"Stephen Hawking era tormentato dalle domande radicali, dall'esistenza di Dio"
"La contrapposizione tra Dio e la lettura scientifica del mondo deriva da una svista filosofica". Intervista all'astrofisico Marco Bersanelli
Stephen Hawking, il più grande astrofisico vivente morto mercoledì a Cambridge, “era un uomo colpito e interrogato dalle domande ultime e chissà, forse pure tormentato da queste”, dice al Foglio Marco Bersanelli, docente di Astronomia e Astrofisica all’Università statale di Milano e autore tra le altre cose de Il grande spettacolo del cielo (Sperling & Kupfer, 2016). “Hawking, nel corso degli anni, ha variato la sua posizione in merito all’esistenza o meno di Dio, ma le domande ultime le ha sentite eccome, almeno a giudicare da quanto frequentemente si sia fatto coinvolgere da questa sfida. In certe occasioni disse che era ateo, in altre che non era religioso nel modo convenzionale”. Ecco il punto, prosegue Bersanelli: “In fondo, il sentire queste domande dalle quali non ci si può liberare è il seme della dimensione religiosa, è l’origine di tutto. Il suo approccio scientifico è sempre stato così, teso costantemente alle domande più radicali, alle questioni più estreme, dallo studio dei buchi neri alle condizioni iniziali dell’universo fino alla natura ultima delle leggi della fisica. Il suo sguardo tendeva di continuo all’origine delle istanze decisive e in ciò colgo la dimensione inevitabilmente religiosa che c’è nel motore della sua ricerca”. Hawking, “è sempre stato spinto ad andare oltre ciò che è il limite e l’apparente, un esempio di grande energia e capacità umana e scientifica”.
Fiero di essere nato esattamente trecento anni dopo la morte di Galileo – spesso ricordava divertito la coincidenza di date, 8 gennaio 1942 (la sua nascita) e 8 gennaio 1642 (la morte dello scienziato italiano) – era membro della Pontificia accademia delle Scienze. E proprio a Galileo si riferì dieci anni fa Benedetto XVI, quando davanti alla plenaria dell’accademia – presente Hawking – disse che “anche Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio” e che per “svilupparsi ed evolvere, il mondo deve prima esistere” e deve cioè “essere creato dal primo Essere che è tale per sua stessa essenza”. Secondo Bersanelli “in Hawking come in altri scienziati, questa contrapposizione tra Dio, l’esistenza di Dio, il mistero ultimo da una parte e la lettura scientifica del mondo deriva da una svista filosofica. Cioè deriva sostanzialmente dall’aver ridotto Dio a una sorta di mago munito di bacchetta magica che con un colpo dà il via all’universo. E’ l’idea della creazione intesa unicamente come un istante iniziale che mette in moto questo grande meccanismo che poi procede con le leggi fisiche. Hawking – prosegue l’astrofisico italiano – tende a individuare Dio con questa pura causa iniziale, ma così facendo poi risulta abbastanza facile mettere in crisi un tale Dio, che viene ridotto a qualcosa di ben diverso dal Dio della tradizione giudaico-cristiana. Dio, nella nostra tradizione, non è un meccanico che costruisce una macchina e poi esce di scena. Dio è padre e un padre non lo è soltanto nel momento del concepimento. E’ un rapporto che si distende nel tempo. Credo quindi che risieda proprio in questa idea ridotta e incompleta della natura del mistero di Dio l’origine della contrapposizione tra il mistero divino e le letture scientifiche conseguenti. E Hawking ha giocato molto su questo, cercando e in qualche caso anche trovando modelli cosmologici a sostegno delle sue tesi, sul fatto che dal punto di visto teorico non è sempre necessario avere un inizio del tempo. Ma il problema è domandarsi da dove proviene l’esserci delle cose, da dove viene questo istante, da dove viene il mio io. Questo è l’essere creati: io non mi faccio da me. Ogni cosa (se dotata di coscienza) dovrebbe domandarsi da dove proviene. La creazione – aggiunge Marco Bersanelli – non è relegata al Big bang, a quel momento in un lontanissimo passato. La creazione avviene sempre, anche ora”.
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