Con la scusa di cancellare le malattie la genetica ci omologherà tutti
Un libro sul Prometeo moderno e il progetto Crisp in Cina (che potrebbe modificare per sempre quella parte del Dna responsabile dell’unione tra genio creativo e alcuni disturbi mentali).
Roma. Da tempo ormai la scienza ha confermato che esiste un legame genetico tra lo sviluppo delle attività del cervello e l’intelligenza, intesa come capacità di stimolare varie parti – anche le più misteriose – dell’organo del pensiero. Interferire con la genetica, quindi, significa necessariamente interferire anche con la nostra intelligenza. A dirlo è Jim Kozubek, scienziato di Harvard ma anche divulgatore e scrittore, che ha pubblicato recentemente un libro dal titolo evocativo: “Modern Prometheus” (Cambridge University Press, 395 pp.), come quello che l’autrice britannica Mary Shelley scelse nel 1818 per il suo capolavoro fantascientifico sul dottor Victor Frankenstein.
Del libro di Kozubek si sta parlando molto, soprattutto in Cina, perché a essere presa in esame, dal punto di vista etico, è la tecnica “CRISPR-Cas9“, quella che permetterebbe di editare e modificare il genoma umano. Crisp è lo spauracchio della scienza e della medicina moderna: mentre in alcuni laboratori cinesi si sperimenta sull’uomo, da tempo autorevoli scienziati hanno messo in guardia sui possibili, inquietanti sviluppi dell’ingegneria genetica (quella che Kozubek nel libro chiama la “rivoluzione industriale del genoma”). La tecnica infatti altera il Dna in modo che la modifica effettuata su un soggetto possa in realtà essere ereditata, e quindi creare – in un futuro forse neanche troppo lontano – intere popolazioni prive di malattie genetiche e immuni a batteri e virus. Ma c’è di più. Secondo Kozubek questa specie di selezione della razza, che da una parte agisce per fini terapeutici, dall’altra potrebbe creare un salto qualitativo dal punto di vista dell’intelligenza umana. Perché alcune malattie mentali, che sono spesso considerate dannose per l’uomo quando non pericolose, in realtà hanno apportato benefici indiretti all’intera umanità. Si parla di artisti, scienziati, musicisti, ingegneri e, più recentemente, di programmatori e gèni dei computer. La follia, nella storia dell’arte e in quella della scienza, ha accompagnato sempre i grandi personaggi in grado di vedere dove i comuni mortali non riuscivano: Kozubek fa l’esempio di Thomas Edison, che fu uno degli inventori più prolifici del suo tempo e cambiò il corso della storia, che era affetto dalla Sindrome di Asperger – un “disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento”.
Non si tratta di pazzia, va da sé, ma di un disturbo che forse l’ingegneria genetica moderna potrebbe eliminare per sempre. E così non avremmo mai più un altro Albert Einstein o uno Stephen Hawking, un altro Glenn Gould, un’altra Jane Austen o una Virginia Woolf. La tecnica Crisp, per Kozubek, potrebbe modificare per sempre quella parte del Dna responsabile dell’unione tra genio creativo e alcuni disturbi mentali dando vita, in via ereditaria, a un nuovo super uomo sanissimo ma senza alcuna capacità di manifestare il proprio “genio” – quell’inclinazione dell’animo che è, per etimologia della parola stessa, il talento che distingue gli uomini dagli altri mammiferi. Non è un caso se è in Cina il luogo in cui la tecnica Crisp è stata utilizzata per la prima volta sull’uomo, e c’è un motivo che riguarda anche la tradizione. In Asia è il gruppo, il popolo a essere un unico corpo – distinguersi vuol dire estraniarsi, essere infedeli al gruppo e quindi isolarsi: c’è un senso di inutilità nel genio che si mostra se non come parte di un’entità superiore (il Partito? Dio? La Patria?). In occidente il genio artistico, scientifico, ma perfino militare, è sempre stato considerato l’espressione ultraterrena della superiorità dell’uomo. Del suo essere la creatura eletta. Il libro di Kozubek vale come un avvertimento: trattarlo oggi come una malattia, rischia di allontanarci ancora di più dalla nostra identità.
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