Meno proteste, più test
Le restrittive leggi italiane bloccano la ricerca medica e ignorano la salute degli esseri umani. Ecco perché è necessario difendere un cardine del progresso scientifico dal fanatismo animalista
La sperimentazione animale è alla base dei progressi della biomedicina, e questo fatto non può essere negato citando qualche aneddoto o improvvisando improbabili ragionamenti epistemologici. Gli studi anatomici e fisiologici sugli animali caratterizzano la ricerca biologica e medica fin dall’antichità. Aristotele, i fisiologi del Museo alessandrino e Galeno effettuarono importanti osservazioni attraverso la sperimentazione sugli animali, che era preferita anche in ragione della contrarietà religiosa e dei divieti legali di dissezione cadaveri. Nel corso della prima rivoluzione scientifica, le sperimentazioni sugli animali consentirono fondamentali scoperte fisiologiche, come quelle relative alla circolazione del sangue, alla riproduzione, alla digestione, alla respirazione. La seconda rivoluzione scientifica, nell’Ottocento, fu ancora di più segnata dall’uso degli animali per scopi sperimentali. Diverse specializzazioni della ricerca, come neurofisiologia, microbiologia, immunologia, endocrinologia e farmacologia, furono il risultato di innovazioni e applicazioni di metodologie sperimentali su animali. Nuove frontiere della sperimentazione animale si aprivano con l’ingegneria genetica, che consente di modificare i programmi ereditari di sviluppo degli animali, e quindi di creare organismi transgenici (il primo mammifero fu ottenuto nel 1974) o, dopo il 1997, di clonare animali.
Queste procedure permettono di stabilire la funzione dei geni, delle proteine e delle reti metaboliche nell’economia fisiologica dello sviluppo individuale, normale e patologico, nonché di cercare trattamenti genici o rigenerativi per malattie ereditarie e degenerative. Gli animali sono diventati particolarmente necessari come conseguenza dell’introduzione di controlli sulla sicurezza dei farmaci e dei dispositivi medici. I test animali sui farmaci sono stati resi obbligatori per la prima volta negli Stati Uniti nel 1938, con il Food, Drug and Cosmetic Act, dopo la commercializzazione dell’Elisir di Sulfanilamide, contenente glicole etilico, che causò oltre 100 morti. Nel 1962 la legge fu rafforzata per quanto riguarda gli studi preclinici sull’onda della tragedia causata dalla commercializzazione (tranne che negli Stati Uniti) della talidomide. Se fin dall’antichità per alcune religioni e filosofie tutte le forme di vita andavano rispettate, ovvero gli animali non dovevano essere fatti oggetto di violenze o usati come oggetto di divertimento e consumo da parte dell’uomo, la condizione degli animali non è stata percepita in occidente come un problema morale e politico prima dell’illuminismo e prima della rivoluzione industriale.
Mentre nelle società agricole gli animali non se la sono mai passata bene, per ovvi motivi, la percezione è cambiata con lo sviluppo delle città e della vita urbana. Il contatto con gli animali è potuto diventare più diretto, sono maturati sentimenti di simpatia per gli animali che hanno reso riprovevole il loro maltrattamento o qualunque azione che causasse dolore. Diversi filosofi hanno condannato con argomenti diversi le azioni che causavano sofferenza agli animali. Il tema politico del trattamento degli animali fu affrontato per la prima volta a proposito dei maltrattamenti, cioè abusi e violenze, ai danni di animali domestici e selvatici con una legge che il Regno Unito approvava nel 1822, il Cruel Treatment of Cattle Act. Nel 1876 furono introdotti una serie di emendamenti nel Cruelty to Animals Act del 1835, che limitano fortemente la sperimentazione con animali, consentita solo se necessaria per formare medici che salvino meglio le vite umane e obbligano a anestetizzarli. La legge fu criticata dai movimenti antivivisezionisti, come troppo permissiva. La legge penalizzava i ricercatori britannici rispetto a francesi e tedeschi, che potevano liberamente sperimentare con animali, ma li spinse anche a sviluppare modelli sperimentali innovativi, come i preparati neuromuscolari costituiti di soli tessuti.
Agli inizi del Novecento Londra fu teatro di frequenti scontri tra antivivisezionisti e difensori della liceità di usare animali per esperimenti medico-biologici. Nel 1911 il Protection of Animals Act ribadiva le limitazioni e includeva la protezione di animali selvatici tenuti in cattività. Oltre che in Gran Bretagna, la legislazione per limitare gli usi sperimentali ebbe uno sviluppo importante sotto il Terzo Reich. Tra aprile e agosto del 1933 Hermann Göring ottenne il divieto della “vivisezione”. Diverse leggi per la protezione degli animali e dell’ambiente caratterizzarono le misure politiche adottate dal nazismo per rafforzare la percezione simbolica del regime come un ritorno all’autenticità della natura, e per alimentare l’odio e la persecuzione verso gli scienziati ebrei e le tradizioni alimentari giudaiche. Di fatto, e per evitare danni alla ricerca, un decreto del 5 settembre 1933 consentiva al Ministero degli interni di rilasciare permessi a istituti e università per fare esperimenti animali. Il primo provvedimento italiano sulla vivisezione era del 12 giugno 1913 (legge n. 611) che stabiliva solo i luoghi e le condizioni per la sperimentazione su animali, e solo con la legge 10 febbraio 1927 n. 292, ma soprattutto con la legge 12 giugno 1931 n. 924 (integrata e modificata dalla legge 1 maggio 1941), si passava da un regime permissivo a uno controllato.
Da quel momento la sperimentazione animale era di norma vietata, e consentita a precise condizioni (non su cani a gatti o previa anestesia generale o locale). Però si potevano avere permessi e deroghe, e spettava comunque ai direttori degli istituti e laboratori far pervenire annualmente, attraverso i rettori delle università, al Ministero della sanità (dopo il 1958) i dati sulle sperimentazioni condotte. Negli anni Sessanta, con gli ideali politici per un ampliamento dei diritti umani, si diffondeva una nuova sensibilità per la qualità dell’ambiente e delle condizioni di vita degli animali. Le legislazioni cambiavano e diventavano più restrittive in tutto il mondo occidentale. Nel 1966, dopo la pubblicazione di numerosi articoli su periodici di larga diffusione che attaccano gli abusi ai danni degli animali, negli Stati Uniti si emanava l’Animal Welfare Act (Laboratory Animal Welfare Act) che prescriveva gli standard minimali di trattamento degli animali allevati e trasportati per motivi commerciali, utilizzati nella ricerca ed esibiti in pubblico.
La legge fu emendata, per quanto riguardava la sperimentazione animale, nel 1985, introducendo, accanto ai criteri di carattere fisico nella valutazione delle sofferenze degli animali, anche quelli psicologici. Nel 1986 il parlamento britannico emanava l’Animals (Scientific Procedures) Act che stabiliva rigidi criteri per la sperimentazione con animali e che ha rappresentato un modello per le regolamentazioni che si sono progressivamente diffuse nei paesi occidentali. Un momento di svolta nella storia della regolamentazione della sperimentazione animale fu la pubblicazione, nel 1959 di The Principles of Humane Experimental Techniques, di W. M. S. Russell r R. L. Burch. Il testo identificava tali principi nelle oggi famose tre “R”. La ricerca deve, cioè, “Rimpiazzare” l’uso di animali con tecniche alternative, o evitare l’uso di animali quando possibile; “Ridurre” il numero di animali usato a un minimo, per ottenere informazione da meno animali o più informazioni dallo stesso numero di animali; “Rifinire” (refine) il modo in cui gli esperimenti vengono realizzati per assicurarsi che gli animali soffrano il meno possibile – e questo include la stabulazione e il miglioramento delle procedure che minimizzano dolore e sofferenza e/ migliorano il benessere animale.
Nel 1986, il Consiglio della Comunità Europea adottava una direttiva (86/609) per armonizzare le legislazioni degli stati membri in materia di protezione degli animali utilizzati per la ricerca scientifica. Sulla scia degli indirizzi europei e internazionali, nel 1992 anche la normativa italiana cambiava, e il Decreto Legislativo n. 116 (27 gennaio 1992) stabiliva il carattere di eccezionalità per le disposizioni che rendono lecita la sperimentazione animali e rendeva molto stringenti in deroga, creando un regime di autocontrollo distribuito ai diversi livelli delle persone fisiche e giuridiche che utilizzano animali per scopi di ricerca. Si arriva così al 22 settembre 2010, quando entra quindi in vigore la Direttiva 2010/63: risultato di diversi anni di lavoro, mediazioni, consultazioni sia pubbliche, come quella su internet nel 2006, sia con ricercatori, esperti di scienze di animali da laboratorio, di etica, di etologia, di diritto. Di fatto applica il principio delle 3R (reduction – refinement – replacement), ormai considerato la base per assicurare una sempre migliore tutela degli animali da esperimento. La storia della sperimentazione animale e della sua regolamentazione consegnano alcuni elementi di riflessione che dovrebbero essere considerati seriamente anche da chi è contrario all’uso di animali per la sperimentazione biomedica, ritenendo di avere argomenti razionali. Grazie alla sperimentazione animale le società occidentali hanno messo sotto controllo molte malattie e praticamente azzerato la mortalità infantile.
E’ stato grazie a questi progressi che le società umane sono anche migliorate moralmente e hanno iniziato a guardare gli animali non più solo come alimenti o oggetti di divertimento di cui abusare. Le scienze biologiche hanno dimostrato le strette parentele tra l’uomo e gli altri animali, e anche queste acquisizioni culturali hanno portato guardare gli animali con occhi diversi. Le nuove sensibilità verso gli animali hanno imposto rigide regole che giustificano le sperimentazioni solo quando necessarie ed evitano abusi e sofferenze. Insomma non è stato grazie al fanatismo che le società umane sono migliorate. E il fanatismo animalista non persegue davvero il benessere degli animali. Se oggi venisse completamente abolita la sperimentazione animale, come vogliono le frange estreme e anche violente dell’animalismo, dato che alternative vere non esistono per molti aspetti della ricerca biomedica, la salute umana regredirebbe e verosimilmente anche la ricchezza economica. Anche perché chi è contro la sperimentazione animale spesso auspica una decrescita economica e un ritorno al passato. Ebbene, non è difficile prevedere che se tornassero le condizioni di arretratezza economica e scientifica e tecnologica, anche il livello di civiltà regredirebbe e rapidamente gli animali tornerebbero a essere oggetto di abusi come lo erano e continuano a esserlo nelle società più arretrate.