Ottimismo e cautela
Cosa c'è di vero e cosa no nella notizia dei vaccini anti cancro e anti infarto
La notizia va presa con le molle. La tecnologia a Rna consente di immaginare nuovi e magnifici scenari ma, come spesso accade in questi casi, siamo in assenza di dati che forniscano indicazioni nuove rispetto a quanto già sentito. Un debunking
Qualche giorno fa, un’intervista del Guardian al capo della divisione medica di Moderna ha innescato un’onda comunicativa che, dopo qualche giorno, ha raggiunto anche il nostro paese. Il Guardian ha titolato infatti così: “Vaccini contro il cancro e per le malattie cardiache pronti entro la fine del decennio”, e tutti i giornali che sono riuscito a leggere nel nostro paese hanno ripreso grosso modo lo stesso testo, come la Repubblica, che ha titolato “Vaccini contro cancro e infarto: la rivoluzione con l'Rna”.
Ora, per chi capisca un minimo di medicina o di biologia, la cosa è alquanto curiosa, perché mentre da decenni è chiaro cosa si intenda per vaccini contro il cancro, l’idea che si possa indurre una risposta immune contro uno specifico antigene per correggere malattie cardiovascolari non oncologiche o di origine infettiva suona alquanto inedita. Del resto, leggendo il testo dell’intervista originale, si trova ampia discussione sulle potenziali applicazioni dei vaccini a Rna in ambito oncologico, ma nessun indizio su cosa si intenda per un eventuale vaccino da usare in ambito cardiovascolare. La ragione è semplice: chi ha raccolto l’intervista sul Guardian, e da quel che leggo quasi sempre anche chi l’ha poi rilanciata nelle testate nazionali, non deve propriamente avere le idee molto chiare, ragion per cui credo sia dovuta ai lettori qualche spiegazione aggiuntiva.
Cominciamo dal cancro: a febbraio, l’Fda ha concesso a Moderna e a Roche una “breakthrough therapy designation” per l’uso combinato di un anticorpo monoclonale di Roche (Pembrolizumab) e di un nuovo vaccino a Rna di Moderna contro il melanoma avanzato, in quei pazienti che, dopo resezione, hanno elevata probabilità di recidiva e morte. Rispetto al solo anticorpo monoclonale, l’aggiunta del vaccino ha diminuito il rischio di esito infausto di oltre il 40 per cento: un risultato eccellente, dovuto all’azione di combinata di “pulizia” effettuata dall’anticorpo e di induzione di memoria immunitaria mediata dal vaccino.
Il vaccino è stato usato in combinazione con un agente terapeutico perché, in molti casi, i cancri sono immunodepressivi specifici, riuscendo a modulare il sistema immunitario così da evitare che esso monti una risposta adeguata a distruggerli; dando anticorpi preformati, si interrompe almeno momentaneamente questa azione, così che il sistema immunitario può costruire una risposta di memoria efficace e impedire la ricrescita del tumore (che avviene ogni qual volta anche poche cellule sopravvivono a un agente terapeutico quale un anticorpo monoclonale).
Il vantaggio di utilizzare un Rna, nel caso dei vaccini oncologici, è cruciale: poiché è possibile la personalizzazione dell’antigene indotto, la visione che i ricercatori propongono, sia in Moderna che altrove, è quella per cui il prelievo di una biopsia dal paziente, associato al sequenziamento del Dna tumorale e all’identificazione mediante tecniche bioinformatiche avanzate di uno specifico profilo antigenico del tumore di quel paziente, consente la produzione di un Rna vaccinale corrispondente, che poi è somministrato utilizzando la stessa tecnologia vista in azione in questi ultimi tre anni, o sue ulteriori e migliorate varianti.
Si estrae cioè direttamente dal cancro l’informazione che serve a renderlo riconoscibile al sistema immunitario, aggirando così i “trucchi” messi in atto dal tumore proprio per evitare questo riconoscimento. Naturalmente – e prego tutti di far attenzione a questo punto – il cancro è un sistema darwiniano, e quindi può rispondere adattativamente alla selezione operata dal sistema immune; questo potrà significare che, di tanto in tanto, saranno necessarie ulteriori dosi di Rna adattato alle recidive che dovessero presentarsi. Sin qui, dunque, stiamo realmente discutendo di un approccio vaccinale a Rna; del tutto diverso è invece il metodo proposto per affrontare alcune patologie cardiovascolari, che non coinvolge in alcun modo il sistema immunitario e, pertanto, non corrisponde all’utilizzo di alcun vaccino – per il dispiacere dei titolisti del Guardian e di quelli nostrani.
Anche in questo caso, Moderna ha raggiunto un accordo con un’altra grande azienda farmaceutica, e precisamente con Astra Zeneca, e anche in questo caso sono disponibili limitati dati di fase II (fin dal 2021) per una molecola di Rna da iniettarsi direttamente nel miocardio di pazienti con malattia coronarica e conseguente insufficienza cardiaca. In questo caso, l’Rna utilizzato codifica per una proteina nota come Vegf-a, che è utilizzata per promuovere la rivascolarizzazione e così aumentare la perfusione del cuore ischemico. I primissimi, pochi dati clinici presentati nel 2022 mostrano un moderato, incoraggiante beneficio della funzione cardiaca nei pazienti trattati rispetto a quelli di controllo, ma la statistica è davvero fondata su campioni troppo piccoli per poter trarre qualcosa di più che un auspicio; i veri dati solidi sono quelli in animale, ove è stata dimostrata un’estensiva rivascolarizzazione in accompagnamento alla ripresa funzionale.
Tiriamo le somme: a ben vedere, e anche scontando l’erroraccio di chi ha parlato di vaccini per malattie cardiovascolari, siamo di fronte a una comunicazione aziendale lecita e certamente ben motivata dai magnifici scenari che la tecnologia a Rna apre, ma, come spesso accade in questi casi, siamo in assenza di dati che forniscano indicazioni nuove rispetto a quanto già sentito mesi o anni fa. Ottimismo e cautela sono quindi entrambi ben motivati, e la loro combinazione è d’obbligo.
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