La tecnologia sconosciuta
I misteri legati alla macchina perfetta, il cervello umano: non siamo solo neuroni
Nessun dubbio può ormai sussistere sul fatto che regioni distinte del cervello governano funzioni distinte. Specifiche lesioni cerebrali causano deficit altrettanto specifici. Qualche anno addietro, in uno degli incontri europei di neuroscienze cognitive che si tengono regolarmente a Bressanone, il compianto neurologo inglese John Marshall proiettò l’immagine del cervello di un paziente con una lesione cerebrale assai circoscritta e chiese ai circa trenta neuroscienziati presenti di predire quale deficit cognitivo quel paziente presentava. Ci fu sostanziale unanimità in quella loro previsione, confermata dai dati. Nel campo del linguaggio, alcune correlazioni tra lesioni cerebrali e deficit hanno quasi dell’incredibile. La neurologa torinese Marina Zettin e il neuro-scienziato cognitivo Carlo Semenza, ordinario all’Università di Padova, hanno pubblicato casi di pazienti che hanno deficit che colpiscono solamente (si noti: solamente) i nomi propri di persona, oppure i nomi di nazioni, oppure i nomi di monumenti famosi. Altri studiosi hanno osservato un paziente che aveva problemi unicamente nel descrivere tessuti (seta, lana ecc.), un diverso paziente solo per pietre preziose (rubino, smeraldo), ancora un altro per oggetti di mobilio (sedia, armadio). La lista potrebbe continuare.
L’insigne neurologa inglese Elisabeth Warrington osservò un paziente che non sapeva dire niente quando gli venivano detti a voce i nomi di animali (per esempio, elefante, leone, delfino), ma sapeva tutto su questi animali, quando gli veniva mostrata una foto o un accurato disegno dell’animale.
Negli ultimi anni, alcuni dati sembrano stravolgere l'idea, pur sostanzialmente corretta, della specificità delle regioni cerebrali
Quanto al linguaggio, nel lontano 1861, all’ospedale parigino Bicètre, il celebre neurologo Pierre Paul Broca esaminò il paziente Louis Victor Leborgne. La sua comprensione del linguaggio era intatta e cosi’ le altre funzioni cognitive, ma non era capace di parlare. Riusciva solo a dire il monosillabo “tan”, ripetendolo più volte, con l’intonazione giusta per le frasi che avrebbe voluto pronunciare. Il povero Monsieur Leborgne è infatti passato alla posterità come il caso Tan. Apponendo una sottile lastra metallica sul cranio di Tan e battendola con le nocche, Broca individuò la regione cerebrale colpita: la terza circonvoluzione del lobo frontale sinistro, da allora chiamata area di Broca. L’autopsia poi confermò l’esattezza della sua localizzazione.
Ebbene, negli ultimi anni, alcuni dati sembrano stravolgere l’idea, pur sostanzialmente corretta, della specificità delle regioni cerebrali. Si sono osservati, infatti, numerosi casi di gravi anomalie cerebrali che lasciano intatto il linguaggio. Uno di questi e’ l’idrocefalia, cioè la massiccia invasione del liquido cerebro-spinale che riduce a poco più di un millimetro lo spessore della corteccia, normalmente spessa qualche centimetro. Il primo e tuttora più famoso caso fu pubblicato dal pediatra a neurologo inglese John Lorber nel 1980. Un baldo giovanotto con voti stellari in matematica e un quoziente di intelligenza ben oltre la media accusava frequenti mal d testa. La radiografia rivelò una nettissima idrocefalia.
Tanto che Roger Lewin pubblicò su Science un articolo con il provocatorio titolo “Abbiamo veramente bisogno del nostro cervello?”. Va notato che l’accumulo di liquido è lento e progressivo, iniziando nella tenera età, e consente la progressiva ristrutturazione delle reti nervose. Lesioni traumatiche improvvise hanno ben altri effetti. Questi casi restano comunque assai problematici.
Quasi non bastasse, molti casi di linguaggio intatto sono stati osservati dopo interventi di emisferectomia, cioè la rimozione chirurgica di una metà (destra o sinistra) del cervello. Dettati da epilessia ricorrente e resistente ai farmaci, oppure da tumori, questi interventi producono a volte dei deficit cognitivi (orientamento spaziale, esplorazione visiva, calcolo mentale e simili), ma quasi sempre lasciano intatto il linguaggio. Il caso di una bambina olandese di sette anni, perfettamente bilingue in Fiammingo e in Turco, è stato pubblicato nel 2002 dai neurochirurghi di Amsterdam J. Borgstein e C. Grootendorst. L’ablazione dell’emisfero sinistro (si noti, quello normalmente più specializzato nel linguaggio), ha preservato il bilinguismo della bimba.
La neuro-linguista Susan Curtiss (Università della California a Los Angeles) ha studiato oltre quaranta casi di emisferectomia e ha sviluppato una batteria di test che coprono la fonologia, la sintassi e la semantica. Con qualche differenza tra l’ablazione dell’emisfero destro e quello sinistro, quasi sempre il linguaggio è preservato. Occorrono test molto raffinati per rivelare minime imperfezioni linguistiche solo in alcuni pazienti. Analoghi risultati sono stati ottenuti dal neuro-linguista Sergei Avrutin e collaboratori all’Università di Utrecht.
Nel 1998, i neuropsicologi Paolo Mariotti, Laura Iuvone, Maria Giulia Torrioli e Maria Caterina Silveri (Università Cattolica di Roma) esaminarono in dettaglio le capacità linguistiche di una donna di 20 anni che aveva subito la rimozione chirurgica dell’interro emisfero sinistro all’età di tre anni. Le sue capacità fonologiche, lessicali e sintattiche erano ottime, ma la sua comprensione di metafore e inferenze linguistiche era lievemente compromessa. Presentava alcuni deficit cognitivi, visivi e motori, ma non linguistici.
Abbiamo bisogno del nostro cervello, ma forse non proprio di tutti i suoi 100 miliardi di neuroni e di tutte le loro interconnessioni
Un ulteriore caso di gravi malformazioni cerebrali con linguaggio intatto è quello della cosiddetta spina bifida, un difetto congenito, che qui menziono solamente, per motivi di spazio. Si sarebbe detto che queste malformazioni o ablazioni devono sempre e solo avvenire in giovane età, quando il cervello è ancora plastico e può riorganizzarsi. Almeno due casi sembrano smentire questo assunto. Il neurochirurgo bostoniano Robert Zollinger riportò, nel 1935, il caso di una donna di 43 anni alla quale, per causa di un glioma, era stato asportato l’emisfero sinistro. Zollinger, nel suo articolo, dice testualmente: “L’osservazione più interessante del periodo postoperatorio è stata l’abilità del paziente a parlare”. I neurochirurghi americani Aaron Smith e C. W. Burklund (Omaha, Nebraska) riportarono nel 1966 il caso di un uomo di 47 anni, il paziente E. C. anch’esso affetto da glioma. Dopo ablazione dell’emisfero sinistro, seppur molto lentamente, in circa due anni, recuperò quasi completamente il linguaggio.
Come spiegare questi casi? Certo: abbiamo bisogno del nostro cervello, ma forse non proprio di tutti i suoi 100 miliardi di neuroni e di tutte le loro interconnessioni, le cosiddette sinapsi (che si contano con un numero uno seguito da dodici zeri). Molti degli studiosi di cui abbiamo appena parlato insistono sulla ridondanza. Una diversa soluzione potrebbe emergere dai cosiddetti microtubuli, cioè quei minuscoli filamenti altamente organizzati, presenti in gran numero all’interno di ciascun neurone. Dati che collegano l’attività di questi ultra-mini-computer allo sviluppo delle reti nervose sono stati pubblicati recentemente. Se questo si conferma, il potere di calcolo del cervello aumenta di alcuni ordini di grandezza e l’itinerario della crescita delle reti nervose trova un nuovo fattore. Si tratta solo di possibili soluzioni al rompicapo illustrato dai casi appena citati. Gli anni a venire ce lo diranno.
cattivi scienziati
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