Ops, le alternative all'olio di palma potrebbero fare strage di giaguari e orsi
Un rapporto spiega perché l'olio di soia e quello di mais avrebbero un impatto devastante per altri habitat
“Non contiene olio di palma”? Attenti, il risultato potrebbe essere quello di contribuire alla distruzione della natura, piuttosto che quello di difenderla. L'avvertimento viene da un rapporto appena pubblicato a cura della Unione internazionale per la conservazione della Natura (Iucn). La ong con sede a Gland in Svizzera ha redatto la “Lista Rossa” con l'elenco delle specie animali e vegetali a rischio. Il titolo del rapporto è già di per sé eloquente: “Dire no all'olio di palma non farebbe che spostare in un altro luogo la perdita delle specie, senza mettervi affatto termine”.
È autorevole la Iucn? Probabilmente ha meno risonanza mediatica di altre organizzazioni specializzate in tematiche relative all'ambiente. Però è l'unica ad avere un posto di osservatore all'Assemblea generale delle Nazioni Unite e che svolge un particolare ruolo di piattaforma per il dibattito scientifico e di raccordo tra governi, istituzioni e Ong finalizzati al riconoscimento politico delle priorità ambientali. D'altra parte, anche organizzazioni più “pop” come Wwf e Greenpeace erano già scese in campo a favore dell'olio di palma, all'epoca in cui l'allora ministro dell'Ecologia francese Ségolène Royal, per presentare in tv la conferenza internazionale sul clima COP21, non aveva trovato di meglio che chiamare al boicottaggio contro la Nutella, accusata di contribuire alla deforestazione. Wwf e Greenpeace allora - come la Iucn adesso - avevano ricordato che, sì, la diffusione di palma da olio può contribuire alla distruzione di foreste. Ma sempre meno di tutte le possibili alternative. Per coprire il crescente fabbisogno mondiale di olio ci vogliono infatti 8,2 milioni di ettari di palma usando i metodi attuali, che potrebbero essere ridotti a 5 milioni usando sistemi più efficienti. Per coprire lo stesso fabbisogno con olio di soia ci vorrebbero invece 62,5 milioni di ettari, e con olio di colza 43,3 milioni.
Presidente del gruppo di lavoro sull'olio di palma della Iucn è Erik Meijaard, biologo olandese che ha passato 25 anni nel sud-est asiatico a lavorare per la salvezza dell'orango. È l'orango l'animale che viene più spesso indicato come vittima principale della diffusione di palme da olio, ma è proprio questo suo difensore a spiegare che “per il momento, dobbiamo accettare che l'olio di palma è qui per restare. Non sparirà, e dobbiamo imparare a conviverci. Chiudere gli occhi e agire come se non esistesse non è la soluzione”. Da una parte, l'Europa già consuma olio di palma in gran parte certificato di cui è fornita la garanzia che i produttori rispettano i diritti delle comunità locali e non hanno deforestato nessun bosco primario (cioè non piantati dall'uomo) in data successiva al novembre 2005. Ma i maggiori consumatori mondiali di olio di palma sono invece Cina, Indonesia e India, che consumano sopratutto prodotto non certificato. Insomma, un boicottaggio europeo servirebbe solo a incentivare la produzione di olio di palma non ecologicamente sostenibile. Ma ammettiamo che effettivamente si riesca a bandire l'olio di palma in tutto il mondo. Con cosa lo si potrebbe sostituire? Con olio di soia sudamericano? Per dirla con Meijaard, si salverebbero gli oranghi a spese dei giaguari. Con olio di mais nordamericano? E allora ci rimetterebbero gli orsi. E in proporzioni molto maggiori, visto che di terreno ce ne vorrebbe di più.
Insomma, il paradosso è che chi veramente tiene alla sopravvivenza di oranghi, giaguari, orsi e simili dovrebbe piuttosto esigere un “senza olio non certificato”. Peraltro, gli oranghi sono animali tanto intelligenti da sapersi adattare anche in una piantagione, piuttosto che in una foresta (ad esempio, la Iucn cita una piantagione di palma da olio nel Borneo occidentale dove ne vivono 150).
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