La lobby del biologico, i sovranisti dell'agricoltura e le corna di vacca
Il mito del chilometro zero è il frutto avvelenato di una certa élite salottiera. Quando la sinistra si trova a difendere gli indifendibili
Il segretario generale della lobby del biologico, la fondazione privata Firab, ha lanciato i suoi anatemi lo scorso 17 gennaio sul Manifesto. Lo ha fatto dileggiando chi ha messo in dubbio l’opportunità e il contenuto di un progetto di legge che mira a finanziare, indirettamente, le attività della fondazione che dirige. Una reazione quindi più che comprensibile quando si viene toccati negli interessi personali. In questi casi una preventiva dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse avrebbe giovato al lettore e alla credibilità stessa dell’autore che ha trattato da avvelenatori del pianeta alcune centinaia di docenti universitari, ricercatori, imprenditori e tecnici del settore: tutta la gente che, invece, non soffre di conflitti d’interesse nel criticare il testo di legge.
Ma lungi da noi l’interesse a dibattere nel merito di fronte ad argomentazioni superficiali e preconfezionate. Invece crediamo che il dibattito attorno alle pratiche agricole oggetto del ddl dovrebbe sollevare più di un dubbio per un giornale come il Manifesto. Ancora una volta l’articolo del geniale Colombo rilancia una serie di slogan che ci sentiamo ripetere da anni: chilometro zero, produzioni locali, agricoltura di prossimità, tutela dei prodotti locali, valorizzazione delle tipicità e delle tradizioni. Questo approccio rivolto alle produzioni agroalimentari è stato l’uovo covato per decenni da una certa élite culturale salottiera e istruita, ma completamente a digiuno degli strumenti tecnici per decifrare le potenzialità e le strutturali carenze della nostra agricoltura.
Dopo decenni di cova, l’uovo ben maturato si è schiuso per dare i suoi frutti: frutti avvelenati. Accanto a questa passione identitaria e patriottica per le produzioni locali (nonostante che tutti, ma dico tutti, i semi da cui nascono le nostre piante siano semi esteri!) in un parto plurigemellare sono nate altre forme di sovranismo. Il “prima gli Italiani” che risuona da anni sui media non è altro che la versione cittadina delle produzioni tipiche locali a cui si dovrebbero votare le nostre campagne. L’ostilità verso i migranti fa il paio con l’avversione ai cibi o alle derrate estere, la vaneggiata purezza del seme fa da quasi un secolo rima con la purezza della razza. E qui veniamo a un ulteriore gemello diverso, nato dallo schiudersi di questa nidiata trigemina: l’agricoltura biodinamica.
Anche i biodinamici finanziano l’associazione Firab per la quale lavora il mitico Colombo. Anche i biodinamici sono finanziati e legati a doppio filo ai biologici nella legge in discussione in Parlamento. Ma se il biologico è una pratica difficile, poco produttiva e molto ideologizzata, per il biodinamico siamo in un vero universo parallelo. Nel biodinamico si prelevano vesciche urinarie di cervo maschio per riempirle di fiori di campo e fertilizzare i terreni. Si usano crani svuotati di animali domestici per riempirli di corteccia di quercia (si chiama preparato 505) e via discorrendo. Il più noto amuleto biodinamico è il preparato 500, ossia si estirpano le corna a una vacca che abbia partorito almeno una volta e le si sotterra riempite di letame per tutto l’autunno e l’inverno. Questa credenza biodinamica nasce in quell’Austria che tra le due guerre darà i natali da due seguaci delle pratiche esoteriche, l’uno Steiner fonderà l’agricoltura biodinamica, l’altro il Terzo Reich.
E questa impronta teutonica non si perderà mai tanto è che, ovunque nel mondo, la certificazione di agricoltura biodinamica la concede il solo marchio registrato tedesco Demeter. Ma all’uovo dischiuso dalla fervida mente del nostro Colombo, non sembra strano che una legge italiana conceda tributi, sovvenzioni e dia le chiavi delle nostre mense scolastiche ai prodotti commerciali di un marchio registrato estero intriso di esoterismo e di pratiche magiche. Davvero un Colombo dalle uova d’oro.
cattivi scienziati
La débâcle della biodinamica in vigna
Cattivi scienziati