l'appello
Fermare le violenze contro i medici: serve un segnale forte dalle istituzioni
Gli episodi di aggressione fisica e verbale nei confronti del personale sanitario sono una lunga serie. Bisogna educare all'idea che fare del male a un sanitario significa fare male a se stessi
Era il 10 marzo quando il ministero della Salute annunciava l’istituzione della giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari, lanciando l’hashtag #violenzanonticura. Sono passati pochi giorni ed ecco un’altra triste storia di un collega pediatra barese aggredito dal genitore di un bambino che, a suo giudizio, aveva atteso troppo per essere visitato al Pronto soccorso. Solo grazie alla presenza della vigilanza privata si è evitato il peggio, ma il medico è stato comunque colpito da una scheggia, per fortuna non agli occhi, dove le conseguenze sarebbero state devastanti e perennemente invalidanti per la professione, e non solo.
Purtroppo questo è solo l’ultimo episodio, in termini temporali, di violenza fisica e verbale contro i sanitari. L’ultimo di una lunga serie che occupa ormai stabilmente le pagine di cronaca dei nostri ospedali e dei nostri ambulatori. Credo che siamo arrivati a un punto di non ritorno perché così non si può più andare avanti. Questa violenza continua e gratuita rende sempre più difficile svolgere il nostro lavoro in serenità. Come fa un medico o un infermiere a svolgere quotidianamente il proprio mestiere sapendo che la gente (non tutta fortunatamente) che deve curare e assistere non ha stima e rispetto del suo lavoro? Cosa dovrebbero fare più di quello che hanno già fatto?
Hanno studiato una vita e continuano a studiare per lavorare in condizioni spesso disagiate, con orari infiniti, con continue rinunce, con carriere basate più sull’anzianità che sul merito e, non ultimo, con i salari tra i più bassi d’Europa. Quello che sconcerta di più è che tutta questa violenza segue un periodo in cui i sanitari sono stati al servizio di tutto il paese durante l’emergenza pandemica. Un periodo in cui molti, chiamandoci erroneamente eroi, sembravano aver capito quanto è difficile svolgere questo lavoro con passione, mettendo spesso a repentaglio la propria vita e la propria sicurezza personale e familiare.
La luna di miele tra popolo e sanitari è però durata troppo poco. A incendiare le polveri di un sistema già fragile hanno poi contribuito, e continuano a contribuire, quei personaggi che populisticamente hanno fatto dell’antiscienza e dell’antisistema il loro credo. Affermare che i “veri medici” curavano il Covid e che invece in ospedale si ammazzava la gente con cure sbagliate o dire che tutto il sistema è corrotto da big pharma o chissà quale altra organizzazione criminale non ha certo aiutato a far ripartire un sistema sanitario pubblico che è decisamente fragile e purtroppo malato cronico.
I problemi strutturali, organizzativi e di risorse umane del sistema sanitario pubblico italiano sono legati a una errata programmazione e a un incongruo e scarso finanziamento che ha interessato gli ultimi 30 anni del nostro paese. Se guardiamo agli investimenti in salute pubblica degli altri paesi europei sono molto maggiori dei nostri. Perché si è deciso di smantellare e ridurre il finanziamento al sistema pubblico? Qualcuno dovrà prima o poi dare una risposta ai cittadini. Anche nell’accesso alle professioni sanitarie si è pensato, erroneamente, che con l’istituzione del numero chiuso e dei test di ammissione si potessero scegliere i più capaci immettendo nel sistema solo quelli di cui c’era veramente bisogno.
Peccato che oggi avremmo un enorme bisogno di molti di quegli aspiranti medici che sono stati scartati perché non avevano saputo quando era stata combattuta la prima guerra punica o quale fosse la legge di Ohm. La politica oggi ha il dovere di sanare questa situazione e di riprogrammare la formazione e gli investimenti in sanità pubblica rivedendo criticamente il suo operato degli ultimi 20-30 anni.
Per quel che riguarda poi la tutela dei sanitari, credo che oggi sia necessario fare tutto il possibile per prevenire gli episodi di violenza e proteggere il personale. Ogni aggressione mette a rischio non solo la sicurezza e la salute degli stessi operatori, ma anche la qualità dell’assistenza fornita ai pazienti e il diritto di tutti gli altri costituzionalmente garantito alla salute.
La reintroduzione dei presidi di polizia all’interno dei pronto soccorso e delle guardie mediche, oltre a una legge per equiparare l’operatore sanitario a un pubblico ufficiale sono solo due piccoli, ma urgenti, rimedi che non possono più aspettare.
La cosa che mi spiace di più è scrivere queste cose nel momento in cui si celebra la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus. Nessuna parola renderà giustizia a chi ha lavorato per mesi senza fiatare con il solo obiettivo di alleviare le sofferenze di chi era malato. Spesso a costo della sua stessa vita. Sono stati 500 tra medici e infermieri che il Covid ha strappato ai propri affetti e al proprio lavoro, interpretato con amore sino all’ultimo istante.
Ora serve un segnale forte dalle istituzioni perché i sanitari possano continuare a svolgere il loro lavoro con passione e dedizione, ma anche con maggiore sicurezza. Insegniamo alla gente ad avere rispetto perché chi fa male a un sanitario fa prima di tutto male a sé stesso.
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