di interferire con il nostro sistema immune, forse sarebbe bene smetterla di pensare che i vaccini siano peggiori immunogeni di quella macchina molecolare che chiamiamo virus, senza nemmeno invocare il rischio di conseguenze cliniche.
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