I rischi antropologici sono immensi
L’incoercibile “diritto” alla genitorialità porta con sé logicamente ad ammettere il cosiddetto “affitto dell’utero” a fini riproduttivi. La sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014 ha imprudentemente sostenuto che l’eterologa non avrebbe alcuna relazione con la pratica dell’affitto dell’utero. E’ vero tutto il contrario. Se i presupposti dell’eterologa sono, per un verso, il “diritto” al figlio e, per altro verso, la sterilità o l’infertilità della coppia, allora sarebbe evidente l’irragionevolezza del divieto dell’affitto dell’utero. Se la donna, infatti, nell’ambito di un rapporto di coppia, non è in grado di gestire la gravidanza, sarebbe impossibile per essa attualizzare il “diritto” al figlio. E se è possibile tecnicamente produrre in provetta embrioni dall’incontro di sperma e ovociti estranei alla coppia e trasferirli successivamente nell’utero della donna incapace della gestione, non si vede per quale motivo, in vista dell’attualizzazione del “diritto” al figlio, non dovrebbe essere giuridicamente ammissibile impiantare l’embrione nell’utero di un’altra donna, affinché quest’ultima gestisca la gravidanza in surroga della donna incapace. Occorre procedere oltre. La gestazione della gravidanza mette non di rado a rischio la salute della donna. Questa, pertanto, non potrebbe attualizzare il “diritto” al figlio senza pregiudicare la propria salute. L’affitto dell’utero sarebbe il rimedio appropriato per rendere attuale il “diritto” al figlio, preservando al contempo la salute della donna. La logica del “piano inclinato” lascia intravedere sviluppi ulteriori. Poiché la gravidanza importa disagi per la gestione della vita professionale e sociale, è del tutto verosimile che anche le donne desiderose di affermazione sociale, e non soltanto quelle incapaci di gestione gravidica, possano preferire di realizzare il “diritto” al figlio affidando l’embrione al grembo altrui. Anche le coppie omosessuali possono attualizzare il “diritto” al figlio tramite la fecondazione eterologa. Il grimaldello giuridico sta nel divieto di discriminazione. Se l’unione omosessuale è equiparata al matrimonio, la negazione per gli omosessuali dell’adozione e del ricorso all’eterologa sarebbe tacciabile di ingiusta discriminazione, potendo ricorrere anche per essi il desiderio incoercibile al figlio ed essendo rinvenibile in re ipsa il requisito dell’infertilità. Il sacrificio sarebbe sopportato dal figlio, di cui sarebbe violato non soltanto il diritto all’identità personale, ma altresì quello di ricevere una formazione psichica identitaria, comprensiva del profilo paterno quanto di quello materno. Né sarebbe ammissibile arrestare la deriva alle coppie omosessuali. Anche i “single” possono sentire un desiderio incoercibile al figlio; desiderio che non possono soddisfare proprio per la loro condizione di “single”. Si può essere “single” per scelta libera, ma anche perché si è stati rifiutati come partner. Perché allora non consentire a questi ultimi, che patiscono il peso di una sofferenza psichica non trascurabile, di alleviare il disagio della loro condizione soddisfacendo il desiderio di paternità o maternità? Ma, riconoscendo il «diritto» al figlio, perché non riconoscere che questo diritto è più ampio e va letto come «diritto al figlio sano». Perché allora non generalizzare la riproduzione artificiale eterologa, come tecnologia che congiunge insieme il “diritto al figlio” con il “diritto al figlio sano” e vietare per legge, come contraria ai “diritti fondamentali”, la generazione che avviene attraverso l’incontro fisico dei sessi maschili e femminili? La generazione attraverso l’incontro sessuale non garantisce infatti appieno il “diritto alla sanità riproduttiva”, per le incertezze che sono inevitabilmente inerenti a un processo non integralmente dominato dal potere della tecnica riproduttiva.
La fecondazione artificiale, per i vantaggi che promette, in termini di sanità riproduttiva e di selezione genetica, affiora in modo sinistro come la via privilegiata per la generazione umana. La fecondazione eterologa imprime una svolta epocale alla generazione umana e lascia intravedere rischi antropologici immensi, avendo i suoi sostenitori trascurato completamente non solo i princìpi etici che reggono la generazione umana, ma altresì il fondamentale principio di precauzione, che costituisce il presidio della responsabilità di ciascuno di fronte alle generazioni future.
Mauro Ronco è avvocato penalista e presidente del Centro studi “R. Livatino”