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cambiare paradigma

I medici in affitto aiutano i bilanci, non la qualità dell'assistenza

Giovanni Rodriquez

Da risposta all’emergenza, temporanea e occasionale, le esternalizzazioni sono diventate ormai una prassi consolidata nella sanità. Con evidenti distorsioni, secondo Di Silverio (Anaao Assomed)

La Regione Calabria che annuncia lo scorso agosto la decisione di ricorrere a medici forniti da una cooperativa con sede a Cuba per sopperire al problema della carenza di medici specialistici ha contribuito a portare alla luce un fenomeno diffuso ormai da molti anni in tutto il paese. Parliamo delle esternalizzazioni, ossia medici a gettone e servizi appaltati a cooperative. Una tendenza risalente ai tempi precedenti il Covid che, contrariamente a quanto riportato da diversi giornali, non rappresenta un maggiore costo per le aziende, ma riduce la qualità dell’assistenza ai pazienti. 

La deriva del ricorso alle cooperative nasce per affrontare in modo emergenziale e occasionale carenze di personale prodotte da un’errata programmazione universitaria sul numero di medici specialisti da dover formare. Una soluzione che sembrava quindi essere solo temporanea e, in quanto tale, vista inizialmente di buon occhio anche da quegli stessi medici che si trovavano quotidianamente a lavorare in condizioni di grave difficoltà nella trincea di un sistema ospedaliero da tempo in affanno proprio per l’assenza di un numero adeguato di camici bianchi. Succede però che negli anni questa risposta da emergenziale diventa di fatto una prassi consolidata. Non solo ogni regione, ma anche ogni singola azienda ospedaliera si trova a poter autonomamente far ricorso a questo tipo di soluzioni pur di riuscire ad arrivare a fine mese con i turni coperti. 

 

Come dicevamo, il ricorso alle esternalizzazioni non crea maggiori costi, ma anzi aiuta le aziende sanitarie anche sotto il profilo dei bilanci. Vediamo come. Fino al 2020 era in vigore un tetto di spesa per il personale sanitario fissato a quella del 2004, ridotta dell’1,4 per cento. Durante il periodo Covid, nella manovra 2022 viene modificato l’articolo 11 del decreto legge 35/2019 stabilendo che la spesa per il personale sanitario, a livello regionale, possa essere incrementata di un importo pari al 10 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente, stabilizzando così un incremento che inizialmente era previsto per il solo 2021. Di fatto il ricorso alle cooperative per coprire i turni dei medici ospedalieri taglia però i costi del personale e semplifica l’amministrazione giuridica prevista per i dipendenti, dal momento che quei costi aggirano completamente il tetto di spesa per il personale venendo inseriti in bilancio sotto la voce spesa per beni e servizi.

 

Questo però finisce per creare una serie di distorsioni, come spiega al Foglio Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao Assomed: “Attraverso questa esternalizzazione del lavoro si vengono a creare forme di dumping salariale e professionale. Si cominciano a trovare in alcune branche specialistiche medici con specializzazioni diverse da quelle per le quali vengono chiamati a lavorare. Inoltre si viene a creare una concorrenza sleale all’interno delle aziende ospedaliere tra medici dipendenti a tempo indeterminato sottopagati e in condizioni di burnout e colleghi pagati a gettone con retribuzioni più alte e responsabilità ben diverse, non solo sotto il profilo civile e penale ma anche in termini di presa in cura del paziente”.

 

“Dobbiamo partire da un presupposto: la cura del paziente è un atto o un percorso? Siccome sappiamo che è un percorso che richiede una continuità – spiega Di Silverio – non è possibile affidare le cure di un paziente a un medico che potrebbe non rivedere più per mesi o anni. In questo modo non è assicurato al paziente un percorso di cura di qualità nel tempo. E questo è gravissimo. L’ospedale rischia di non essere più un luogo di cura ma solo di prestazione. La cura sta diventando prestazione, che è cosa ben diversa”. 

Ma attenzione a indicare le cooperative come un problema, avverte il segretario nazionale Anaao, queste sono solo un “effetto”. Il problema riguarda invece l’errata programmazione del numero di specialisti da dover formare, così come la cosiddetta “crisi vocazionale”, ossia quel fenomeno per il quale molti medici stanno iniziando ad abbandonare il loro lavoro di dipendenti del Sistema sanitario nazionale prima dell’età pensionabile. “Questo problema – aggiunge Di Silverio – è dovuto a diverse cause: economiche, visti gli stipendi bloccati da dieci anni; di responsabilità dell’atto medico, con una depenalizzazione assente solo in Italia, Polonia e Belgio; e infine di lavoro, con carriere sostanzialmente bloccate”.

Sempre più medici quindi di fronte a condizioni di lavoro disastrose, carriere professionali inesistenti, contratti tesi sempre più a limitazioni e incompatibilità sono in un certo senso quasi spinti a lasciare il Ssn verso un sistema di lavoro a cottimo che offre guadagni più alti, minori responsabilità e più tempo libero a disposizione.

Si è venuta quindi a creare una situazione che di fatto rende più agevole sia per le aziende ospedaliere sia per i medici l’abbandono del servizio pubblico, a scapito della qualità delle cure dei pazienti. Questo modello organizzativo del sistema pubblico sembra quindi non reggere più. Dovrebbe essere ripensato sia il modello contrattuale del medico che lo stesso modello aziendalistico. “Dobbiamo invertire il paradigma e immaginare un sistema basato sul professionista e di conseguenza sul cittadino. E per farlo il medico deve poter tornare a gestire tutto quel lavoro”, conclude il segretario nazionale Anaao.

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