Che fisica
Rendere comprensibili le leggi che governano il mondo, e più umani gli scienziati che ne hanno fatto la storia. Contro la disinformazione, e con un occhio a Goethe
La storia che voglio raccontarvi parte da lontano. Parte dagli anni Trenta del 1900, per l’esattezza, e arriva fino a noi grazie alla forza delle vicende che narra, così attuali, così eleganti, adeguate per il nostro di mondo. In questa storia non c’è burocrazia, non ci sono questuanti, non ci sono attese o code da rispettare, non c’è politica e nemmeno cattive maniere. Il luogo dove è ambientata la nostra storia è Copenaghen, lassù, nella fredda Danimarca; e la fisica è la vera, unica protagonista indiscussa. Sul luogo inutile soffermarci troppo, è Copenaghen ma potrebbe essere qualsiasi altro posto, il fatto invece che sia la fisica la protagonista è fondamentale come cosa. E’ affascinante primo perché oggi la fisica sta vivendo un’altra vita oggi, e la gente ha voglia di scoprirla più che mai, l’accarezza, la sfiora, si fa abbracciare dalla fisica, perché con un nuovo linguaggio sta entrando nelle case, nei libri, nei luoghi di ritrovo culturale. Prima non si poteva.
In America da più di dieci anni gli scienziati e i fisici (non divulgatori, attenzione, è diverso) stanno aprendo le porte a questo nuovo linguaggio, più facile e accessibile a tutti, gli stessi fisici sono conduttori di programmi televisivi, radiofonici, hanno spazi sui quotidiani e riviste generaliste. In Francia questa ondata di novità che riguarda la fisica funziona da più di sei anni (tant’è che Carlo Rovelli vive lì, e ha scritto il suo bestseller, un vero apripista… io mi sono messa in scia). Da noi, ci stiamo arrivando adesso. In America, spopolano le classifiche con i fisici rockstar del momento, io me ne sono fatta una personale e sul podio metto Kip Thorne, Lisa Randall (poi tornerò su di lei, è la mia eroina attuale) e Brian Green. Fino a qualche settimana fa c’era Stephen Hawking al posto di Green, ma va beh. Dicevo: prima non si poteva, non si poteva perché la comunità scientifica era come se non volesse che i fisici parlassero di fisica con parole semplici, comprensibili a tutti, potevano farlo i divulgatori o i giornalisti, ma i fisici no. I divulgatori e i giornalisti potevano anche dire scemenze e non importava, tra l’altro. Ma i fisici dovevano usare certe parole e solo quelle per dire le cose di fisica. “Ma come, noi ci abbiamo messo tutti questi anni a capirla, perché dobbiamo ora renderla comprensibile a chiunque?!”, è un vecchio mantra che ripetevano quelli. Ma anche a Albert Einstein era capitato di azzuffarsi intellettualmente con fisici così, è il vecchio che si scontra con il nuovo, lui li chiamava “i paludati cattedratici”. E di loro diceva che è inutile cercare di spiegargli come vanno le cose, tanto prima o poi moriranno e la generazione successiva avrà già capito.
Oggi non è più così. Sono di meno, sono una minoranza. Ma non è l’età che importa, in questa premessa di questa storia che sto per raccontarvi: Einstein (nato nel 1879, Nobel nel 1921) litigava anche con Wolfgang Pauli (nato nel 1900, Nobel nel 1945) su questo fatto: il primo sosteneva che la fisica dovessero capirla tutti, il secondo che no, che non bisognava usare parole semplici per farsi capire da tutti. In America, dicevo, oggi i fisici sono gli ospiti più graditi nelle discussioni, nei programma televisivi. Avere un fisico in un gruppo di lavoro (qualsiasi lavoro) è un valore aggiunto, è un nuovo punto di vista da dare alle cose, è una necessità (da noi, va beh, da noi è una necessità avere un avvocato in un gruppo di lavoro, ma i motivi sono altri). Da dieci anni, in America vengono prodotto colossal, grandi film al cinema e serie tv, con la fisica e i fisici al centro della scena. Da Interstellar a The Martian, alle grandi monografie a cui anche l’Europa ha iniziato ad interessarsi, su Ramanujan, su Turing, su Hawking, sulle scienziate nere della Nasa. Con la serie tv The Big Bang Theory è nato il caso: le vicende di tre fisici e un ingegnere hanno conquistato tutti i premi più ambiti e si è confermato il telefilm più amato dal pubblico (in questi giorni si è conclusa la undicesima stagione, con il matrimonio tra Sheldon e Amy, ma tornerò sul personaggio di Amy più avanti, insieme a Lisa Randall, ricordiamocelo), perché? Perché c’è una necessità nuova di riflettere su uno spaccato di mondo che è rimasto troppo in mano ai “paludati accademici”, invece oggi essere scienziato è figo. Essere nerd è figo. Essere secchione, donne, è fighissimo. E i bambini lo hanno già capito: tant’è che il personaggio più amato, nella saga letteraria più famosa, non è Harry Potter, miracolato con i poteri che gli sono caduti dall’altro, ma Ermione, la secchiona che suda e si guadagna con la fatica tutto quello che possiede e che fa.
E’ affascinante tutto questo (secondo motivo) perché la fisica spiega il mondo in cui viviamo oggi, e se parliamo di quella che è nata nel 1900, allora parliamo proprio di ciò di cui siamo circondati. La fisica quantistica, nata a Copenaghen, che ha tra le sue applicazioni pratiche l’uso dei nostri telefonini, i lettori cd, dvd, la risonanza magnetica, là fuori vendono i televisori a quantum dot, punti quantici. L’infinitamente piccolo, il mondo degli atomi – oggi gli atomi li possiamo vedere, allora si sono dovuti ingegnare per immaginarli e tirare fuori i primi elementi che li compongono (Niels Bohr, creatore della scuola di Copenaghen, era il più grande studioso dell’atomo, il non plus ultra, il fuoriclasse assoluto, il craque dell’infinitamente piccolo). Einstein che in quegli anni, e anche prima, esplode di creatività: la sua formula, le applicazioni in campo medico, la fisica nucleare. E poi ci sono le grandi donne della comunità scientifica del Novecento, molto poche, e molto importanti: Marie Curie, Lise Meitner, Rosalind Franklin su tutte; è nelle loro vite che dobbiamo specchiarci per vedere riflessa la parte di noi stessi di cui prenderci cura come il prezioso dei regali della vita.
Per questo oggi i miei racconti, nei romanzi che scrivo e nei monologhi che interpreto a teatro, non possono prescindere da tutto questo. Io sono fisica e sento come preciso e puntale il dovere di raccontare tutto questo in un periodo di svolta culturale così forte. I racconti sui miei libri prevedono ricerche sul posto, negli istituti scientifici attingo da archivi, incontro scienziati: ho scritto “L’incredibile cena dei fisici quantistici” con l’idea di approfondire il più grande ritrovo di cervelli della storia avvenuto a Bruxelles nel 1927, a conclusione del V congresso Solvay, da cui ho tratto il mio “Monologo Quantistico” (che quest’anno sfiora le cento repliche nei teatri di tutta Italia); ora, uno per uno, sto andando da ciascuno di questi fisici del Novecento presenti a Bruxelles quel giorno: da Marie Curie a Parigi ho scritto “Sei donne che hanno cambiato il mondo” e creato il monologo “Due donne ai Raggi X”. Poi sono andata a Copenaghen, da Niels Bohr, e tramite l’archivio Nbi ho scritto “Hotel Copenaghen”, da cui ho tratto “Faust a Copenaghen” (proprio la storia che voglio raccontarvi oggi, ma non ci sono ancora arrivata, questione di righe, il lettore che vuole tagliare corto può scendere due capoversi più in basso); e a settembre 2018, dopo le mie ricerche a Zurigo e Berna, per Einstein, farò nascere il mio nuovo monologo e il mio nuovo romanzo su di lui. Sento preciso e puntale il dovere di parlare di donne della scienza, è inevitabile farlo adesso più che mai, con le notizie di attualità sulle prime pagine dei giornali che fanno venire i brividi. A proposito: a Marie Curie era stato chiesto da Stoccolma di non andare a ritirare il Nobel in chimica perché lo scandalo in cui l’avevano coinvolta i giornali per la sua relazione clandestina con il fisico Paul Langevin poteva metterli in cattiva luce: proprio loro, che oggi fanno saltare il Nobel per la letteratura per molestie.
I bambini lo hanno già capito con i loro film della Disney e della Pixar, con le principesse che regnano da single e siedono sul trono senza aspettare certo che il principe azzurro porti la scarpetta o le inviti al ballo. Oggi, la fisica Lisa Randall in America smonta da sola i luoghi comuni e gli stereotipi sulle donne dalla scienza, si mostra in copertina delle riviste Vogue e Vanity Fair anche per la sua bellezza, ed è la prima donna ad avere una cattedra di Fisica teorica a Princeton. In tv, Amy Farah Fowler è il personaggio più premiato e amato di The Big Bang Theory, la secchiona che sposa Sheldon Cooper e ha una testa grande così.
Einstein diceva “i fisici hanno un mondo dentro, per questo gli riesce facile tenere la scena in qualsiasi teatro”. E Niels Bohr, il suo antagonista (Nobel nel 1923), lo ha preso alla lettera. Ma ora arriviamo alla nostra storia. Finalmente, direte voi.
1932, Copenaghen, Istituto di fisica Niels Bohr, in pieno centro. La Sirenetta, mermaid, è a due chilometri più in là; per scendere giù da Helsinor invece Amleto dovrebbe fare cinquanta chilometri. Siamo al primo piano di Blegdamsvej civico numero 15, per l’esattezza. All’Nbi, l’istituto di fisica creato dal grande Bohr, il fisico danese riferimento per tutta la comunità scientifica di allora. E’ il centesimo anniversario della morte di Goethe, uomo di lettere e scienziato, e da tutti considerato come l’ultimo vero genio universale. Per questo viene allestito uno spettacolo teatrale all’interno delle mura di uno dei più importanti centri di ricerca del ventesimo secolo, lassù nella fredda Copenaghen. Per rendere omaggio a Goethe, e perché i fisici, del Ventesimo secolo, amavano esprimersi anche così, con la recitazione. Il copione viene scritto dai fisici, in scena c’è Paul Ehrenfest, che di anni ne ha 50, aveva spesso sbalzi di umore, e cadeva in depressione, a lui viene data la parte di Faust. Poi c’è Wolfgang Pauli, 27 anni, austriaco, noto per il suo lato oscuro, doveva fare Mefistofele. A Niels Bohr, danese, 45 anni, il padrone di casa, viene data la parte del Signore. Poi ci sono: Lise Meitner, 52 anni, austriaca; Paul Dirac, 27 anni, inglese, famoso per le sue lunghe pause di silenzio che potevano durare anche ore, tant’è che in scena erano molto preoccupati per la parte che doveva recitare; e Werner Heisenberg, 27 anni, tedesco. La maggior parte di questi fisici hanno, o avrebbero vinto un premio Nobel. Erano loro ad avere in mano lo spirito che animava questi ritrovi a Copenaghen. Ritrovi iniziati due anni prima, nel 1930, e che nel corso del tempo si sono arricchiti di particolari – si sa che le teste dei fisici viaggiano a una velocità prossima a quella della luce (senza mai superarla, s’intende), e così sono diventate delle vere e proprie esibizioni a teatro, in una sala creata per l’occasione, e allestita come nemmeno al Burgher Theatre.
E’ il 16 aprile dicono le persone in strada, e qui a Copenaghen sono tutti abituati al freddo, anche fuori stagione: i bambini che vanno a scuola non tolgono la cerata dallo zaino fino a fine maggio, sui davanzali delle finestre i più accorti lasciano le bottiglie di vino bianco per farle rinfrescare per la cena, le carrozze girano con delle coperte lasciate sui sedili per far stare al caldo gli ospiti che ci salgono sopra. Nel 1932 a Los Angeles c’è la decima edizione dei Giochi Olimpici; viene inaugurato a New York il Radio City Music Hall; Gandhi inizia il suo primo sciopero della fame in prigione; viene prodotta la prima pellicola technicolor; in Italia viene messo in vendita il primo numero della Settimana Enigmistica, e sulla terrazza dell’Hotel Excelsior a Venezia si apre ufficialmente la Prima Mostra Internazionale del Cinema. Nascono Richard Kapuscinski, Umberto Eco, Luigi Berlinguer e Francois Truffaut. Nel 1932 il fisico inglese James Chadwick ha 41 anni, e scopre il neutrone. E’ proprio su questa scoperta che ruota la storia narrata in quel teatro.
Ora dovete immaginarvi un’altra scena: una donna, che di anni ne ha 42, si chiama Margrethe Norlund, è danese, ha dedicato la sua vita a ospitare gli allievi che suo marito faceva arrivare da tutto il mondo per farli lavorare nel suo istituto di fisica. Margrethe è seduta in ultima fila, e nota anche altri protagonisti della scena, che a turno si passavano di mano. Degli oggetti. Un cannone, una trombetta, e una statuetta che raffigura la copia di un Oscar, nato soltanto qualche anno prima, nel 1929. Il cannone, spesso nelle mani di Wolfgang Pauli, era l’oggetto che decretava la bocciatura di una esibizione, ed era lui che doveva lanciare palline di carta da quel cannone quando qualcuno si esibiva compiendo grossi errori concettuali o sbagliava qualche concetto scientifico. La trombetta, invece, quando veniva suonata, significava che l’esibizione era andava a gonfie vele. La statua che raffigurava l’oscar, invece, veniva assegnata alla fine, se la rappresentazione teatrale veniva bene. Li stava già addestrando, Niels Bohr, a come si sarebbero dovuti comportare quando il Nobel lo avrebbero ritirato veramente.
Il sogno di Faust di costruire una terra libera, strappandola alla furia del mare, quanto era vicino al sogno dei fisici di quegli anni, che volevano cambiare il mondo? Poi arriverà il 1933, e Hitler salirà al potere, e tutto cambierà. Nel 1941 la Danimarca sarà terra occupata dai nazisti, Werner Heisenberg resterà a lavorare in Germania, lavorerà al programma per la costruzione della bomba atomica di Hitler, e un giorno deciderà di andare a fare visita a Niels Bohr. Dopo quell’incontro Niels Bohr prenderà parte al progetto per la costruzione della bomba atomica avviata dagli americani, il Progetto Manhattan, e tra i due non ci sarà più il grande attaccamento affettivo di un tempo. Ma ancora una volta, una donna sarà presente a quell’incontro. Margrethe Norlund, sposata Bohr. La storia prosegue, ma dovete venire a teatro nei prossimi giorni per sapere il resto.
Copenaghen, nella prima metà del Novecento, era questo. Era il luogo degli incontri. Era un luogo dove chi sognava poteva realizzare i propri sogni. Se meritavi di vincere un Nobel, poi lo vincevi. Oggi più che mai è necessario ricreare una città così. Cambiare le regole con cui viene insegnata nei licei e nelle scuole: in America, in Francia, avviene già.
Mi hanno definito, i vari quotidiani, riviste, e programmi tv dove vado ospite, nell’ordine: il volto rivoluzionario della fisica, la rockstar della fisica, la donna della fisica divulgativa in Italia. Tutte definizione bellissime e io ne vado fiera. Io, quello che faccio nei miei libri e a teatro, è partire dal racconto umano di questi fisici del XX secolo, e tramite i loro caratteri, le loro ansie, le loro paure creo le mie storie. Tutto qui. “E’ quando ci interessiamo ai grandi scopritori e alle loro vite che la scienza diventa tollerabile ed è solo quando ci mettiamo a pensare a come le grandi concezioni si svilupparono che essa diventa affascinante”, lo diceva anche J.C. Maxwell. E quello che faccio io è rendere semplicemente la fisica un posto più abitabile. Come faceva Niels Bohr nella sua Copenaghen.
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