Le ricerca conferma che Xylella non è un problema di scienza, ma di coscienza

Enrico Bucci

"Nature" nobilita i ricercatori accusati del "complotto"

Pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo su una rivista scientifica internazionale del gruppo “Nature”, le cui inequivocabili conclusioni sono due: Xylella fastidiosa (nella sua varietà pugliese) è patogenica per gli olivi e alcune varietà di olivo mostrano resistenza, perché quando inoculate con il batterio sviluppano i sintomi con tempi e severità diversi. Queste conclusioni, arrivate dopo una sperimentazione pluriennale, sono state possibili grazie al lavoro indefesso di quel gruppo di ricercatori di Bari, appartenenti ad al Cnr, all’Università e al Centro di ricerca, formazione e sperimentazione in agricoltura (Crsfa) “Basile Caramia”, che da sempre, senza tregua e nonostante gli ostacoli frapposti da magistratura, gruppi di militanti pugliesi e politica ambigua, persegue caparbiamente le sperimentazioni, le analisi, le attività legate ai progetti di ricerca europei dedicati alla Xylella. Si badi bene: non si tratta di una locale tribù accademica, ma di un gruppo di ricerca internazionalmente noto e con collaborazioni con tutti i maggiori esperti impegnati a contrastare la Xylella, tanto che uno di questi esperti, il professor Rodrigo Almeida, dell’Università di Berkeley in California, è ringraziato in chiusura del lavoro per la collaborazione fornita.

 

Dopo tantissimi documenti tutti concordi, tra cui si ricordano i rapporti di Efsa e dell’Accademia dei Lincei, dopo gli editoriali di Nature, dopo la preparazione di documenti dedicati all’emergenza persino da parte della Fao, dopo l’analisi dettagliata dei dati ottenuti dal campionamento nei focolai dove più grave è la moria degli ulivi, questo ultimo lavoro pubblicato arriva a confermare ulteriormente quel che si sapeva già, e cioè che il disseccamento rapido dell’ulivo e la conseguente devastazione del territorio salentino sono legati alla diffusione di Xylella. Servirà questa ulteriore dimostrazione a placare gli animi di chi ha accusato di complotto i ricercatori, ha plaudito alle iniziative giudiziarie contro di essi, ha formulato le ipotesi più strampalate circa le cause della malattia e i possibili rimedi? Si calmeranno cioè le acque agitate nel nome di un qualunquismo ribellista, intorbidite da una comunicazione volta a produrre schieramenti, più che a spiegare, e a porsi alla guida di questi schieramenti per gli interessi più vari? Non lo credo, perché il grado di polarizzazione della discussione è cresciuto al punto tale da non consentire il ritiro di una parte senza perderci la faccia.

 

Quella su Xylella non è mai stata una discussione scientifica: è stata invece un’arena dialettica (che in qualche caso però è sconfinata in atti dei manifestanti oggi all’attenzione della magistratura) utilizzata per rafforzare il consenso all’interno di un certo corpo sociale da parte di ben identificabili attori politici in senso lato, a scapito del bene comune e a vantaggio di un ristretto numero di ben identificabili caporioni come di una più ampia platea di individui in cerca di visibilità. Credo quindi che assisteremo presto al semplice spostamento dell’asticella della discussione da parte di chi ha sempre negato l’esistenza stessa della correlazione tra malattia degli ulivi e Xylella. Si dirà magari che il professor Krugner, un altro esperto di fama mondiale, ha pubblicato nel 2014 un lavoro su 198 olivi californiani, in cui la patogenicità della Xylella è risultata bassa, dimenticando che la Xylella testata dall’americano è di una sottospecie diversa, tanto che successivamente a quel lavoro lo stesso Krugner, quando si è interessato della sottospecie pauca isolata in Puglia, ha confermato il legame tra disseccamento e batterio e ha allertato le autorità americane sul rischio che il batterio “pugliese” sbarchi in California e danneggi gli ulivi. A un livello più basso si attaccherà magari la rivista che ha pubblicato l’ultimo lavoro, cercando di dimostrare che il “contenitore” non sia quello adatto (dimenticandosi del “contenuto”) oppure si dirà che i ricercatori di Bari erano in conflitto di interesse, perché da molti anni ripetono che Xylella è responsabile della moria (come se un ricercatore potesse essere in conflitto di interesse per il solo fatto di pubblicare su ciò che indaga da anni). Ogni argomento, piegato ad arte e bislacco quanto si vuole, sarà utilizzato per dire che no, non è vero che vi è consenso scientifico, che non vi sono dati, che questi sono manipolati o selezionati ad arte, che l’agente causale è diverso e così via. Si arriverà in casi estremi persino a pretendere che quella pubblicazione, la cui assenza era stata sinora brandita come una clava, non è poi rilevante, perché ciò che importa è identificare i rimedi, non preoccuparsi delle cause. Senza capire una cosa semplicissima: il tanto richiamato principio di precauzione non afferma affatto che le decisioni basate sulla scienza sono tali quando si abbia l’assenza di ogni contestazione da parte di qualunque singolo esponente del mondo scientifico o peggio da parte degli attivisti di un ipotetico “territorio” in cui si deve andare ad operare.

 

Invece, in presenza di una preponderanza di prove e di un consenso diffuso nella comunità dei ricercatori, è da stolti ricercare l’ennesima evidenza, richiedere l’ennesimo esperimento e formulare l’ennesima teoria: buona precauzione in casi come questo non è infatti attendere, ma procedere sulla scorta della migliore conoscenza disponibile.

 

Enrico Bucci è Professore aggiunto in Biologia dei sistemi complessi, Sbarro Health Research Organization, Temple University – Philadelphia

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