Cattivi Scienziati
Le istituzioni devono adattarsi e prevedere la risposta a nuove pandemie
Il Covid-19 dovrebbe aver reso i governi consapevoli dell'importanza della vigilanza epidemiologica. Invece che abbandonarla, bisogna rafforzarla. Così come ci si adattò al colera, adesso serve intervenire sui luoghi di grande aggregazione
Che le persone siano stanche di preoccupazioni è non solo comprensibile, ma persino ragionevole, come forma di difesa della loro sanità mentale. Che quindi al cittadino non si possa chiedere una vigilanza e uno sforzo continui, dopo tre anni di pandemia, è ben comprensibile.
Non è però né comprensibile né giustificabile che invece le istituzioni non agiscano per mettere in miglior sicurezza il nostro paese.
Sars-cov-2 non ha rappresentato un cambiamento improvviso dal punto di vista epidemiologico: è stato piuttosto il previsto verificarsi di un evento, che è spia di cambiamenti di lungo periodo già avvenuti, i quali ci hanno portato in una situazione diversa da quella sperimentata da qualunque grande scimmia, e probabilmente da qualunque vertebrato.
La pandemia ha costretto a guardare la realtà di una specie ormai abbondantissima, iperconnessa e dagli spostamenti quasi istantanei, che inoltre vive a contatto con moltissimi altri organismi con i quali può scambiare patogeni: da un punto di vista darwiniano, noi e le nostre specie domestiche siamo un paradiso ecologico in grado di garantire il sostentamento a uno strabiliante numero di replicatori biologici come i virus, ma anche altri parassiti batterici ed eucariotici.
Per di più, grazie alla costante pressione selettiva che abbiamo esercitato in tutti i modi utilizzando composti che dovrebbero essere riservati alla terapia umana per ogni sorta di altri scopi negli allevamenti, siamo prossimi all’arrivo di pandemie causate da agenti resistenti ai trattamenti oggi disponibili, molto probabilmente in grado di condividere fra più specie diverse e gruppi lontani le resistenze codificate sotto forma di informazione genetica grazie ai numerosi meccanismi che consentono tale scambio.
Tutto questo noi lo sappiamo bene, e non da adesso; è quindi il momento che le istituzioni che ci governano agiscano in conseguenza della conoscenza accumulata negli ultimi decenni, invece di voler credere e far credere che le crisi epidemiologiche siano problemi temporanei, passati i quali si torna allo stato di partenza.
Innanzitutto, la vigilanza epidemiologica, invece che abbandonata, deve essere rafforzata. Abbiamo bisogno di test di ampio spettro per la rivelazione di genomi di potenziali patogeni, e abbiamo bisogno che allevamenti, acque di scolo e un campione variabile di popolazione (anche agli aeroporti) siano costantemente esaminati. I costi per tale vigilanza sono ridotti, mentre le conseguenze anche economiche di non predisporla saranno necessariamente molto gravi.
Abbiamo poi bisogno di un programma di incentivi paragonabile a quello di cui beneficiano le installazioni di impianti per le energie rinnovabili, rivolti all’industria del trattamento dell’aria all’interno degli edifici pubblici e delle abitazioni. La tecnologia per abbattere la trasmissione di patogeni respiratori già esiste ed è matura; come il colera fu messo sotto controllo grazie al risanamento architettonico delle grandi città, noi oggi abbiamo bisogno di intervenire su scuole, case, ospedali e altri luoghi di ampia aggregazione, perché l’aria sia rinnovata e possibilmente anche filtrata in modo efficace. Se possiamo incentivare l’industria del solare domestico e dell’adeguamento energetico, perché non quella del controllo della qualità dell’aria che respiriamo al chiuso?
È poi necessario investire in un distretto nazionale per lo sviluppo di rna e altri tipi di prodotti medicali basati sulle tecnologie legate al sequenziamento di patogeni e alla sintesi rapida di acidi nucleici opportuni, così come anticorpi monoclonali e altri tipi di agenti terapeutici mirati e di risposta rapida, e alle loro formulazioni cliniche. Per vaccini e farmaci a rna, così come per i terapeutici e i diagnostici molecolari più evoluti, non possiamo dipendere da singoli fornitori internazionali, ai quali si richieda di fornire miliardi di dosi in tempi rapidissimi: abbiamo necessità di raggruppare i numerosi laboratori e centri pubblici che hanno le competenze specifiche, connetterli all’industria presente sul nostro territorio e così disporre di una sorta di forza scientifica di intervento rapido, che possa soddisfare la domanda sia in tempi di crisi che, gradualmente, in tempi ordinari (di vaccini avremo infatti sempre maggiore bisogno).
Vi è poi la necessità di mantenere in piedi il tipo di struttura logistica e operativa che ha consentito la somministrazione efficiente di milioni di dosi in tempi rapidi, ove si debba intervenire con i vaccini o con farmaci appropriati; come si fece per la protezione civile, è necessario disporre di una forza nazionale che non risenta della regionalizzazione della sanità e che sia pronta, senza ogni volta dover riscoprire la ruota.
Della sanità pubblica, infine, non scriverò, perché troppi e sotto gli occhi di tutti sono i problemi in via di rapido peggioramento; è chiaro, tuttavia, che senza di quella, noi non ci salveremo, perché solo una nazione e il suo sistema sanitario – di concerto con altre nazioni – può affrontare le future crisi sanitarie su scala ampia, ed è ridicolo pensare che possa supplire un sistema privato in questo settore.
Cosa fare è ben chiaro, ed è sotto gli occhi di tutti; ma se quegli occhi, particolarmente nelle sedi del governo, si chiudono, ebbene occhi futuri sapranno molto bene dove e come ricercare le responsabilità di evitabilissime crisi sanitarie, trasformate per convenienza in imprevedibili accidenti del fato cinico e baro.