Nonostante le fake news, Bruxelles salva il glifosato
La campagna antiscientifica delle lobby ambientaliste non ha fermato la Commissione europea: l'autorizzazione per usare il controverso erbicida è stata rinnovata per altri cinque anni
L’Italia sembra improvvisamente riscoprire il tema della post-verità, rilanciato dalla Leopolda di Matteo Renzi e soprattutto dalle inchieste di BuzzFeed e del New York Times sui collegamenti tra siti pro M5s e Lega. Nel frattempo Bruxelles blinda, almeno per ora, una questione che sulle campagne di disinformazione ha trovato “terreno fertile”, e non è una proposizione scelta a caso: gli stati membri dell'Unione europea, riuniti in un comitato di appello, hanno deciso a maggioranza qualificata di concedere una nuova autorizzazione di cinque anni al controverso erbicida al glifosato (quella precedente sarebbe scaduta il prossimo 15 dicembre). Lunedì diciotto paesi hanno votato a favore della proposta dell'esecutivo europeo, nove (Italia, Francia, Belgio, Grecia, Ungheria, Cipro, Malta, Lussemburgo e Lettonia) si sono opposti e il Portogallo si è astenuto. Il dibattito sul glifosato, spinto da ong e lobby ambientaliste, ha scatenato una valanga antiscientista che si ostina a non voler leggere i dati diffusi delle principali organizzazioni internazionali. Cerchiamo di ricapitolare.
Il glifosato è un elemento presente nel RoundUp, erbicida della multinazionale Monsanto. Ma non solo: dal 2001, quando è scaduto il brevetto, sono stati registrati presso il ministero della Salute circa 350 prodotti contenenti glifosato e autorizzati all’impiego in Italia. È anche l’agro-farmaco più usato al mondo e aumenta innegabilmente l'efficienza dell'agricoltura. Solo in Germania, gli agricoltori trattano con questo prodotto circa il 40 percento della terra arabile. Un peso nel voto di lunedì può averlo avuto, è facile immaginare, la formazione di una coalizione senza gli ambientalisti a Berlino, che a Bruxelles ha votato a favore. “Non è un caso che i tedeschi aspettino a gennaio la decisione finale della Commissione sulla fusione Bayer-Monsanto. Non ci vuole sicuramente un genio per capire come andrà a finire – hanno commentato gli eurodeputati del M5s – Farmaci e pesticidi a braccetto per almeno altri cinque anni, il tempo utile per fare immensi profitti sulla pelle dei cittadini europei”.
Ad influenzare il voto è stata anche la pubblicazione, la scorsa settimana, sia di una lettera del Committee on Science, Space, and Technology del Senato degli Stati Uniti sia di uno studio indipendente che dimostra come non ci sia alcun collegamento tra l’erbicida e alcuni tipi di cancro. Eppure quella pubblicata sul Journal of the National Cancer Institute, è solo l’ultima di una serie di smentite alla sbandierata pericolosità della sostanza. Tracce di glifosato, comunque sotto la soglia di pericolosità, sono state rilevate in diversi alimenti in commercio: per verificarne il rischio sono stati avviati numerosi studi. Finora un solo organismo internazionale – l’Iarc, agenzia intergovernativa con sede a Lione che conduce e coordina la ricerca sulle cause del cancro – l’aveva classificato come probabile cancerogeno e nel 2015 l’aveva assegnato al gruppo 2A, quello, per intendersi, dove è stata inserita anche la carne rossa. Già nel 2016 l'Efsa, l'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, ha evidenziato invece, con una review di oltre 700 studi analizzati dai suoi comitati scientifici, la non cancerogenicità del prodotto. Una posizione sposata anche da Fao e Oms – da cui dipende l'Iarc – in un meeting congiunto del 16 maggio 2016, e dall'Echa, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche, che l'ha definito non cancerogeno, non mutageno e non tossico per la riproduzione. Inoltre il mese scorso un’inchiesta di Reuters ha rivelato come nello studio dell’Iarc – l’unico contrario al glifosato – fossero stati omessi dati epidemiologici che ne mostravano l'assenza di cancerogenicità.
Insomma, mentre la quasi totalità della comunità scientifica più autorevole si schiera sull’assenza di rischi del glifosato, le organizzazioni ambientaliste propongono come strada per il futuro il “biologico” e il ricorso alle “buone pratiche” agronomiche. È lo stesso tipo di pensiero, alimentato dalla disinformazione, che ha diffuso presso i consumatori la convinzione che il pane prodotto con grani antichi sia più buono e più salubre di quello prodotto con grani moderni. Un’affermazione smentita da un recente studio del Crea, centro di Cerealicoltura e Colture industriali del governo italiano, pubblicato sui Scientific Report di Nature, e che destituisce di fondamento la convinzione che il pane di grani antichi, rispetto a quello di grani moderni, abbia un sapore o un odore migliore. “Ciò che influenza in maniera decisiva il prodotto finale”, secondo la ricerca, “è il tipo di macinazione (pietra piuttosto che cilindri). Contrariamente a quanto comunemente si pensa, il genotipo grano antico o grano moderno risulta apprezzabile solo nel determinare l’aspetto e la consistenza della crosta e della mollica”. Che le multinazionali siano dietro anche a questa notizia?
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