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Antiscientismo e demagogia: benvenuti nel bislacco mondo dei ciarlatani

Massimiliano Trovato

Stamina, Ogm, Vaccini, Xylella: le drammatiche conseguenze di un diritto che abdica alla superstizione. “La scienza in tribunale”, un libro di Luca Simonetti

La sempre cospicua stirpe dei ciarlatani deve il proprio marchio alla cittadina umbra di Cerreto, i cui abitanti – autorizzati nel Trecento a “questuare elemosine per gli ospedali dell’ordine del beato Antonio” – impiegavano allo scopo le strategie persuasive più spericolate, millantando poteri prodigiosi e cavalcando ogni sorta di superstizione. Le originarie coordinate geografico-cronologiche sbiadirono giocoforza con la propagazione del fenomeno: di ciarlatani e creduloni non v’è mai penuria. Sicché, ancora alla metà del ventesimo secolo, spopolavano in Italia imbonitori che pretendevano di curare il cancro con un cocktail di “tintura di colchicina o zafferano dei prati, tintura di genziana, aceto di vino, alcol a 95 gradi” o con un siero ricavato da escrementi di capra, macerati – beninteso – in acqua bidistillata. In linea di principio, toccherebbe al sistema giuridico contenere la minaccia insita nell’affermazione di tali bislacche convinzioni: ma quando legislatori e giudici abdicano al proprio ruolo di argine all’irrazionalità – o peggio, ne cavalcano opportunisticamente l’onda – le conseguenze possono essere disastrose.

 

È questa la fondamentale tesi de “La scienza in tribunale (Fandango), il recente libro di Luca Simonetti, avvocato romano con una vocazione, se non per le cause perse, certo per quelle complicate. Il volume ripercorre i più emblematici esempi di cortocircuito tra mentalità antiscientifica e populismo politico-giudiziario. Un catalogo che accosta l’accreditamento di supposti “miracoli” (si pensi ai casi Di Bella e Stamina), la persecuzione di “capri espiatori” (nei casi degli olivi pugliesi colpiti dalla Xylella, del preteso legame tra vaccini e autismo, della mancata previsione del terremoto dell’Aquila) e l’ostinata opposizione all’impiego di misconosciuti “sarchiaponi” (la variegata classe degli Ogm). Ne emerge un quadro angosciante: non solo per la facilità con cui strampalate teorie prive di alcun riscontro sperimentale o addirittura già sconfessate dalla letteratura specialistica abbiano attecchito e continuino ad attecchire nel dibattito pubblico nostrano, ma a maggior ragione perché l’analisi di Simonetti – che pure ha il merito di dipanare le questioni scientifiche in modo da renderle accessibili ai lettori (e ai recensori) meno avvertiti – dimostra come il potenziale nefasto di quelle balorde prese di posizione sia stato regolarmente amplificato dalla concomitanza di inspiegabili strafalcioni giuridici.

 

Il caso Di Bella

Prendiamo il caso del metodo Di Bella, che ebbe una straordinaria risonanza tra il 1997 e il 1998, ma che sarebbe rimasto confinato all’arena mediatica se il pretore di Pistoia e poi i suoi omologhi di Maglie, Campobasso, L’Aquila, Tempio Pausania, Bari e Mazara del Vallo non avessero ordinato alle Asl di pertinenza di erogare gratuitamente ai pazienti la somatostatina – principale ingrediente della terapia elaborata dal medico modenese – anche al di fuori degli impieghi approvati dalla Commissione unica del farmaco. A prescindere dal loro risibile fondamento scientifico, quei provvedimenti – che a propria volta propiziarono il decreto con cui il ministro Bindi concesse a furor di popolo l’avvio di una sperimentazione del protocollo – si basavano su un’inaccettabile lettura assolutistica del diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione e su una potente invasione di campo della magistratura, che non chiamava in causa le determinazioni della Commissione ma si limitava ad aggirarle.

 

La schizofrenia dei giudici su Stamina

Ancor più indicativa, in questo senso, la vicenda del metodo Stamina e del suo profeta Davide Vannoni, esperto di marketing che alla carenza di competenze cliniche sopperiva con le stigmate della malattia – e della presunta guarigione – per testimoniare in prima persona la bontà della cura. In questo caso, alle pronunce dei tribunali di mezza Italia che disposero la somministrazione della terapia pur in assenza delle garanzie scientifiche (e igieniche!) richieste dal vigente decreto Turco-Fazio, nonché al lancio – con il decreto Balduzzi del 2013 – di un’altra sperimentazione, nonostante l’esplicito divieto già formulato dall’Agenzia italiana del farmaco, si sommavano il tentativo legislativo (poi abortito) di catalogare le terapie staminali come trapianti per sottrarle alla normativa approntata per i farmaci; e soprattutto la decisione del Tar del Lazio di proseguire con la sperimentazione a dispetto del parere del preposto comitato scientifico, che invece non aveva ritenuto sussistenti i requisiti minimi di “scientificità e sicurezza”, e addirittura invalidò la nomina del comitato stesso, rilevandone la parzialità e sancendo che dovessero farne parte “in pari misura, anche coloro che già si [fossero] espressi in favore di tale metodo”. Per illustrare l’atteggiamento schizofrenico della magistratura basterà ricordare che, mentre i giudici civili e amministrativi lo abilitavano a dettare condizioni al governo, Vannoni patteggiava davanti al giudice penale una condanna a “un anno e dieci mesi per i reati di associazione a delinquere e uso di farmaci imperfetti e pericolosi”.

 

L’antivaccinismo e l’isterismo Ogm

Alla categoria dei ciarlatani appartiene anche Andrew Wakefield, che nel 1998 denunciò un’immaginaria relazione tra vaccini e autismo, servendosi di dati di cui fu in seguito accertata la manipolazione, e dimenticandosi di disvelare i finanziamenti ricevuti in vista di una class action contro le aziende farmaceutiche. La rivista Lancet ritrattò l’articolo, l’ordine dei medici inglese radiò il reprobo, ma le dottrine antivaccinistiche continuarono a prosperare, in Italia più che altrove, rinsaldate da decisioni giudiziarie che affermarono la sussistenza di un legame tra l’inoculazione e l’insorgere della malattia. Nemmeno in questa circostanza l’operato dei magistrati è esente da pecche sotto il profilo giuridico. Le sentenze che aderiscono acriticamente alla ricostruzione di una parte o che, viceversa, si discostano arbitrariamente dai risultati della perizia d’ufficio sono inaffidabili. Per quanto in sede civile il nesso causale vada provato con ragionevole probabilità (anziché oltre ogni ragionevole dubbio), le spiegazioni post hoc, propter hoc non integrano neanche questo ridotto onere dimostrativo.

 

Quella degli Ogm è una storia un po’ diversa dalle altre raccontate da Simonetti, perché esula dall’ambito italiano e perché giocata principalmente sul piano legislativo, a riprova del fatto che l’isteria in materia è diffusa e trasversale. Una direttiva del 2001 ribaltò l’originario atteggiamento di chiusura dell’Europa sugli Ogm, codificando l’iter per l’autorizzazione alla loro emissione o commercializzazione e vietando ai paesi membri di derogare al provvedimento così ottenuto. Ma l’Italia continuò a prevedere un’autorizzazione ministeriale anche per le coltivazioni già autorizzate; e persino a negarla ripetutamente, come nella querelle sul mais MON 810 che ha avuto per protagonisti due coraggiosi imprenditori friulani, Silvano Dalla Libera e Giorgio Fidenato. Le loro ragioni sono infine state avallate dalla Corte di giustizia, ma nel frattempo una nuova direttiva aveva concesso agli stati Ue la facoltà di derogare all’autorizzazione alla coltivazione di un certo Ogm. Una facoltà di cui il nostro paese ha mostrato di volere approfittare, sicché in Italia anche la coltivazione di Ogm già autorizzati dall’Ue sarà proibita. Il tutto senza che nessuno si sia preso la briga di scomporre la categoria onnicomprensiva degli Ogm – a proposito, la fragola-pesce di cui si favoleggiava qualche anno fa non è una fragola, né un pesce: è una bufala – e di documentare i pericoli eventualmente connessi al loro impiego.

 

La Xylella infame

E veniamo alla “storia della Xylella infame” (così aveva già scritto Luciano Capone su queste colonne). L’antefatto: nel 2013, nel leccese, alcuni olivi risultarono affetti dal complesso da disseccamento rapido, una malattia riconducibile a un batterio specialmente pernicioso – la Xylella fastidiosa – e per il quale la normativa Ue dispone una quarantena. Così, la Commissione Ue e il governo italiano ordinarono l’eradicazione e la distruzione delle piante infette e di quelle comunque presenti entro un raggio di 100 metri dal focolaio. L’esecuzione della misura fu sospesa una prima volta dal Tar del Lazio, ma la sua validità fu poi confermata dalla Corte di giustizia. A questo punto, la procura di Lecce intervenne ponendo sotto sequestro preventivo tutte le piante interessate, nell’ambito di un’inchiesta suscitata dagli esposti di alcuni gruppi ambientalisti e fondata su ipotesi fantasiose e complottistiche in merito all’eziologia del contagio. Sennonché, il sequestro preventivo presuppone la ragionevole probabilità che il reato sia stato commesso e che le cose pertinenti al reato possano aggravarne o protrarne le conseguenze. Quanto al primo aspetto, le condotte incriminate apparivano scriminate dall’adempimento di doveri affermati dalla normativa europea; quanto al secondo profilo, proprio la mancata distruzione avrebbe finito per esasperare gli effetti della malattia. Anche sorvolando sulla sua ispirazione antiscientifica, quel provvedimento costituiva uno sviamento dei poteri della magistratura, il cui mestiere è quello di perseguire i reati e non quello di piegare gli strumenti cautelari a fini politici, per curarsi “della tradizione agroalimentare e della identità territoriale del Salento”.

 

Terremoti e processi

Infine, il processo per il terremoto dell’Aquila. Nelle settimane antecedenti la catastrofe del 6 aprile 2009, una sostenuta attività sismica aveva già destato l’allarme della popolazione abruzzese, allarme esasperato dalle “previsioni” che sedicenti esperti avevano diffuso sulla base di metodi privi di sostegno in letteratura. Il 31 marzo si tenne all’Aquila una riunione convocata dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, per valutare la situazione: vi presero parte politici, dirigenti pubblici e studiosi, inclusi 4 dei 21 componenti della Commissione grandi rischi, organo consultivo della stessa Protezione civile. Nel 2012, 7 dei partecipanti furono condannati in primo grado a sei anni di reclusione per concorso in omicidio e lesioni colpose plurime, “per aver violato i doveri gravanti sui membri della Commissione grandi rischi”, esprimendo “rassicurazioni” che avrebbero indotto gli aquilani a sottovalutare il pericolo”. Peccato che da un lato, l’incontro si fosse svolto a porte chiuse e che il relativo verbale fosse stato redatto e pubblicato solo dopo la scossa fatale, sicché non si vede come avrebbe potuto indurre alcuna reazione; dall’altro, che le modalità di convocazione e l’elenco dei partecipanti ne escludessero la riferibilità alla Commissione grandi rischi. Insomma, un’infarinatura di sismologia avrebbe certo giovato al tribunale, ma sarebbe bastato maneggiare con maggior accortezza concetti giuridici di vastissima portata come le condizioni di costituzione di un organo collegiale o la distinzione tra reati commissivi e reati omissivi o la nozione penalistica di causalità per scongiurare la sentenza del 2012. Nelle parole dell’autore, “anche a non saper nulla di terremoti e di previsione del rischio, i giudici dell’Aquila non avrebbero mai dovuto condannare, e probabilmente nemmeno processare, gli imputati”.

 

Dalla propria disamina, Simonetti deriva la necessità di un’operazione culturale che garantisca centralità alla scienza tanto nel discorso pubblico, quanto nel lavoro quotidiano degli operatori del diritto. Ecco ciò che manca oggi, con il giudice in balìa degli esperti (veri o presunti) e gli elettori in balìa di partiti che ne blandiscono il consenso assecondando i loro peggiori istinti. Eppure, pur trovando persuasivo l’invito a rigettare la perversione della scienza per alzata di mano, temo che quest’esito non soddisfi pienamente. L’antiscientismo è il pretesto, più che la causa, di cattive leggi e cattive sentenze. Si usa proclamare, con uno slogan un po’ trito, che “la scienza non è democratica”: ma può forse essere democratico il diritto? È ammissibile che un magistrato dichiari, come ha fatto il pm del processo dell’Aquila, che spera “di arrivare a un risultato conforme a quello che la gente si aspetta”? E i presupposti ideologici dell’inchiesta sulla Xylella sono poi molto diversi da quelli di un altro caso pugliese, il processo di Trani alle agenzie di rating?

 

I fatti trattati da Simonetti evidenziano un problema più pervasivo rispetto al solo deficit di cultura scientifica: quello dell’abuso demagogico di leggi e processi. Come porvi rimedio? Vasto programma: ma sono proprio le mitomanie degli azzeccagarbugli a gettare benzina sul flogisto dei ciarlatani.