Ridateci le mezze stagioni
Venerdì 4 novembre è entrato in vigore l'accordo Cop21 per limitare il riscaldamento globale. L'intesa sul clima era stata adottata nella capitale francese lo scorso 12 dicembre da 195 Paesi in occasione del summit globale. Gli impegni indicati nell'intesa prevedono la riduzione di emissioni di gas serra, con un obiettivo collettivo di -40 per cento rispetto ai livelli del 1990. L'accordo, in sintesi, punta a bloccare l'innalzamento della temperatura "ben al di sotto dei 2 gradi" rispetto all'era preindustriale e di fare di tutto per non superare 1,5 gradi.
Mancano pochi giorni all’inizio della Cop22, la conferenza sui cambiamenti climatici che si terrà a Marrakech, in Marocco, dal 7 al 18 novembre, e puntualmente, come ogni anno dal 1995, le prime pagine dei quotidiani progressisti iniziano a incupirsi, gli inserti sul clima evocano scenari apocalittici, nuovi record di emissioni di CO2 nell’atmosfera spuntano improvvisamente a pochi giorni dall’apertura dei lavori, i bollettini meteo annunciano catastrofi imminenti e Leonardo DiCaprio dimentica di essere un (bravo) attore per indossare le vesti di (pessimo) paladino della causa ambientalista. Sulla rotta Parigi-Marrakech è ripartita la grancassa dell’ideologia climatica, la litania della religione verde che ammette soltanto discepoli ortodossi e getta nel tritacarne mediatico chi prova a metterne in discussione le fondamenta.
Lo sa bene Philippe Verdier, ex meteorologo vedette di France 2, che lo scorso anno è stato cacciato dal canale televisivo dove officiava da vent’anni per aver denunciato le panzane catastrofiste dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente allo scopo di studiare il riscaldamento globale) nel pamphlet “Climat Investigation”. Ma lo sanno bene anche Jacques Cheminade, ex candidato alle presidenziali francesi e autore del dossier “La mistificazione del riscaldamento globale”, e l’ex capo di stato Nicolas Sarkozy, quanto sia volenta la polizia del pensiero sul clima. Il primo, per aver denunciato “la dittatura soft del maltusianesimo verde”, non è più invitato a nessun programma televisivo, il secondo, un mese fa, è stato ricoperto di anatemi per aver dichiarato che “l’uomo non è il solo responsabile del riscaldamento globale”. “Allucinante virata climatoscettica”, ha scritto il settimanale Marianne, “il voltafaccia di Nicolas Sarkozy sul cambiamento climatico”, ha attaccato il Monde, “pericoloso mercante di dubbi”, lo ha definito Libération.
E poco importa se il candidato alle primarie dei Républicains aveva soltanto riportato ciò che gruppi di scienziati in giro per il mondo hanno certificato con studi e ricerche. Parigi, da quando si è tenuta la conferenza sul clima, è diventata la nuova capitale del credo ambientalista, è lì che si concentrano i più devoti alla causa, ed è lì, ugualmente, che il pensiero unico verde è più soffocante. Camille Pascal su Valeurs Actuelles li ha definiti “nuovi Torquemada dell’ecologismo” questi editorialisti, intellettuali, pensatori e scienziati che confiscano il dibattito sui cambiamenti climatici accusando i climatoscettici à la Verdier di “pensare contro natura”. Sono gli stessi che hanno isolato dal panorama mediatico uno dei migliori specialisti dell’evoluzione climatica, Emmanuel Le Roy Ladurie, reo di aver dimostrato nei suoi testi che il clima, nel lontano passato, aveva già conosciuto forti variazioni, indipendentemente dalle attività dell’uomo. La nuova religione del climaticamente corretto ha deciso che l’uomo è colpevole di tutti i mali del mondo, che il genere umano nella sua totalità è la principale causa della futura apocalisse, che la natura è la nuova divinità dell’epoca contemporanea e mai e poi mai dovrà essere designata come uno dei fattori dei cambienti del mondo. Chi prova a dimostrare il contrario, come il meteorologo Verdier, che la prossima settimana pubblicherà un’edizione aggiornata del suo “Climat Investigation”, viene allontanato brutalmente.
La Cop22, che rappresenterà innegabilmente un’importante vetrina per il Marocco e le sue importanti innovazioni nel settore eolico, è sopratutto una Cop21-bis, una continuazione dell’edizione passata di Parigi, dove la Francia tenterà di mostrarsi agli occhi del mondo come guida indiscussa della battaglia ecologica, e molto ideologica, che sembra essere prioritaria persino alla lotta contro il terrorismo internazionale – il presidente americano, Barack Obama, altro paladino della causa green, ha dichiarato che la lotta contro il riscaldamento globale è divenuta una “questione di sicurezza nazionale”. Per questo Ségolène Royal, ministra dell’Ambiente francese, nonché presidente della Cop21, sta passando in queste settimane più tempo in Marocco che nel suo paese. A metà ottobre, si è recata a Marrakech con una nutrita delegazione, per partecipare a una due giorni di sedute plenarie a porte chiuse al fine di ultimare i preparativi della Cop22. Presieduti dalla Royal assieme a Salaheddine Mezouar, ministro degli Esteri marocchino e presidente della Cop22, gli incontri ministeriali preparatori si sono concentrati principalmente sull’entrata in vigore anticipata dell’Accordo di Parigi – l’accordo punta a contenere l’aumento della temperatura su scala mondiale e a ridurre le emissioni di gas serra – programmata per il prossimo 4 novembre, e sul primo incontro delle Parti dell’Accordo (Cma1), che si terrà il 15 novembre, durante la Cop22.
Ma nel menù della colata di retorica che scenderà su Marrakech, tra divi engagé e profeti della catastrofe ambientale, ci sarà anche la “chiamata all’azione”, la “Marrakech Call to Action”, dove capi di stato e ambasciatori si prodigheranno in panegirici sull’“accellerazione e la mobilitazione” necessaria dell’azione climatica. Un momento che tutti i partecipanti alla conferenza preannunciano come “storico”. E come se no. Ogni anno c’è un momento “storico” durante la Cop, ogni anno la conferenza sul clima “salverà il pianeta”, ogni anno i leader del pianeta si scoprono più verdi per quindici giorni, e la gara a chi la spara più grossa sull’“urgenza” di contenere le temperature è sempre molto serrata. Da Europe-Ecologie-Les Verts, il partito dei verdi francesi che non si è ancora ripreso dalla batosta elettorale subìta alle regionali dello scorso anno in concomitanza con la Cop21, arrivano le dichiarazioni più roboanti. Nicolas Hulot, lider maximo degli ecologisti francesi, che Hollande, durante l’ultimo rimpasto di governo, voleva mettere al ministero dell’Ambiente, ha scomodato persino André Malraux per parlare della prossima conferenza sul clima: “La Cop22 sarà quella dell’azione o non sarà”.
Nicolas Hulot (foto LaPresse)
A Rabat, lo scorso 17 ottobre, nel quadro di una conferenza intitolata “Le Green, levier de croissance du Royaume?”, Hulot è venuto a sottolineare, in concomitanza con Ségolène Royal a Marrakech, il legame tra la Cop21 di Parigi e la Cop22 che inizierà il prossimo 7 novembre, e senza troppe reticenze a vantare la lunga mano della Francia sul Marocco. “Sarò presente alla ventiduesima edizione della Cop perché il passaggio di testimone è importante e perché la Cop21 che si è tenuta a Parigi non era una conclusione ma un’inizio (…). La crisi climatica deve essere risolta al più presto (…). La Cop21 è stata la conclusione di un lungo processo e di una presa di coscienza collettiva. Un fallimento diplomatico a Parigi avrebbe condotto a una strada irreversibile, perché ci sono ancora molti climatoscettici. C’è stata una svolta a Parigi, che continuerà a Marrakech”, ha dichiarato al sito di informazioni economiche marocchino Media24.
“Azione”, “corsa contro il tempo”, “agire immediatamente”, “conto alla rovescia”, il vocabolario usato dagli ambientalisti di ogni latitudine è sempre lo stesso. Così come il canovaccio, che conferma l’imbarazzante allineamento tra calendario climatico e calendario politico, la finta “urgenza” creata sulla base di un tempo artificale calcolato secondo le esigenze dei leader mondiali, che esercitano una forte pressione sull’opinione pubblica al fine di valorizzare la conferenza e far dimenticare problemi economici e sociali ben più seri. Per undici mesi il dossier sul global warming viene lasciato nel dimenticatoio, poi a un mese dalla Cop inizia la campagna allarmistica di stampa, capi di stato, ambientalisti e organizzazioni meteorologiche varie sulla necessità impellente di abbassare la temperatura del mondo, nei giorni della conferenza è tutto un via vai di star e passerelle molto cool e molto mondano, e una volta finita la quindici giorni di retorica green e finta morigeratezza, tutti tornano a casa con la coscienza pulita, ma a bordo di aerei che emettono molta CO2.
Anche quest’anno tra i grandi ambasciatori del clima si distingue Leonardo DiCaprio, che lo scorso anno, assieme a Arnold Schwarzenegger, si trascinava da una tavola rotonda all’altra per avvertirci tutti, con gravitas, che bisogna fare in fretta per salvare il pianeta (lui, per fare in fretta, continua a muoversi a bordo del suo jet privato molto inquinante). Ma per la Cop22, l’attore americano ha deciso di passare alla velocità superiore. Sarà infatti presente a Marrakech da attore protagonista del documentario “Punto di non ritorno”: il risultato di tre anni di viaggi e interviste, dai ghiacciai della Groenlandia alle foreste di Sumatra, passando per un incontro con Papa Francesco nelle stanze del Vaticano e il presidente Obama alla Casa Bianca, per “sensibilizzare” l’umanità sul riscaldamento globale e indicare le soluzioni per evitare il “disastro ambientale”. Il documentario, che è stato presentato in anteprima a Parigi in presenza del sindaco socialista Anne Hidalgo, di Ségolène Royal e dell’attrice Marion Cotillard, è un concentrato di catastrofismo sul clima, dove DiCaprio dice di essere “terrorizzato quando si immagina il mondo che lasceremo ai nostri figli se non agiamo immediatamente, se non mangiamo diversamente, se non costruiamo, illuminiamo e riscaldiamo le nostre città in un altro modo”.
Strega tocca color… verde! Leonardo DiCaprio e Barack Obama discutono preoccupati di clima alla Casa Bianca qualche settimana fa (LaPresse)
Applaudito dalla platea parigina dopo i novanta minuti di proiezione, DiCaprio, quanto alle soluzioni concrete, ha dichiarato: “Dipende da tutti noi! Smettiamola di consumare prodotti a base di olio di palma, sostituiamo almeno in parte la nostra consumazione di carne bovina con il pollo o con le verdure e votiamo con giudizio per dire che conosciamo la verità sul cambiamento climatico”. Prima dell’appello finale: “Dobbiamo impedire che il riscaldamento globale diventi una catastrofe. Siete, siamo, l’ultima speranza”.
La Cop22, insomma, rischia di essere l’ennesima sfilata di divi in cerca di patenti di ecologismo, l’ennesima bolla di retorica verde destinata a sgonfiarsi subito dopo la fine della conferenza, che nasconde i veri sforzi che il Marocco sta facendo in materia di energie rinnovabili, e i benefici che la sua economia sta avendo dalla globalizzazione e dall’apertura al libero mercato. Forse sarebbe più utile che si parlasse della centrale solare più grande del mondo, inaugurata nella provincia di Ouarzazate a febbraio, o del progetto di creare un quartiere interamente ecologico a Fez, la capitale intellettuale del Marocco, e molto meno del documentario allarmista di DiCaprio, o dell’ultimo rapporto apocalittico degli scienziati del Palazzo di vetro. Ma sarà dura, viste le notizie che campeggiano in primo piano sulla stampa. Dal Monde all’Express, passando per l’Humanité, è in atto in questi giorni una corsa alla drammatizzazione sulla questione climatica, stimolata dall’ultimo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), secondo cui nell’aria non ci sarebbe mai stata così tanta anidride carbonica come in questo momento.
Stando agli scienziati dell’Omm, che considerano il global warming di natura esclusivamente antropica e tacciano di “negazionismo” tutti coloro che mettono in discussione questa tesi, siamo entrati in una “nuova era” climatica, perché la concentrazione media di anidride carbonica ha raggiunto la soglia di 400 parti per milione (ppm). “Il mondo si sta dirigendo in una cattiva direzione”, ha dichiarato con aria severa il finlandese Petteri Taalas, segretario generale dell’Omm. “Riscaldamento globale: 122 milioni di poveri in più nei prossimi 14 anni”, ha titolato Paris Match citando l’altro rapporto allarmista pubblicato in questi giorni, quello della Fao, che parla di “impatto catastrofico” se non verranno prese misure drastiche nell’immediato. Siamo alle solite, purtroppo. Nemmeno la prossima Cop di Marrakech ci risparmierà il panico ambientalista.
Cattivi scienziati