Misteri interstellari
Tutto quello che non sappiamo sull'ultima rivoluzionaria scoperta della Nasa
Finora era solo il gruppo di stelle più curioso del cielo boreale. Si chiama Triangolo Estivo. E’ una figura perfetta di triangolo tracciabile a nord, nel cielo d’estate, unendo tre stelle luminose e visibilissime: Altair nella costellazione dell’Aquila, Vega in quella della Lyra e Deneb in quella del Cigno. E’ l’immancabile appuntamento estivo per appassionati e per gli innamorati.
Finora quello che restava da cogliere, nello spazio notturno tra le tre stelle del Triangolo, era solo l’anonima raccolta di tanti puntini luminosi incastonati tra la bellezza imbarazzante dei tre vertici del Triangolo. Ora tutto è cambiato. Quando in estate guarderemo allo spazio galattico tra Vega e Deneb, sappiamo che lì c’è un oggetto cosmico che turba gli astronomi e sta sfidando la fantasia e le conoscenze fisiche. Anche questo nuovo oggetto misterioso ci cade tra gli occhi, è il caso di dire, grazie all'acciaccato ma, ormai, già mitico Kepler, il telescopio spaziale che la Nasa ha dedicato alla caccia di possibili pianeti extrasolari adatti alla vita. E che si avvia ormai verso l’esaurimento di una breve, tormentata ma straordinariamente prolifica attività.
La caccia di Kepler ha già all’attivo migliaia di possibili supposti esopianeti. Pensate: il telescopio non “spazza” con i suoi sensori e specchi l’intera volta celeste. Il campo visivo di Kepler si limita ad una porzione limitata di essa: appena lo 0,28 per cento. Servirebbero quasi 500 telescopi come Kepler per coprire la volta intera. Il telescopio è puntato su sole 140mila stelle dello spazio tra il Cigno e la Lyra e tra esse ha selezionate migliaia di candidati esopianeti. Basta un piccolo calcolo per arrivare alla conclusione che, con la media di Kepler, la nostra Galassia dovrebbe contenere qualcosa come almeno 16 miliardi di esopianeti. Ma ora siamo a qualcosa di più. C’è un oggetto inusuale, tra il Cigno e la Lyra, che i dati di Kepler hanno individuato, che inquieta e confonde e che sembra mostrare non qualcosa di adatto alla vita, come i possibili esopianeti cui Kepler ci ha abituato, ma addirittura un’immagine di…vita.
Ma andiamo per ordine.
I dati che Kepler raccoglie non sono, ovviamente, tradizionali fotografie da interpretare. Sono una messe copiosissima e complicata di segnali di oggetti lontanissimi che Kepler raccoglie dalla luminosità di una stella. Ci vuole una complessa elaborazione in laboratorio di tali segnali, che occupa mesi e qualche anno. E che deve far ricorso alla combinazione di svariate discipline fisiche, chimiche, di meccanica celeste per definire immagini verosimili del possibile esopianeta. Che si avvicini ad una fotografia plausibile. Un lavoro immane, dunque. Impossibile per il solo personale della pur potente Nasa. Un grande apparato di laboratori, università e centri di ricerca lavorano alla gestione di Kepler e a quella dei dati che il telescopio scarica in download (dopo aver fatto già sul satellite una prima selezione dei dati utili). Ma nemmeno questo basta. Per interpretare i dati di Kepler, la Nasa ha dato vita ad una strana comunità. Si tratta dei “citizen scientist”, astronomi residenti che dalle loro case o laboratori universitari o studi professionali partecipano, con gli astronomi di Kepler, al programma di telelavoro più affascinante mai concepito: Planet Hunters, i cacciatori di pianeti.
Si tratta di una comunità mondiale diffusa che aiuta la Nasa ad interpretare le immagini complicate di Kepler. Una sorta di agorà scientifica che fa strame delle leggende metropolitane sulla segretezza cospirativa dell’Agenzia Spaziale americana. E sulla letteratura giallista e catastrofista che l’accompagna. Da un paio di anni c’è qualcosa, un oggetto, una strana ed enigmatica stella nello spazio tra il Cigno e la Lyra, che inquieta la comunità degli astronomi e intrica la Nasa e gli “scienziati residenti” di Planet Hunters. Il marker di Kepler, si sa, è l’intermittenza (chiamata dips, attenuazioni in inglese ) nell’intensità di luce, nella luminosità di una stella. Spesso l’esistenza dei dips è il segnale che un pianeta sta orbitando la stella.
[**Video_box_2**]Nel 2009, Kepler inizia a raccogliere i dati di una strana stella che nel 2011, dopo un lungo lavoro di elaborazione, mostrano un comportamento anomale, bizzarro, inedito, sconosciuto della stella. L’intermittenza luminosa, i suoi dips, non sembrava ascrivibile al passaggio di un pianeta. Non rispettava, infatti, il pattern usualmente riportabile a tale fenomeno. L’intermittenza si presentava, agli occhi degli scienziati, non come un pianeta solido e compatto ma come una specie di “big mess”, una nuvola di cose confuse, una diffusa e aggregazione di materia senza una precisa geometria, in orbita intorno alla stella. Non era un esopianeta. Quello che stava orbitando la stella appariva, piuttosto, come qualcosa che i cosmologi conoscono bene: il disco di polvere e detriti che circonda una stella neonata e da cui, come è accaduto al Sole quattro miliardi e mezzo di anni fa, si forma poi un sistema solare. Tutto chiaro dunque? Si, se non fosse per un particolare: quella stella non è giovane. E una nebulosa di polvere e detriti non può esistere attorno a una stella che non è giovane. Elementari conoscenze della legge gravitazionale e di complessa ma solida fisica e meccanica celeste lo escludono. Basta qui dire che manca, nel caso in questione, la pistola fumante, il segnale immancabile di una nebulosa di polvere orbitante una stella neonata: l’irraggiamento di luce nella gamma delle onde infrarosse. Se non ci sono queste onde, la polvere non c’è. E lì non ci sono.
A segnare una svolta per la comunità dei Planet Hunters, un paper di Tabetha Boyajian, professoressa della Yale University e tra gli ideatori del programma dei Planet Hunters. L’autrice elenca, minuziosamente, ogni possibile spiegazione ordinaria e di fisica conosciuta del fenomeno della strana stella. Nessuna di essa passa il varco della conferma scientifica e di un giudizio di elevata probabilità della sua possibilità. Ogni possibile spiegazione sembra sottrarsi alla plausibilità, in base alle conoscenze e ai modelli di comportamento stellare accumulati in decenni di osservazione. Il paper conclude: “I dati sembrano così incredibili da far dubitare che si tratti di dati reali”. E, invece, si tratta, di dati reali.
Il mistero inquieta. A meno che…Chiedetevi: cosa pensate che farebbe una civiltà più avanzata della nostra, diciamo pure di mille anni più avanti, per sottrarsi ad un destino di annientamento del proprio pianeta o per sfruttare, in modo più efficiente, le risorse energetiche della propria stella? Non ci sono dubbi. Se tale civiltà avesse risolto i problemi della velocità di spostamento nello spazio, anzitutto attraverso nuovi sistemi di propulsione, la più immaginabile e plausibile delle sue realizzazioni sarebbe, di sicuro, la costruzione di infrastrutture orbitanti intorno alla propria stella per abitarle o per sfruttarne, in modo più efficiente, l’energia. E’ esattamente lo scenario ipotizzato, in uno straordinario libro del 2005, “Mondi paralleli”, da Michhio Kaku, uno dei più noti astrofisici esistenti, divulgatore e futurologo appassionato. Noto anche per una sua controversa ma affascinante teoria matematica dell’esistenza di Dio, la fisica di Kaku è rigorosissima. E tutt’altro che metafisica.
Nel libro del 2005, egli avanza la tesi secondo cui le civiltà vanno classificate in base ad una scala delle tecnologie di “consumo di energia e di governo delle leggi della termodinamica”. La nostra civiltà si colloca al livello “tipo zero” della scala, quello di partenza, che caratterizza civiltà che si limitano, ancora, a sfruttare, come fonti energetiche, quelle interne al proprio pianeta. Quale sarebbe invece, secondo Kaku, la tecnologia di consumo energetico di una civiltà che si colloca al livello “tipo 2”, diciamo ad una distanza temporale di qualche migliaio di anni da noi? Quella civiltà, afferma Kaku, avrebbe esaurito da tempo le risorse energetiche del proprio pianeta e avrebbe “imparato a sfruttare tutta la fantastica potenza catturabile di una stella (1026 watt)”? Una tale civiltà, scrive Kaku, avrebbe sicuramente disposto “megastrutture orbitanti” la propria stella per raccoglierne l’energia. L’ipotesi profetica di Kaku sembra ora insinuarsi nel dibattito aperto da Tabetha Boyajian e dall’inquietante mistero dei dips della strana stella del Triangolo Estivo.
Per spiegare il mistero, infatti, un gruppo importante di scienziati, capeggiati dall’astronomo Jason Wright, avanza l’ipotesi che intorno a quella stella, stia appunto orbitando…uno “swarm of megastructures”, un aggregato di megastrutture. L’ipotesi, tecnicamente, supererebbe l’esame dei tests di Boyajian. Non contraddirebbe i dati di Kepler e spiegherebbe le anomalie della strana stella del Cigno. Del resto, il tema di “infrastrutture orbitanti” di civiltà aliene non è una fantasia di oggi e, tantomeno, un oggetto dei racconti di Asimov. Fa parte, ad esempio, degli obiettivi espliciti ed ufficiali del programma mondiale SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Il problema è che oggi si ipotizza di averle individuate. E questa è tutt’altra questione. Non è, come potrebbe sembrare, una notizia entusiasmante per la scienza. Per la scienza gli alieni sono come l’infinito per i matematici che, quando compare, prova che le equazioni sono saltate. C’è una regola in astrofisica e in astronomia: il ricorso agli alieni, per spiegare fenomeni cosmici sconosciuti, deve sempre essere considerata l’ultima ipotesi a cui ricorrere. E solo se ogni altra può essere davvero esclusa. Ciò per un principio di realtà, di salvaguardia e di sobrietà scientifica. E per non svilire la scienza nella fantascienza. Eppure, quella nuvola orbitante non sembra avere, allo stato dei fatti, una spiegazione più plausibile.