La vergogna nazionale degli scienziati ancora indagati per la Xylella

Luciano Capone

L'indegno silenzio su una moderna caccia agli untori

Roma. Chissà se adesso per i ricercatori del Cnr e dell’Università di Bari, che hanno studiato e affrontato l’emergenza Xylella in Puglia, il 18 dicembre diventerà un giorno piacevole da ricordare. Il 18 dicembre 2015 è la data in cui gli è crollato il mondo addosso, accusati dalla procura di Lecce e dai movimenti popolari di essere le pedine di un complotto delle multinazionali contro il Salento e gli artefici della diffusione della malattia che ancora adesso sta seccando gli ulivi. Il 18 dicembre 2018, esattamente due anni dopo, è invece la data della pubblicazione sulla rivista “Scientific reports” del gruppo “Nature” di un loro complesso studio che dimostra in maniera inequivocabile che la Xylella fastidiosa sia la causa del disseccamento degli ulivi. Ovvero, hanno sempre sostenuto sin dall’inizio. Si tratta di un successo professionale a livello internazionale, ma anche di un riscatto giudiziario, visto che questi stessi ricercatori – in particolare la giovane Maria Saponari, Donato Boscia e Vito Nicola Savino – sono ancora indagati proprio per i loro studi e la loro attività scientifica.

   

A due anni di distanza da quel decreto con cui la procura di Lecce, all’epoca guidata da Cataldo Motta, bloccò il piano di emergenza che avrebbe dovuto tentare di bloccare l’epidemia e comunicò al mondo che il problema degli ulivi non era la Xylella ma i ricercatori che cercavano di arginare quel pericoloso batterio, è il caso di tirare un bilancio. Tutte le ipotesi accusatorie di quell’inchiesta, che già all’epoca non avevano alcun senso né riscontri nella realtà, sono state ampiamente smentite più importanti istituzioni accademiche, scientifiche e giudiziarie italiane ed europee. Non si possono certamente contrapporre alla solidità dell’Efsa, dell’Accademia dei Lincei e di riviste scientifiche internazionali, ipotesi mai provate, tesi di studenti in economia e la convinzione dell’ex procuratore Motta che la Xylella sia innocua e che basti l’acqua a curare gli ulivi.      

Solo in altre epoche storiche o in pochi altri posti del mondo moderno accade che gli scienziati vengano trattati da untori e che le menti capaci, anziché essere premiate e supportate, vengano inquisite proprio per le loro conoscenze. E’ qualcosa che dovrebbe far indignare o quantomeno vergognare tutti. E invece a causa di una sudditanza psicologica nei confronti della magistratura inquirente, la comunità scientifica italiana, a parte poche lodevoli eccezioni, è stata silente – si sono sentiti di più i colleghi all’estero – e persino le istituzioni di appartenenza degli indagati si sono chiuse in un mutismo che è poco degno dei valori e dell’autonomia scientifica che dovrebbero difendere.

  

 

Nel valutare i danni prodotti da questa inchiesta, non c’è però solo da considerare le ripercussioni sugli indagati ma anche quelle sull’emergenza fitosanitaria. A due anni da quel sequestro che impedì le eradicazioni, l’epidemia si è diffusa rapidamente verso nord. L’inchiesta è ferma, ma la Xylella avanza e adesso è a pochi chilometri da Bari e minaccia di distruggere l’olivicoltura pugliese e italiana. Il paese, come si dice in questi casi, attende fiducioso che la giustizia e la malattia facciano il loro corso.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali