Che fine ha fatto l'inchiesta della procura di Lecce sulla Xylella?
La Commissione europea si rende conto che l’Italia sta facendo poco o nulla per limitare il contagio e l’espansione del batterio, e quindi spinge sulla procedura d’infrazione
Roma. L’emergenza Xylella è presa sul serio più a Bruxelles che a Roma e Bari. La Commissione europea si rende conto che l’Italia sta facendo poco o nulla per limitare il contagio e l’espansione del batterio, e quindi spinge sulla procedura d’infrazione per la mancata attuazione delle misure anti Xylella. “Le autorità stanno fallendo nel fermare il progredire del dannoso” batterio killer degli ulivi, scrive la Commissione in un parere motivato. Le misure includevano l’eradicazione delle piante infette subito dopo la prima conferma della presenza della Xylella – che, ricordiamo, è un patogeno da quarantena che attacca diverse specie vegetali – ma dopo la comunicazione dei nuovi focolai “la tempistica comunicata dall’Italia è stata inefficace per assicurare l’immediata rimozione degli alberi infetti come richiesto dalla legislazione Ue”. Si tratta di un vero e proprio ultimatum. Ora l’Italia ha due mesi di tempo per adeguarsi ed evitare il deferimento alla Corte di giustizia dell’Unione europea, passo che prelude alle sanzioni: multe salate a carico di tutti i cittadini italiani.
Ma perché tanti ritardi? La diffusione del batterio e la procedura d’infrazione europea sono il frutto avvelenato di tante altre patologie tutte italiane: complottismo, pseudo-ambientalismo, populismo politico e soprattutto giudiziario. La storia sarebbe abbastanza semplice. C’è un batterio arrivato dall’America centrale, a causa dell’importazione di piante ornamentali, che sta causando il disseccamento degli ulivi e che minaccia di compromettere l’olivicoltura pugliese e mediterranea. Per questo motivo bisogna impedire la diffusione dell’epidemia anche attraverso l’eradicazione delle piante infette nelle zone di confine. Questo è quello che affermano le istituzioni nazionali ed europee sulla base delle evidenze raccolte e delle ricerche scientifiche prodotte in tutto il mondo. Si sono espressi a favore delle misure di contenimento (sia dal punto di vista scientifico che giuridico) la Corte di giustizia europea, la Commissione europea, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), l’Accademia dei Lincei, scienziati internazionali e i ricercatori italiani che hanno scoperto il batterio e la malattia.
Ma per la magistratura italiana le cose stanno diversamente: il batterio non è arrivato ma ce l’hanno portato, la malattia l’hanno diffusa gli scienziati, la Xylella non c’entra niente, dietro ci sono i poteri forti perché una multinazionale è proprietaria di una società che si chiama con l’anagramma di Xylella (Alellyx). Su queste basi, nel dicembre del 2015, la procura di Lecce ha bloccato il piano di contenimento del batterio, messo sotto indagine dieci ricercatori e funzionari con l’accusa di diffusione colposa di malattia delle piante, falso materiale e ideologico, getto pericoloso di cose, distruzione di bellezze naturali. Tutto è stato ispirato da movimenti ambientalisti, cavalcato da un ampio fronte populista che va dal M5s al governatore pugliese Michele Emiliano, subìto dal governo.
A distanza di oltre un anno e mezzo dall’inizio delle indagini, tutte le ipotesi presentate dai pm leccesi sono state smentite dalle massime autorità scientifiche. Nella ricostruzione dei magistrati – come sin dall’inizio abbiamo raccontato sul Foglio – oltre alla logica mancano le prove, ma la carenza non ha impedito all’inchiesta di proseguire a furor di popolo. Proprio ieri, il 17 luglio, sono scaduti anche i 6 mesi di proroga richiesti dai pm titolari per chiudere l’inchiesta. Non si sa ancora se sono state trovate delle prove o se si andrà, come pare più logico, verso l’archiviazione. Di certo c’è che il nuovo capo della procura di Lecce, Leonardo Leone De Castris, su questo tema è stato molto più attento e misurato del suo predecessore Cataldo Motta.
Cattivi scienziati