L'intervista
Il numero chiuso a medicina non è stato abolito: "Salvini dice fake news, quello che serve è un numero giusto"
Al Foglio parla il presidente della Federazione dei medici e dei chirurghi Filippo Anelli: "Per formare un medico ci vogliono dieci anni, la nostra situazione è frutto di scelte sbagliate fatte un decennio fa. La politica accantoni la campagna elettorale"
"Grande soddisfazione per lo stop al numero chiuso a medicina. Dalle parole ai fatti". Lo ha scritto trionfante su Twitter il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, annunciando il via libera al testo base – approvato ieri in commissione Istruzione al Senato – della proposta di legge che punta a rendere la facoltà di medicina a libero accesso. La notizia ha fatto il giro dei social, tanto da diventare oggetto di meme e critiche sia su Twitter che su Tiktok. La realtà delle cose è però diversa.
"Il numero chiuso non è stato abolito, quello che la Lega sta introducendo è un accesso alla facoltà sul modello francese". Lo puntualizza il presidente Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) Filippo Anelli, che al Foglio spiega che nei fatti il ddl "sposta in avanti" di sei mesi quello che è oggi il testi di medicina, introducendo corsi propedeutici che se non superati causano l'esclusione dalla facoltà. "Si tratta di un sistema che non ha poche criticità, ma il tema resta più ampio e verte su carenze di pianificazione della gestione del personale sanitario" Con la sua federazione, Anelli lo scorso marzo ha presentato un rapporto che stima come l'attuale problema legato alla "mancanza di medici" tra qualche anno, paradossalmente, si trasformerà nel problema opposto, ovvero in un surplus di camici bianchi disoccupati.
Cosa prevede la legge sul numero chiuso
Il testo approvato ieri al Senato prende ampio spunto dalla Francia. Nella sostanza, si legge, il ddl modifica9 la legge n 264 del 1999, introducendo un articolo che "regolamenta l'ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia, prevedendo la libera iscrizione al primo semestre di studio". Nel corso di questo primo semestre saranno insegnate delle materie considerate "propedeutiche" al corso in medicina in modo che "gli studenti riescano a rendersi conto autonomamente se il tipo di studio scelto è consono alle loro aspettative e aspirazioni. Una sorta di orientamento durante il primo semestre", si legge.
Una volta terminato il periodo di sei mesi a libero accesso "gli studenti, al termine del corso, dovranno affrontare una prova nazionale, per quiz sulle materie oggetto del corso, da tenersi entro il mese di gennaio di ciascun anno". I risultati di questi esami disciplinano l'accesso al secondo semestre del corso di medicina. Il numero di posti disponibili dipenderà "dal fabbisogno nazionale (di medici, ndr) comunicato dal ministro della Salute".
"Il provvedimento in sé non toglie il numero chiuso, anzi lo rafforza. Quanto hanno affermato alcuni esponenti leghisti è impreciso perché è stato abolito l'accesso solo al primo semestre del corso e non a medicina in quanto facoltà", spiega ancora Anelli. "Alla proposta di legge si aggiunge un problema strutturale: le nostre università non sono predisposte ad avere un così alto numero di studenti, cosa che arrecherebbe danno alla qualità degli insegnamenti", aggiunge. Le sue riflessioni si basano sull'osservazione di quanto successo in Francia: "L'aspetto che impatta di più nel modello francese, che è stato duramente criticato, è quello che succede ai tantissimi studenti che non riescono a superare gli esami di accesso al secondo semestre: il fatto che perdano parte del tempo per poi non riuscire a entrare crea non pochi problemi".
Numero chiuso sì o no?
Appurato quindi il fatto che il disegno di legge incardinato alle Camere non abolirà quello che è il numero chiuso, chiediamo ad Anelli quale sia l'opinione diffusa tra gli addetti ai lavori in merito a regolamentare, per davvero, il libero accesso alla facoltà. Anche al netto di numerose dichiarazioni della politica e di fotografia che mostrano come oggi ci sia una grande carenza di medici negli ospedali (e le lunghe lista di attesa che ne conseguono), la Fnomceo (e l'ordine dei medici) resta "fortemente contraria" al libero accesso a medicina. E a supportare la tesi arrivano, ancora, i dati e un rapporto pubblicato lo scorso marzo.
"Se togliessimo il numero chiuso produrremmo solo dei disoccupati", ha detto ieri Anelli all'Ansa. "L'emozione che vive la gente è che pensa solo al momento attuale – ci spiega –, nei problemi di vita quotidiana e nelle visite è naturale che l'ottica sia di breve periodo. Ma per formare un medico ci vogliono 10 anni: 6 di corso e 4 di specialistica. Per cui se inizi ora a formare un medico devi pensare a quello che succederà tra dieci anni. Le condizioni in cui ci troviamo oggi sono frutto delle scelte che si sono fatte dieci anni fa, c'è stato un errore di programmazione: nel 2014 hanno consentito, per esempio, l'accesso a 10 mila studenti sapendo che in quello stesso anno sarebbero andati in pensione 15 mila medici, ecco questo è un grave errore di programmazione", dice Anelli. Al ministero c'era Beatrice Lorenzin.
Secondo il rapporto presentato due mesi infatti, in base alle stime e alle proiezioni della federazione, il 2030 è l'anno in cui la curva tra domanda e offerta di camici bianchi andrà a normalizzarsi grazie ai pensionamenti e ai nuovi ingressi: "Analizzando anno per anno, vediamo che l’apice della gobba pensionistica si raggiunge già quest'anno per i medici di medicina generale, nel 2025 per gli ospedalieri e gli specialisti ambulatoriali, dopodiché la curva inizia a scendere. È dunque adesso che mancano gli specialisti e i medici di medicina generale, come la Fnomceo prevedeva già dieci anni fa. Nei prossimi anni, invece, la situazione andrà normalizzandosi. E, nel 2030, come dicevamo, si sforneranno più specialisti di quanti andranno in pensione, mentre usciranno dalla facoltà di medicina oltre 19mila medici pronti a specializzarsi", dice il report (e spiega questo reel della pagina Instagram "@ilnumerogiusto").
"La politica – continua Anelli – deve entrare nell'ottica della programmazione. Tra dieci anni andranno in pensione 7mila medici. L'accesso a medicina di quest'anno è stato di 20mila medici: tra dieci anni ci saranno 13 mila medici che non sapranno dove andare o cosa fare. Questo è un dato stabilito nel 2020, quattro anni fa. Tutto quello che stiamo facendo in più andrà ad aggravare e aumentare gli specialisti che avranno difficoltà a essere collocati nel posto di lavoro. E il problema è, poi, anche di carattere sia economico che etico. Quello che serve è un numero giusto, non libero o chiuso", incalza.
Il problema alla politica
Ma al di là di questo, ci sono altre ragione che contribuiscono al problema: "In linea generale - spiega il presidente della fondazione - il numero di medici in Italia è leggermente superiore a quello degli altri paesi europei. La mancanza di medici nei nostri ospedali non è quindi frutto di altri fattori, che sono quelli dell'attratività del sistema. È il motivo per il quale abbiamo 40 mila medici che lavorano all'estero, che se fossero qui avremmo già risolto gran parte dei problemi. Finché il sistema sarà solo orientato al rispetto delle regole economiche invece che offrire ai camici la voglia di poter lavorare la tendenza non si inverte", dice ancora Anelli.
Per questa ragione l'invito alla politica è quello di togliere di mezzo la campagna elettorale e concentrarsi nel risolvere quelle che sono criticità tecniche del sistema, e non politiche: "Questi provvedimenti non devono essere fatti sotto campagna elettorale e il futuro dei giovani è nelle nostre mani, quindi l'aspetto che va utilizzato è quello meramente tecnico", conclude Anelli.
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