La NASA cerca pianeti su Google
La scoperta di Kepler-90i, in un sistema planetario molto simile al nostro, attraverso il “machine learning”: i computer imparano dai passi precedenti. Quanto manca alla scoperta di un gemello della Terra?
La NASA ci sta trattando bene ultimamente. Tra un po’ non ci faremo caso, lo so. Del tipo che potremmo rispondere col refrain “anche a te e famiglia”, tipico degli auguri di Natale. “Ehi, sai che la NASA ha appena annunciato la scoperta di un altro pianeta extrasolare?”; “grazie, anche a te e famiglia”. Da quando la NASA ha lanciato la missione Kepler nel marzo 2009, la ricerca di possibili “earth-like planet” (pianetini blu come la nostra Terra) è diventata sistematica. Con un unico scopo: la fatidica risposta alla domanda “siamo soli nell’universo?”. Da allora, il telescopio Kepler con una risoluzione da 95 megapixel ha scoperto circa 3500 pianeti extrasolari e uno – il Kepler 22b – addirittura candidato ad avere molte cose in comune con la Terra.
Kepler è condannato a guardare sempre la stessa porzione di spazio e lo stesso numero di stelle: 150000. Studia l’eventuale variazione di luminosità di una stella attraverso il metodo dei transiti: quando un pianeta passa davanti alla stella cui è legato gravitazionalmente allora si può misurare indirettamente la sua presenza attraverso piccolissime variazioni nella luminosità tipica della stella. E in alcuni casi – molto fortunati – qualche raggio di luce della stella attraversa l’atmosfera dell’esopianeta e da questo piccolo segnale si possono acquisire informazioni sulla composizione chimica della sua atmosfera e la temperatura. Che strumento incredibile la conoscenza indiretta. Per rendere l’idea, sarebbe impossibile “vedere” un moscerino passare davanti agli abbaglianti della mia macchina se fossi a diversi chilometri di distanza: per osservare indirettamente gli esopianeti ci vuole la strumentazione adatta e – soprattutto – molto tempo a disposizione. Certo, oltre ad utilizzare software di calcolo costosissimi purtroppo il metodo dei transiti è limitato dalle condizioni dell’osservatore: il pianeta deve attraversare il disco della stella rispetto a noi osservatori terrestri altrimenti non potremmo vedere alcuna diminuzione di luminosità apparente. Insomma deve passarci davanti, come un moscerino sugli abbaglianti.
Questa volta, ed è qui la novità, il transito di un pianeta davanti alla sua stella è stato rilevato utilizzando l’intelligenza artificiale sponsored by Google: attraverso il “machine learning”, così chiamato perché letteralmente i computer imparano dai passi precedenti. Quindi anche la NASA è caduta nella trappola del “dai, cercalo su Google!”. E dove gli altri computer e algoritmi avevano fallito, Google ha vinto: è stato “visto” un altro pianeta (l’ottavo) in un sistema planetario di cui si sapeva quasi tutto. Quasi, appunto. Perché il calcolo e l’intelligenza artificiale hanno visto quello che non si faceva vedere: il primo astronomo artificiale della storia ha utilizzato la tecnica innovativa delle reti neurali. E con questa tecnica si intravede un nuovo inizio; un’incredibile mole di dati – registrati in precedenza – attendono di essere processati e chissà quante sorprese ci attendono. E magari con la speranza di battezzarli con dei nomi un po’ più facili da ricordare: che so, magari con qualche nome preso da una serie TV o da un film di fantascienza.
L’ottavo pianeta – Kepler-90i – fa parte del mini sistema formato dalla stella Kepler-90 e si trova a 2545 anni luce da noi: roccioso, molto caldo e il suo anno dura circa 14 giorni terrestri. Con l’ottavo pianeta scoperto nello stesso sistema abbiamo trovato un altro sistema planetario molto simile al nostro. Quanto manca alla scoperta di un gemello della Terra? Non lo sappiamo, la caccia è aperta e ci vorrà ancora del tempo. Di una cosa siamo certi: sarà sempre di più l’anno dei pianeti perché un pianeta è pur sempre un pianeta ma secondo me anche i pianeti si son rotti di non brillare di luce propria.
cattivi scienziati
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