E adesso lo evangelizziamo?
E adesso lo evangelizziamo? Il problema con la scoperta di Kepler 452B, pianeta che esperti in astronomia poco versati in nomi poetici assicurano essere gemello della Terra, non è né l’apertura di mondi possibili né il turismo interplanetario né l’eventualità di trasferirci tutti lì per scappare dal riscaldamento globale: il problema è la religione. Nel briefing coi colleghi della Nasa, John Grunfeld e Jon Jenkins sono stati cauti e vaghi, per quanto comprensibilmente entusiasti, ragion per cui non si capisce se su questo pianeta ci siano forme di vita paragonabili alla nostra. Di sicuro c’è solo il possibile, ossia che la dimensione di Kepler 452B è comparabile a quella della Terra, che gli anni lassù sono della stessa lunghezza dei nostri, che appartiene al sistema di una stella paragonabile al Sole, che l’energia che ne riceve è superiore del 10 per cento quindi sostanzialmente uguale, e che quindi se c’è vita sulla Terra non si capisce – dalla prospettiva degli scienziati – perché non ce ne sia stata o magari non ce ne sia ancora su questo pianeta suo simile e fratello.
Non importa. Anche chi non capisce niente di scienza (quorum ego, ammetto) intuisce che il dado è tratto per una nuova rivoluzione religiosa, che molto verosimilmente a lungo andare cambierà il modo in cui percepiamo la nostra anima. Per il cristianesimo sarà il terzo rivolgimento globale, dopo la scoperta che la Terra non fosse il centro dell’universo e la scoperta dell’America, ossia che esistessero selvaggi distanti un oceano che da millenni vivevano completamente ignari della Bibbia, della rivelazione, della vita eterna. A questa difficoltà il cristianesimo ha fatto fronte egregiamente, al netto degli errori e delle violenze che un Las Casas aveva denunciato e che la storia ha provveduto a condannare: nella scoperta di civiltà estranee ha visto l’opportunità di partire e evangelizzarle, ritenendo che la rivelazione fosse un dono di Dio che funziona solo se spartito.
Negli anni del Papa gesuita non si ricorda mai abbastanza l’esempio delle reducciones che la Compagnia di Gesù instaurò in Paraguay a partire dal 1580: come insegnare il concetto di pene e ricompense eterne a selvaggi privi del concetto di “domani”, incapaci di capire l’utilità di un compito necessario e tanto meno di spaventarsi alla minaccia di venire puniti per le loro mancanze? I gesuiti scommisero che questi animaletti senza mutande avessero l’anima e con grande pazienza insegnarono loro cos’era una casa e come si costruiva, cos’era una famiglia e come si manteneva, e poi l’agricoltura, l’artigianato, tutto secondo le conoscenze dell’occidente, e su questo poterono incardinare il catechismo. Il cristianesimo instaurò in Paraguay la teocrazia della ragione. Ci fu bisogno di una campana che suonasse periodicamente per ricordare ai mariti di adempiere al dovere coniugale; però l’esperimento è riuscito e se il mondo di oggi è globalizzato, se parlando con gente distante un oceano riusciamo più o meno a capirci secondo categorie condivise, è merito anche del folle volo, ingenuo e smisuratamente ambizioso, dei padri gesuiti cinquecenteschi.
Allora, in che universo vogliamo vivere fra cinquecento anni? Se la scienza dovesse dimostrare che su Kepler c’è vita paragonabile alla nostra, come i fattori di contorno sembrano far presagire, abbiamo due possibili strade. La prima è la disperazione del cristiano, pari a quella del comunista di fronte alla caduta del Muro di Berlino. Ci troveremmo a vivere in una specie di “Good Bye, Jesus!” accorgendosi che l’esistenza di un mondo uguale ma diverso toglie assolutezza alla nostra salvazione: se siamo il centro di un disegno di Dio, perché c’è un altro punto dell’universo che sembra essere indistinguibile da noi? L’incarnazione di Gesù, la sua morte e risurrezione, sono valide solo sulla Terra o sono universali? Se su Kepler 452B circolano affari che potremmo definire analoghi a noi, Gesù è andato anche da loro? C’è andato qualcun altro? Se non c’è andato nessuno, perché sono esclusi dal disegno? Perché sono condannati?
[**Video_box_2**]Quando si vede un abisso, la scorciatoia è buttarcisi dentro. Io qui propongo che le virtù teologali servano a qualcosa, oltre che a fabbricare prediche: la fede per restare saldi nella certezza che il disegno c’è, per quanto disorientanti possano apparire le circostanze; la speranza per vedere in Kepler 452B la stessa occasione che i gesuiti seppero scorgere nel Paraguay; la carità per decidere di andare a evangelizzarlo, per non inaridire il dono. Poiché la realtà imita la fantasia, la scoperta della Nasa è arrivata poco dopo l’uscita del nuovo romanzo di Michel Faber, “Il libro delle cose nuove e strane” (Bompiani), in cui un pastore protestante progressista e un po’ tonto va a esercitare il proprio ministero su un pianeta dove gli uomini progettano di rifugiarsi, e predica fra dei cosini alti un metro e mezzo che leggono la Bibbia con qualche fatica e cantano “Amazing Grace” quasi con lo stesso trasporto di Obama. Da questo predicatore dobbiamo prendere il senso del dovere, capire che la scoperta dell’altro ci riguarda come cristiani, che il dono va condiviso e che il vero fondamentale benecomunismo è diffondere il Vangelo – il resto seguirà.
Sarà difficile. Saranno strani, saranno brutti, saranno scettici come gli imperatori cinesi di fronte ai gesuiti (sempre loro) che si affannavano a spiegare cosa c’entrasse un piccione con una vergine e un falegname. Però sarà fantastico guadagnare al Signore un’anima così insperata e vederla scintillare nello spazio; e sarà anche bello perché ci renderemo conto che non importa la distanza siderale ma, se Dio ha creato qualcosa con un’anima, in essa ha instillato lo stesso istinto naturale a non uccidere né rubare né mentire che ha messo dentro di noi e che noi abbiamo affievolito con troppa civilizzazione. Poi magari io scrivo queste congetture in fretta e furia e domani mattina loro decidono di venire qui, a evangelizzare questo pianeta in cui nessuno va più a messa.
cattivi scienziati
La débâcle della biodinamica in vigna
Cattivi scienziati