Tutti i problemi giornalistici e scientifici del libro sui vaccini di Giulia Innocenzi
Ricerca della verità dei fatti o della visibilità delle polemiche?
Il libro “VacciNazione” (Baldini&Castoldi, Dicembre 2017) della giornalista Giulia Innocenzi è una metafora di un recente modo, minoritario, di interpretare il rapporto tra giornalismo e scienza. E’ per questo che va inquadrato in un contesto più ampio della disamina dei suoi contenuti, che altri, primo fra tutti il noto virologo Roberto Burioni, hanno già stigmatizzato per un numero di errori e inesattezze imbarazzante: dai nomi sbagliati degli agenti infettivi sino a confondere vaccini con altri farmaci (si parla del Tamiflu – un antivirale – come del “vaccino della Roche”), per tacere del tentativo maldestro di cercare lo scandalo in cerca di visibilità.
Dopo alcuni anni di studio e numerosi incontri sul territorio nazionale e non sul tema delle resistenze sociali alle vaccinazioni, credo di poter elencare, con una certa accuratezza, quali sono oggi i tipici argomenti dei novax.
E’ tipico dei novax – non degli “integralisti”, quelli cioè che la letteratura definisce refusals perché rifiutano senza eccezioni tutti i vaccini ritenuti il male assoluto – iniziare a discutere affermando “non sono contro i vaccini ma...” per poi elencare una sfilza di credenze, inesattezze, irragionevolezze e di “sentito dire”, caratteristico della “cultura marmellata” come avvertiva il grande psichiatra Jervis, che mettono in dubbio la sicurezza dei vaccini. E' una strategia retorica nota, e piuttosto ingenua, usata da Trump nei suoi tweet novax, che finge di rifiutare i pregiudizi – si pensi al “non sono razzista ma...” – per poi usare un forte pregiudizio nello scegliere le fonti in modo selettivo: gli anglosassoni chiamano questa strategia giornalistica cherry-picking, ovvero del raccoglitore di ciliegie.
Un altro espediente retorico consiste nell’usare strumenti emotivi, in genere racconti di storie personali commoventi o ansiogene (person centred stories, le chiama la letteratura scientifica) per esibire casi concreti apparentemente credibili dei rischi dei vaccini, spesso intervistando “i genitori dei figli danneggiati” o casi che “la scienza spesso ignora” o dimentica.
A ciò, naturalmente, segue l'argomento complottista, per cui le multinazionali del farmaco e gran parte dei medici nasconderebbero il numero effettivo di reazioni avverse e lo farebbero perché il mercato dei vaccini fa fruttare molti soldi.
Non sono antivax ma...
Ebbene, in “VacciNazione” c’è tutto questo. Il libro inizia con “non sono contraria ai vaccini ma...” per poi descrivere diverse storie, compresa quella del pianto dell’autrice, sui figli di genitori che li ritengono danneggiati o deceduti a causa dei vaccini. La verità è che non risultano oggi casi dimostrati dalla scienza di persone decedute per il vaccino, mentre risultano, e sono diverse decine ogni anno, bimbi deceduti per non essere stati vaccinati, o perché troppo piccoli per esserlo, o perché figli di genitori che hanno deciso di non proteggerli con la vaccinazione. E se ciò avviene è anche perché tali genitori si lasciano influenzare da libri e trasmissioni che gettano discredito sui vaccini. La strategia è quella usata in alcune trasmissioni che strizzano l’occhiolino alla “controinformazione”, penso a Le Iene sul caso Stamina o a Report sugli Ogm o sul vaccino Hpv. In apertura si dice di non essere contrari al tema e di rispettare la scienza, per poi veicolare storie allarmanti e strappalacrime capaci di coinvolgere la pancia del grande pubblico, si raccontano dati occultati e si allude a anomalie nelle ricerche rivelate da ricercatori “indipendenti” e marginalizzati, si citano “documenti riservati” di ex collaboratori che svelano le vere strategie aziendali, e si finisce con qualche indagine in corso della magistratura o qualche passata sentenza contra scientiam.
“VacciNazione” dedica ampie parti sulle reazioni avverse, tentando di dimostrare che il sistema di controllo non funziona o sottostima il loro numero, ma non è vero. Il sistema italiano funziona benissimo, lo dimostra anche il caso virtuoso dell’anagrafe vaccinale veneta che registra i casi da un decennio. I numeri delle reazioni avverse sono in primo luogo perfettamente coerenti con il resto del mondo (tutto il mondo è corrotto?), e in secondo luogo sono i più bassi di tutti i farmaci attualmente in commercio: i vaccini hanno reazione avverse centinaia di volte inferiori alle aspirine e alle arachidi, tema quest’ultimo che dovrebbe interessare l’autrice che con il precedente libro si professa vegetariana (a proposito di dati reali: c’è una forte correlazione tra chi è novax e chi aderisce a quella costellazione di pensiero naturista che va dal veganesimo alle medicine alternative/olistiche).
Rimestare nella zona grigia
Il libro poi cita una serie di cifre confuse sugli introiti delle case farmaceutiche sui vaccini facendo credere che si tratti di un ambito rigoglioso, ma anche ciò non è affatto vero, tanto che negli anni molte hanno abbandonato la ricerca. In Italia i vaccini attraggono solo l’1,4 per cento della spesa del SSN per i farmaci, solo gli antiinfiammatori da banco sono poco più economici, i farmaci contro il reflusso esofageo o antitumorali costano all’erario 8 volte di più. Ci sono ricerche comparative internazionali (cfr. Ethgen o Offit) che dimostrano che nessuno dei maggiori paesi europei supera l’1 per cento del budget del SSN per le vaccinazioni. E tutto ciò senza considerare quanto ci fanno risparmiare a livello sanitario: il vaccino anti-tetano costa dieci euro, ma un bambino non vaccinato, come nel recente caso piemontese, può costare all’erario un mese in cura intensiva a circa 3 mila euro al giorno. Occorre chiedersi quali libri leggono i genitori novax che si dicono “informati” e chi e con quale metodo si costruisce tale informazione.
Persino su due delle bufale più pericolose e trite, che i vaccini provochino l’autismo e che contengano dosi tossiche di alluminio, viene montata una sottile macchina del sospetto. Certo, si inizia dicendo che la scienza ha escluso l’autismo come effetto della vaccinazione, ma allora qual è il senso di dar voce alle “mamme che sanno”, a consulenti tecnici di sentenze poi ribaltate, allo stesso Wakefield e a due medici italiani radiati dall’ordine, uno dei quali si dice sicuro che “una parte dei bambini autistici sono legati ai vaccini”? Perché, di grazia, si citano 5 casi di autismo che una multinazionale avrebbe occultato in “documenti riservati” per omettere che l’incidenza sarebbe “20-50 volte inferiore a quella attualmente accreditata”? I dati sui profili di sicurezza dell’alluminio nei vaccini sono arcinoti da 70 anni, perché dunque dopo essersi nascosti dietro le parole di uno scienziato di primordine come Garattini, che giustamente conferma la sicurezza degli adiuvanti, si gettano dubbi citando avventori che con ricerche fatte in casa denunciano la presenza dei metalli pesanti nei vaccini o strampalate sindromi da adiuvanti come l’ASIA di Shoenfeld (la stessa citata da Report)? Perché, infine, dedicare un paragrafo ai “feti abortiti nei vaccini”, stravolgendo uno strumento fondamentale creato sessant’anni fa come le linee cellulari di derivazione umana per capire l’insorgenza del cancro, l’invecchiamento cellulare e coltivare virus per lo sviluppo di vaccini?
Questo non è giornalismo d’inchiesta, semmai è rimestare nella zona grigia, fiutare l’argomento e l’aria che tira, intervistare persone che “ne sanno un sacco” anziché individuare gli scienziati esperti, è fare ricerche su Google anziché studiare su testi veri e valutare le fonti, scivolando inevitabilmente su documenti farlocchi nel tentativo cercare lo scandalo. Un metodo che verrebbe bocciato da qualsiasi scuola di giornalismo.
Se proprio non si vuole studiare, vi sono degli esempi da imitare per correggere il tiro. Basta guardare al “giornalismo di precisione” svolto, proprio su Ogm, vaccini e Stamina, da quel cavallo di razza che è Riccardo Iacona, anch’egli passato dalla scuderia Santoro. A dimostrazione del fatto che dai maestri non solo ci si può emancipare, ma si possono anche superare. A patto però di lavorare sodo e analizzare le fonti “basate sulle prove”: quelle che nell’era post-fattuale creano l’orticaria al populismo mediatico-politico nostrano.
*Sapienza Università di Roma
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