Quello che non si dice a proposito del glifosato
Premessa: lo sappiamo, siamo parecchio influenzabili, e anche per questo strutturiamo (emotivamente) le nostre opinioni sul sentito dire. Un problema per la democrazia. In tante questioni sensibili le diverse parti in causa, per farsi sentire o alzano il tono o semplificano più del dovuto. Invece ci vorrebbero misure. In fondo la scienza in questo consiste: un sistema (condiviso) di misurazioni. Un buon scienziato davanti a un bicchiere d’acqua non si lascia suggestionare, non dice è mezzo pieno o mezzo vuoto: lo misura. Tanto dovrebbe bastare per lasciare, poi, a noi la scelta.
La premessa serve per introdurre la questione glyphosate, un erbicida. Ci sono state due pronunce in merito, però contrapposte. Da una parte Agency for Research on Cancer (IARC), che ha inserito il glyphosate nella lista dei probabili cancerogeni umani, dall’altra dell’EFSA. Che invece ha concluso: “E’ improbabile che il glyphosate possa causare il cancro". I vari media – che notoriamente agiscono a caldo, spesso per pigrizia o per convenienza – rilanciano la notizia con un certo tono rude, gli opinionisti commentano con articoli venati di nostalgia (quant’era bello il mondo senza chimica) e insomma piano piano anche nei bar si parla del glyphosate.
Va bene, qui abbiamo 3600 battute e usiamole per mettere su qualche noioso calcolo. Sappiamo che per alcune culture (il riso, frumento, orzo, segale o colza) il diserbo meccanico non è praticabile ed è necessario ricorrere alla chimica. Ho ancora davanti a me l’immagine di ettari di orzo (che da giovane studente d’agraria dovevo tirare su) infestati da papaveri (e amaranti), perché preso com’ero dai miei furori ambientalisti non avevo praticato il diserbo chimico. E appunto ricordo il contrasto tra il rosso delle migliaia di papaveri e il nero della mia espressione, afflitta e contrariata, anche perché come dicevano, in gergo stretto partenopeo, i conto terzisti che mi aiutavano: e mo raccogliamo coppole e cazzo. In alcuni casi è necessario l’erbicida.
Vediamo dunque la questione tossicità. Ci facciamo aiutare dai manuali di tossicologia. I quali si basano su un parametro la DL50: la dose che provoca la morte del 50 per cento degli individui che assumono la sostanza in esame (si usano i ratti). Classe 1) prodotti con DL50 inferiore a 50 mg per kg di peso vivo. Classe 2), a tossicità moderata: prodotti con DL50 fra 50 e 500. Classe 3) quelli con DL50 fra 500 e 5000. Classe 4 innocui, quelli con DL50 di oltre 5000 mg. Dov’è il glyphosate ? Classe 3. Dov’è l’aspirina? Classe 2. E la caffeina, il cloruro di sodo? Sempre classe 2.
Altro concetto importante: quello di dose limite giornaliera. Secondo EFSA la quantità massima di erbicida (più correttamente espressa in mg per kg di peso dell’organismo considerato) che può essere consumata giornalmente senza causare danni. In base a tale concetto, EFSA ha fissato il contenuto in glyphosate di un alimento o bevanda in 0.5 mg per kg di peso per giorno (dose limite giornaliera). Il prof Luigi Mariani sul sito (che invito a consultare) agrariansciences.blogspot.it, fa i calcoli: (nel caso della birra) “utilizzando il metodo della dose limite giornaliera ci si accorge che per raggiungere la dose limite di 0.5 mg indicata da EFSA, un adulto che pesa 80 kg dovrebbe assumere 1.345 litri di birra. Per la frutta invece? 400 kg di frutta e verdura. Acqua? 400 mila litri. E il rischio cancro? Anche qui, l'EFSA ha dedotto che “è improbabile che il glyphosate possa causare il cancro" perché la dose di glyphosate ricevuta dai ratti (alimentati con sondino gastrico) sono di molto superiori a quelle a cui può risultare esposto un essere umano. Queste le misure, poi a noi cittadini le singole opinioni e le relative deliberazioni.
Cattivi scienziati