Semi di post verità
Come accade che nella società moderna si diffondano psicosi infondate? I casi di vaccini, Ogm e glifosate
Una delle grandi libertà del mondo globalizzato è la rete delle stazioni wi-fi. Sono come sassi affioranti in uno stagno. Camminando sui sassi si può attraversare lo specchio d’acqua senza impantanarsi, ossia senza bagnarsi o rallentare il cammino. Le stazioni wi-fi ci consentono di spostarci restando sempre connessi e in grado di trovare la rotta. Ma le tecnologie sono neutre, non sono in sé buone o cattive. L’elettricità serve ad alimentare sia il mio computer sia la sedia elettrica. Anche la rete può, purtroppo, essere la via di diffusione di virus informatici capaci di abbatterci più di una normale influenza di stagione quando, colpiti da un pirata informatico, perdiamo dati, memorie e persino soldi dal conto corrente. Ma altri pirati, questa volta sanitari, si aggirano fra noi. Sì, perché tra noi si nascondono dei “sassi” che affiorano in un mare di persone vaccinate, ossia di persone che hanno scelto di non accogliere e di non far riprodurre alcuni pericolosi tipi di virus. La vaccinazione è una misura utile soprattutto se estesa e capillare: dovrebbe vaccinarsi il 95 per cento delle persone. In questo modo i “sassi” su cui i virus, ad esempio del morbillo, dovrebbero saltare per insidiarci sarebbero così distanti tra loro da far cadere il virus facendolo scomparire. Questo, come branco, come consorzio di persone che accolgono al loro interno persone più fragili, consente a tutti noi delle episodiche “vacanze”. Ossia periodi nei quali ognuno di noi è più fragile, ad esempio dopo un intervento chirurgico o una chemioterapia. In questi casi noi stessi diventiamo, involontariamente, un “sasso” e non dovremmo avere altri sassi vicino che ci trasmettano evitabili malattie. Apprendere che i casi di morbillo sono aumentati del 230 per cento rispetto allo scorso anno è un brutto segnale. Cosa spinge tante persone, in genere benestanti, in genere con una istruzione superiore alla media, a fungere da possibili untori mettendo la vita stessa dei loro figli in serio pericolo? Se non le vogliamo chiamare psicosi, possiamo definirle paranoie?Nella società della post-verità ognuno di noi è specialista e tuttologo. Siamo medici, trader finanziari e tour operator. Accade allora che i sassi siano anche il veicolo per far passare altre angosce, altre paure, direi altre fobie. I sassi veicolano un intero pacchetto di ansie che vengono assunte tutte insieme. Come un vaccino polivalente, così si assumono una serie di paure o pregiudizi. Il pacchetto include oltre ai vaccini la paura per gli Ogm, il terrore per il glifosate e l’adorazione per l’alimentazione biologica (e meglio vegana nella versione “Sa-tut-de-carton” di Maurizio Crozza). L’immagine che viene alla mente è quella della mamma molto ebrea di Woody Allen che osteggia la nuova fidanzata (non ebrea) del figlio spettegolando su di lui dai cieli di New York. La paranoia che affligge il dibattito pubblico su questi temi, ha qualcosa di ancestrale, ossessivo e ineluttabile. La mamma incombente è scontenta per le scelte autonome del figlio, la non osservanza della tradizione, dei dettami del clan. Le paranoie polivalenti profumano tutte di un richiamo ai tempi andati, di un rifiuto dell’innovazione, della nostalgia di un mondo delle favole che ignora quale fosse il mondo reale solo pochi decenni orsono. Sessanta anni fa venivano liberati i Sassi veri, quelli di Matera. In tuguri scavati nella roccia dove l’umidità era regina, dormivano famiglie di dieci persone in pochi metri quadri. La camera più interna era la stalla, col deposito di letame degli animali. Il letame fermentato era usato come riscaldamento per la grotta-abitazione. Ecco i “profumi” di una volta.
Cominciamo dagli Ogm. Il 27 gennaio 2017 si è riunito il comitato Salute e sicurezza alimentare dell’Unione europea. Alla riunione il delegato italiano ha votato a favore della coltivazione di tre mais ogm. Apriti cielo. Il termine più gentile con cui è stata appellata questa scelta è: tradimento. Lasciano sbigottiti e costernati le parole del presidente degli industriali del biologico, che ha definito quel voto un “danno collaterale del terremoto e della nevicata in Centro Italia”. Il senso della misura e il rispetto per le sofferenze di quelle popolazioni sono un ricordo smarrito.
Ricostruiamo i fatti. Il 2 aprile 2015, per la prima volta nella sua storia, l’Europa si spoglia di una prerogativa delegata a Bruxelles da tutti gli stati nazionali che consente, con la direttiva 412/2015, ad ogni stato di vietare la coltivazione di ogni tipo di Ogm, anche in assenza di qualunque prova di possibile danno sanitario o ambientale. Basterà dire, per esempio, che mal si coniugano con l’estetica del paesaggio. Ben 19 stati aderiscono e recuperano la sovranità sulla coltivazione di Ogm. L’Italia da tempo si è spinta ben oltre impedendo non solo agli agricoltori ma anche ai suoi scienziati di fare il loro lavoro, ovvero sperimentare Ogm in campo aperto per capire, conoscere e magari salvare nostre piante in via di estinzione. Solo venti giorni dopo, il 22 aprile 2015 l’Unione europea offre agli stessi stati una nuova libertà: quella di decidere se vietare o proseguire l’importazione di derrate Ogm.
Nessuno dei 28 stati chiederà di esercitare a livello nazionale questa opzione, ben sapendo che senza mangimi ogm semplicemente la zootecnia europea non esisterebbe: latte e formaggi, carni e salumi, anche dei nostri prodotti Doc e Igp, dipendono dal massiccio uso di mangimi ogm. Nessuno stato nazionale ha voluto esporsi elettoralmente e autorizzare l’importazione di mangimi ogm, usando l’Unione europea per fare un lavoro necessario ma ingrato. L’Italia importa e consuma ogni giorno, 365 giorni l’anno, diecimila tonnellate di soia ogm e l’87 per cento di tutti i mangimi venduti in Italia contiene Ogm. Senza che i consumatori finali siano informati con apposite etichette sugli alimenti. Ossia se un derivato di un Ogm viene coltivato all’estero è buono per fare un prodotto tipico italiano, se invece venisse coltivato da un agricoltore italiano no. Se non le vogliamo chiamare paranoie o fobie, almeno si tratta di (metafisici) misteri.
Non basta. Mescolando capre e cavoli, è stato tirato in ballo l’uso di uno dei più diffusi erbicidi: il glifosato. La soia ogm è resistente al glifosato, che riesce a debellare la gran parte delle erbe infestanti. Ma i delegati a Bruxelles discutevano di tre mais, non della soia, e nessuno di questi è resistente al glifosate. Inoltre l’Agenzia per la sicurezza alimentare europea (Efsa), l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno spiegato che non ci sono allarmi per l’uso di questo erbicida. Per ultima è arrivata il 15 marzo 2017 l’Agenzia europea per la chimica (Echa), che ha definito il glifosato nella categoria a più alto rischio nel caso entri a contatto con gli occhi, tossico per la vita acquatica con effetti a lungo termine, ma non classificabile come composto tossico per singoli organi, non carcinogeno, non mutageno e non tossico per la riproduzione. Le frasi di rischio che compaiono sui fungicidi o su insetticidi usati in agricoltura biologica sono molto più preoccupanti. Ad esempio lo Spinosad, insetticida biologico, è tossico per le api e altamente tossico per gli organismi acquatici. Ma è biologico, quindi ha il sapore delle pietanze materne. Casomai andate a male perché conservate fuori dal frigorifero o pericolose perché cotte col fondo bruciato su un tegame di alluminio, ma comunque da tradizione materna. Come era prevedibile, chi ha fatto dell’allarmismo su un prodotto che porta indelebile il marchio Monsanto (e Monsanto è una delle reincarnazioni della mamma di Woody Allen), grida alle ingerenze delle multinazionali, delle banche e del solito complotto demo-pluto-giudaico-massonico a cui io aggiungerei “mammonico”.
Sul sito del Movimento 5 stelle c’è già la petizione per un referendum anti-glifosato e quindi anche anti-Monsanto-Bayer-Merkel-Europa: non fa una piega. D’altronde la coalizione che definisce se stessa “stop glifosato” riunisce quelli del biologico (ossia gente che trova normale usare le farine animali come fertilizzanti senza spiegare che ne deriva un alimento inadatto a un vegano), quelli dell’agricoltura biodinamica (ossia un franchising di un marchio estero registrato in caccia di vesciche di cervo maschio per fertilizzare i campi) e poi il derivato de Il Fatto in versione alimentare, antivivisezionisti che hanno bisogno di immaginare che la ricerca scientifica pubblica italiana pratichi la vivisezione, e compagnia cantando.
In realtà, il glifosate è oramai un “farmaco generico”, fuori brevetto dal 2001, il cui costo è divenuto molto competitivo: bastano 9 euro per diserbare un ettaro di terreno. Sostituire il glifosate è possibile, ma non efficace perché gli altri presidi vanno applicati più volte e non una sola. Per questa ragione l’Italia usa il glifosate in tantissime formulazioni, molte non Monsanto, per diserbare le ferrovie o le autostrade. Usiamo glifosate anche se non coltiviamo nessuna pianta ogm. Si usa glifosate per diserbare i campi da coltivare a soia non-ogm. Sì, a soia non geneticamente modificata. Perché si tratta il campo prima che germogli la soia. Quindi la soia tutta italiana, tutta non-ogm, tutta a chilometro zero, probabilmente è stata diserbata con glifosate e con altri cinque o sei diversi erbicidi. Se proprio abbiamo bisogno di farci angosciare da una mamma in cielo; se assolutamente si deve pensare a come danneggiare la Germania e sostituire la mamma-Allen con il volto saggio ed equilibrato della cancelliera Merkel (che ci ha appena fatto sentire orgogliosi di essere europei e a cui stringeremmo volentieri noi la mano), ecco, per ridurre gli introiti della aziende chimiche tedesche si dovrebbe incentivare l’uso del glifosate che fa scendere di venti volte (ho detto 20) il costo del diserbo per singolo ettaro. Il glifosate è scomodo perché rende difficile la vendita di altri erbicidi simili, ma molto più costosi. Se non li vogliamo definire misteri, almeno chiamiamoli: interessi.
Ma in Italia, avendo recepito la direttiva 412/2015, in nessun caso si sarebbero potuti coltivare i tre mais ogm. Il divieto all’innovazione sugli Ogm, unito però all’importazione di mangimi contenenti Ogm, sta mettendo in ginocchio uno dei nostri comparti primari, ossia l’agricoltura e gli agricoltori professionisti. Sono in rivolta, dai risicoltori della pianura padana ai coltivatori di ulivi del Salento. Il motivo comune è che è stato reciso il legame tra la ricerca scientifica e la sua applicazione in campo. I risicoltori sono stati privati del miglior fungicida che combatteva un fungo endemico delle nostre risaie, il brusone, come spiega Nino Chiò. Se il prezzo del riso salirà alle stelle sarà perché vietiamo le innovazioni che la ricerca scientifica italiana produce per salvare il riso da risotto nostrano. Ma il prezzo non aumenterà perché i nostri decisori politici hanno già fatto crollare i dazi sull’importazione di riso vietnamita, demolendo il tessuto imprenditoriale dell’agricoltura nazionale. Gli imprenditori agricoltori salentini, e penso a Giovanni Melcarne e Francesco Specchia, hanno saltato i veti della magistratura, le sordità e connivenze dei politici locali, i fallimentari riti sciamanici degli ambientalisti indigeni e si sono collegati direttamente ai centri di ricerca delle università e del Cnr pugliesi per trovare una soluzione percorribile al disastro della Xylella. Innesti, piante di ulivo selvatico e centinaia di cultivar provenienti da tutto il mondo stanno dando una speranza di vita agli ulivi millenari (da innestare) e ai coltivatori locali. La coltivazione del mais in Italia si è dimezzata, come sanno i maiscoltori friulani, veneti e lombardi, che chiedono di coltivare mais ogm e anche quest’anno dovremo trovare due miliardi e mezzo di euro per acquistare all’estero mangimi, quasi tutti Ogm, necessari a produrre il “Made in Italy” che esportiamo ovunque.
Sono tutti fondi sottratti alla nostra agricoltura, che si sta estinguendo a causa di dilettantismo e interessi privati. Per non dire del deficit d’investimento in ricerca. Un deficit che costringe almeno cinquantamila ricercatori italiani a emigrare producendo conoscenza e brevetti che complessivamente valgono, secondo l’organizzazione dei giovani scienziati in buona parte all’estero “Tempesta di Cervelli” ([email protected]), 21 miliardi di euro l’anno tra costi di formazione e valore delle scoperte effettuate. Da noi il ministero delle Politiche agricole da anni vocifera di 21 milioni di euro per finanziare le “nuove” biotecnologie vegetali (servirebbero cifre venti o quaranta volte superiori). Fondi di cui si sono anche perse le tracce. E questi se non vogliamo definirli interessi, forse sono: dis-interessi.
Roberto Defez – Istituto di bioscienze e biorisorse - Cnr di Napoli e membro del consiglio scientifico dell’associazione Luca Coscioni
Cattivi scienziati