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Sanità e liste d'attesa: poche risorse per incentivi non chiari
Doveva essere una piccola manovra di bilancio, invece il Consiglio dei ministri ha licenziato un decreto leggero e un disegno di legge che rimanda gli interventi. Il piano Schillaci frenato dalla mancanza di risorse
Doveva essere una piccola manovra di bilancio per la sanità, con l’intento di aggredire il problema delle liste d’attesa con un decreto legge inizialmente sviluppato in 25 articoli. Dopo un travagliato percorso e un braccio di ferro con il ministero dell’Economia si è trasformato in un più modesto decreto di 7 articoli, al quale si è sommato un disegno di legge che rimanda molti interventi ai più lunghi tempi dell’iter parlamentare. L’ambizioso piano Schillaci ha pagato dazio a causa della mancanza di risorse e così è stato approvato in Consiglio dei ministri spacchettato in due provvedimenti.
A fronte dell’esigenza di circa un miliardo, il ministro della Salute si è trovato a dover fare i conti con una disponibilità di circa 300 milioni di euro. A quel punto, per limitare almeno in parte i malumori degli operatori, Schillaci ha deciso di puntare quasi tutto sulla defiscalizzazione di quelle prestazioni aggiuntive che i medici dovrebbero garantire anche nei fine settimana o in orario serale per smaltire le liste d’attesa, sfilandola dal disegno di legge e inserendola nel decreto per renderla immediatamente operativa. L’impatto economico di questa misura è stato stimato dal ministro in 250 milioni. L’esito di questo incentivo è però incerto. Già oggi gli operatori sanitari per garantire un minimo turno di servizio nei fine settimana sono spesso costretti a ricorrere alle prestazioni aggiuntive o al ricorso ai cosiddetti medici a gettone.
I tempi di lavoro massimo sono definiti dalla normativa europea: 48 ore settimanali di cui 10 di straordinario. Le ore aggiuntive rispetto all’ordinario non sono obbligatorie. Anche a fronte di un indubbio vantaggio fiscale, alla luce di condizioni e orari di lavoro già oggi particolarmente stressanti molti medici potrebbero decidere di non aderire e godersi il loro (scarso) tempo libero. A quel punto, per garantire il rispetto dei tempi di attesa previsti per l’esame prescritto, secondo quanto previsto dal governo ci si dovrebbe rivolgere al privato accreditato.
In questo caso, nel decreto, si prevede che le coperture economiche andranno a valere sulle risorse destinate all’abbattimento delle liste d’attesa già previste dalla legge di Bilancio approvata a dicembre dello scorso anno, senza nuovi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Queste risorse andavano già a coinvolgere il privato accreditato per l’acquisto di prestazioni. Per capire di quali cifre si sta parlando si dovrà però attendere fine mese. Nel decreto si prevede che entro il 30 giugno il ministero della Salute provvederà a un monitoraggio sull’utilizzo delle risorse. Quelle ancora inutilizzate non potranno essere destinate ad altri settori. L’altra misura di grande impatto riguarda il tetto di spesa per il personale sanitario che sarà abolito a partire dal 2025. Per quanto riguarda l’anno in corso, nelle regioni che ne faranno richiesta questo potrà essere aumentato del 15 per cento rispetto all’incremento del fondo sanitario regionale dell’esercizio precedente. Una misura che sembra in realtà limitarsi a ricalcare quanto già previsto dal decreto Calabria, approvato nel 2019, e dalle sue successive modifiche. Quanto al 2025, si passerà da un meccanismo basato sulla presenza di un tetto di spesa a un calcolo del fabbisogno basato su un algoritmo elaborato da Agenas a oggi in via di sperimentazione. Il rischio paventato da alcuni sindacati dei medici è di un ricalcolo al ribasso rispetto alle attuali dotazioni. Si vedrà nei prossimi mesi la fondatezza di queste preoccupazioni.
Quanto al resto, si passa dalla dotazione di una piattaforma per avere i dati delle liste d’attesa aggiornati regione per regione, all’introduzione di un organismo di controllo e verifica, fino ai Cup che dovranno avere in agende tutte le prestazioni offerte da pubblico e privato convenzionato. Non si può notare in questo caso un atteggiamento in un certo senso schizofrenico da parte del governo. Se, infatti, da un lato si continua a portare avanti un disegno di autonomia differenziata in sanità che garantisca maggiori poteri alle regioni, dall’altro con questi provvedimento si avalla un meccanismo di controllo capillare da parte dello stato centrale che arriverà a poter verificare – bypassando il livello regionale – non solo l’operato di ogni Asl, ma anche quello di ogni direttore generale e, persino, del singolo medico. Alla faccia dell’autonomia.