Il più efficace contrasto alla deforestazione viene dall'anidride carbonica
Roma. Grazie alla maggior quantità di anidride carbonica riversata dall’effetto serra, la Terra è più verde. Immensamente più verde: almeno 36 milioni di chilometri quadrati di superfice verde in più in trentatré anni, secondo uno studio appena pubblicato su Nature Climate Change. E tutto grazie a quello 0,04 per cento di CO2 che si è riversato sull’atmosfera per effetto del complesso di fenomeni da cui è nato l’allarme sul riscaldamento globale. L’equivalente di tre intere Europe di foreste, o due volte gli Stati Uniti. Il tutto, peraltro, mentre prosegue quell’altro fenomeno della deforestazione, su cui pure vengono lanciati allarmi catastrofisti. In contemporanea con lo studio di Nature Climate Change arriva infatti il rapporto della divisione italiana di Forest Stewardship Council (Fsc), secondo cui per colpa della deforestazione ogni minuto viene perso dalle foreste mondiali l’equivalente di 50 campi di calcio. Entrambe le fonti sono serie.
Da una parte, Nature Climate Change è un magazine dello stesso gruppo editoriale di Nature, autorevole rivista nata nel 1869, e i cui creatori furono il famoso “bulldog di Darwin” Thomas Henry Huxley, il filosofo Herbert Spencer e il docente all’Imperial College Norman Lockyer. L’attuale direttore di Nature Climate Change è Rory Howlett, zoologo con laurea a Oxford e Ph.D a Cambridge. Dall’altra parte, il Forest Stewardship Council è una ong creata per avere un sistema di certificazione forestale riconosciuto a livello internazionale (tra i suoi 900 membri ci sono pure il Wwf, Greenpeace, Legambiente e Ikea). I risultati delle sue ispezioni, dunque, sono certamente affidabili. Ma Nature Climate Change ha spiegato che per ogni metro quadro di verde che le motoseghe tagliano, l’anidride carbonica ne fa spuntare altri 10, per un effetto che finora è stato complessivamente positivo. L’anidride carbonica genera verde, che a sua volta assorbe anidride carbonica, contribuendo a riequilibrare il sistema nel suo complesso.
Col tempo tuttavia le piante si abituano, l’effetto fertilizzante della Co2 si riduce, e con esso anche la capacità di riassorbire la stessa anidride carbonica, mentre la biomassa avrà bisogno di maggiori quantità di nutrienti a quantità limitata come l’acqua e il fosforo. Insomma, il problema c’è: o, meglio ancora, probabilmente ci sarà. Col suo stesso nome di Nature Climate Change, d’altronde, il magazine fa intendere che non si trova certo schierato dalla parte dei negazionisti del global warming. Proprio perché la situazione la studia, però, finisce per non ritrovarsi neanche nell’opposto schieramento di quelli che credono che lo stesso global warming sarebbe dovuto alla pura attività umana, e cerca di ricostruire una situazione che è molto più complessa.
Già a gennaio avevamo dato conto su questo giornale di un altro articolo di Nature, secondo cui il global warming avrebbe ritardato un’incipiente glaciazione. I dettagli scientifici sono ancora materia di discussione, ma come verità di fondo oggi si sa che il clima della Terra in passato è mutato spesso, per un complesso di motivazioni naturali che vanno dai movimento del pianeta nello spazio all’attività dei vulcani. Più che determinare le varie ere glaciali e interglaciali l’uomo ne è stato influenzato: basti pensare al modo in cui il riscaldamento medievale permise la colonizzazione vichinga della Groenlandia, poi collassata al momento del raffreddamento rinascimentale. Già da allora, però, l’uomo cercava capri espiatori nei suoi simili, da cui derivò la caccia alle streghe che venivano accusate di aver raffreddato la Terra con i loro malefici. Quel tipo di mentalità esiste ancora, ma il fatto di aver sostituito ai roghi le conferenze sul clima e le carbon tax indica che in fondo un po’ l’umanità è migliorata.
cattivi scienziati
La débâcle della biodinamica in vigna
Cattivi scienziati